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(Ansa)
Economia

La transizione verde siamo noi

La Cina, sempre più potente, di fatto va a carbone. Così tocca a noi, fare da soli. per quello che vale

Il vertice tra il leader cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin è servito a mostrare all’Occidente una solidarietà profonda e duratura tra i due paesi: una partnership “senza limiti” ormai delineata da tempo. La Russia è ora il principale fornitore di petrolio della Cina: secondo i dati doganali cinesi le importazioni di petrolio a gennaio e febbraio sono state di 1,94 milioni di barili al giorno: quasi il 25% in più rispetto al 2022. Le importazioni cinesi di gas russo e GNL lo scorso anno sono aumentate rispettivamente di 2,6 volte e 2,4 volte, a $ 3,98 miliardi e $ 6,75 miliardi e quelle di carbone russo sono aumentate del 20% a 68,06 milioni di tonnellate.

E se i fatti contano davvero più delle parole, allora il crescente commercio di energia tra Cina e Russia delinea una relazione in evoluzione tra i due paesi con Mosca sempre più consapevole del progressivo squilibrio di potere con Pechino: oggi la Russia è molto più dipendente economicamente e geopoliticamente dalla Cina che viceversa. Il rischio di diventare una colonia di risorse cinesi è tangibile: con server Huawei, veicoli elettrici BYD e lo yuan come principale valuta commerciale.

Ma quello che dovrebbe far riflettere l’Occidente sugli accordi sino-russi, è l’espansione della Cina nello sviluppo della sua flotta di centrali elettriche a carbone. Questo fa intendere che sarà il carbone, e non il gas, la spina dorsale della rete elettrica, il combustibile per alimentare il backup per le rinnovabili. Potrebbe essere uno degli aspetti della mancata finalizzazione dell’accordo sul “Power of Siberia 2”, il gasdotto che, entro il 2030, potrebbe trasportare fino a 98 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Russia alla Cina attraverso la Mongolia. Una tassello fondamentale della strategia per salvaguardare l'industria russa dei combustibili fossili dalle sfide di un mercato Occidentale che spera nello sviluppo di altre forme di energia a basse emissioni di carbonio.

Alcune previsioni ipotizzano che l’accelerazione degli sforzi Occidentali sulle energie rinnovabili, in nome della sicurezza energetica, potrebbe far raggiungere il picco della domanda di combustibili fossili entro cinque anni. Se per i sostenitori del clima questa sarebbe una vittoria, per la Russia, che non ha diversificato la sua economia, potrebbe essere una sconfitta di proporzioni tragiche. La salvezza per la Russia è nel suo rapporto con il Dragone Cinese. Pechino ha già aiutato Mosca a recuperare alcune delle sue perdite aumentando la sua spesa per petrolio, carbone e gas naturale russi da $ 52,1 miliardi nel 2021 a $ 81,3 miliardi nel 2022.

Se approvato, “Power of Siberia 2” aiuterà la Russia a riorientare permanentemente la sua industria del gas verso est, compensando la perdita del mercato europeo. La capacità congiunta di entrambi i gasdotti “Power of Siberia” sarebbe quasi pari alla quantità totale di gas naturale che la Cina attualmente importa dal resto del mondo. Ma gli accordi sino-russi guardano anche al carbone. E’ destinato a Pechino il carbone metallurgico estratto dal giacimento di Elga, situato in Yakutia, uno dei più grandi giacimenti di carbone da coke del mondo con riserve provate di circa 2,2 miliardi di tonnellate.

In un momento in cui sono aumentati i costi nelle miniere indonesiane e australiane a causa delle royalties, che sono quasi raddoppiate in Australia e triplicate in Indonesia, la miniera di carbone a basso costo Elga, posizionata all'inizio della curva di offerta delle esportazioni di carbone da coke a livello globale, rappresenta un competitor formidabile. La sua capacità produttiva di 30 milioni di tonnellate di carbone destinata in Cina, già nel 2024, avrà un impatto sulle esportazioni di coke australiano.

Capacità delle miniere di carbone in fase di sviluppo in Cina, Russia ed IndiaGlobal Energy Monitor

Elsi Group, partecipata dall’oligarca Albert Avdolyan, ha progetti colossali per Elga e per i suoi giacimenti che si trovano nell'Estremo Oriente russo, vicino ai porti che si affacciano sull'Asia. In un paese dove le temperature invernali possono scendere sotto i -60 °C ed il manto nevoso dura da otto a nove mesi all'anno Elga è una parte di un cluster energetico dell'estremo oriente. Qui sorgerà una città per oltre 20.000 abitanti con un aeroporto completo di piste adatte ai Boeing 737. Una linea ferroviaria e un porto sul Mare di Okhotsk, la cui realizzazione potrebbe concludersi nel 2025, consentiranno di spedire 1,85 milioni di tonnellate di coke al mese. E’ già stata siglata una joint venture con la cinese Fujian Guohang Ocean Shipping che trasporterà il carbone metallurgico in Cina.


Posizione del giacimento Elga e del porto sul Mare di Okhotsk.

La messa in funzione del passaggio ferroviario sino-russo sull'Amur, che collegherà la russa Nizhneleninskoye con la cinese Tongjiang amplierà notevolmente le capacità di trasporto transfrontaliero: è solo un primo passo di una serie di progetti infrastrutturali per collegare i due paesi. Inoltre per rafforzare anche i suoi legami con l'India, SUEK sta aprendo un ufficio localmente poiché intende aumentare le esportazioni di carbone termico e da coke dalla Russia fino a 40 milioni di tonnellate anno.

Quindi l’European Green Deal sta spostando il mercato per gli esportatori russi di commodities energetiche verso la Cina dove troverà probabilmente più opportunità che problemi. Fatto che era ampiamente prevedibile visto che già nell’ottobre 2014 Russia e Cina hanno firmato una "road map sulla cooperazione nell'industria del carbone", che prevedeva la partecipazione delle società cinesi ai progetti carboniferi russi: il primo di questi progetti era il giacimento di Elga.

Naturalmente una tale alleanza tra i due maggiori emettitori del mondo annullerà i progressi che l'UE ha fatto nei suoi passi verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Ed è proprio questo il problema: senza la Cina, non si può risolvere la crisi climatica ed sacerdoti della sostenibilità della Commissione europea dovrebbero rendersi conto che qualsiasi soluzione dipende dalle emissioni della Cina. Ma finché la Commissione è pervasa dall’ansia di prendersi il merito dei progressi sulla riduzione delle emissioni o il primato di diventare il primo continente “climaticamente neutro”, i loro piani per portare il mondo lontano dall'orlo della crisi climatica con misure sempre più ambiziose serviranno solo a portare l’intera Europa nel baratro della deindustrializzazione.

Non c’è soluzione della crisi climatica senza la Cina al centro di essa. Un rapporto pubblicato qualche anno fa da Tsinghua University, Vivid Economics e ClimateWorks Foundation ha rilevato che se le 126 nazioni che aderiscono alla Belt and Road Initiative (BRI) non ridurranno le loro emissioni, le temperature globali saliranno di 3° C rispetto ai livelli preindustriali, indipendentemente dalle azioni intraprese dagli altri paesi. Questo dato può essere condizionato dagli investimenti della Cina in quei paesi ed hanno un enorme impatto potenziale sulle loro emissioni di CO2.

Per quanto la Cina si sia impegnata a non sviluppare progetti energetici basati sui combustibili fossili nei paesi che aderiscono alla BRI secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), solo 26 di questi progetti sembra siano stati effettivamente abbandonati per altri 40 impianti, la cui costruzione è già cominciata o addirittura completata, nulla verrà cambiato ed i restanti 49 sono in una situazione opaca che lascia quindi un ampio margine per future trattative.

Se seguiranno i percorsi di crescita più intensivi di carbonio, questi paesi potrebbero portare a circa 2,7° C il riscaldamento globale anche se il resto del mondo raggiungesse gli obbiettivi degli Accordi di Parigi. Questo evidenzia come, se non si contabilizzano correttamente questi contributi, sia da parte della Cina che dai paesi BRI, gli sforzi che stiamo facendo per raggiungere gli obbiettivi degli Accordi di Parigi saranno vanificati.

Previsioni dell’andamento delle emissioni nei paesi BRIIEA, Vivid Economics based on IEA (2018a, 2018b)

“Il caso peggiore” rappresenta il peggior percorso di crescita economica in termini di emissioni di CO2 . Il “Business as usual” (BAU) è basato sulla media dei valori storici dei paesi di cui si dispongono i dati. Il “Caso migliore” rappresenta il miglior percorso di crescita economica in termini di emissioni di CO2.

Siamo in un’Europa a trazione tedesca il cui governo è ormai da tempo in evidente stato confusionale. Diviso da veti e dispetti tra le forze di maggioranza non è più in grado di gestire gli equilibri tra le posizioni ideologiche del Partito dei Verdi che si è autoproclamato tutore del clima, se non mondiale quantomeno europeo, e le esigenze di salvare, almeno quel che resta, del tessuto produttivo dagli effetti della Energiewende. Ma se la locomotiva continua ad accusare sbandamenti può trascinare l’intero convoglio nel baratro…

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Giovanni Brussato