Tim, la vittoria di Elliott e la sconfitta di Vivendi
ANSA / MATTEO BAZZI
Economia

Tim, la vittoria di Elliott e la sconfitta di Vivendi

I francesi in minoranza nel consiglio di amministrazione. Ecco come si è formata contro di loro una coalizione tra vari fondi

Lo scarto di voti è stato minimo ma il risultato non lascia spazio a dubbi: nella battaglia per il controllo di Tim, la più grande compagnia telefonica italiana, c'è un vincitore e uno sconfitto. Il vincitore è l'hedge fund americano Elliott che fa capo al finanziere Paul Singer; lo sconfitto è il gruppo dei media francese  Vivendi, controllato da un altro finanziere, il bretone Vincent Bolloré.

Nell'attesa assemblea dei soci riunitasi il 4 maggio, Elliott e i suoi alleati sono riusciti a far eleggere 10 consiglieri di amministrazione su 15, votati dal 49,84% dei soci presenti. La lista di Vivendi ha ottenuto invece il 47,18% dei voti, mentre il 2,38% degli azionisti partecipanti all'assemblea si è astenuto. E così il colosso francese dei media, che in precedenza controllava di fatto Tim con una quota minoritaria di circa il 24% del capitale, si è dovuto accontentare di far eleggere appena 5 membri del consiglio di amministrazione (cda).

Il ruolo dei Proxy

Eppure, la partecipazione di Ellott nel capitale del gruppo di Tim è ben più modesta di quella dei soci transalpini. Da solo, il fondo americano detiene infatti appena l'8,8% del capitale ma, in vista dell'assemblea, ha saputo tessere una fitta tela di alleanze, incassando l'appoggio determinante di diversi investitori di peso.

Dalla parte dell'hedge fund d'oltreoceano si sono schierati per esempio le società di gestione italiane e straniere che fanno parte dell'associazione di categoria Assogestioni e che, con i loro fondi, detengono partecipazioni di minoranza in Tim. Hanno votato per i candidati di Elliott pure i proxy, società specializzate nel raccogliere le deleghe di voto in vista nell'assemblea tra i grandi investitori internazionali come i fondi pensione nordamericani.

Infine, particolare tutt'altro che trascurabile, a favore dei soci statunitensi è scesa in campo anche la Cassa Depositi e Prestiti, il braccio finanziario dello Stato controllato dal ministero dell'Economia, che nelle scorse settimane aveva rastrellato azioni Telecom Italia (questo è ancora il nome della società, mentre Tim è in realtà il marchio) raggiungendo una quota a del 4,9%

Una vera public company

Fondi pensione, società di gestione del risparmio italiane e straniere, hedge fund e la Cassa Depositi e Prestiti, cioè il governo. Si compone dunque così la vasta coalizione antifrancese che ha messo in minoranza Vivendi, proponendo un progetto diverso per valorizzare l'azienda, con il ritorno alla distribuzione dei dividendi quando sarà il momento e con la quotazione in borsa di un asset strategico come la rete di telecomunicazione nazionale.

“La maggioranza non è di nessuno”, ha scritto su Twitter il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che nei mesi scorsi ha avuto diversi contrasti con Vivendi proprio sulla questione della rete telefonica. Calenda ha anche aggiunto un auspicio: che Tim diventi una public company, cioè una società con un azionariato diffuso, in cui i soci si confrontano a viso aperto nell'assemblea e vanno alla conta dei voti in maniera trasparente.

Per Carlo Andrea Volpe, che dirige l'area di investment banking della casa d'affari Equita, Tim è già ormai una public company come auspica Calenda: “L’esito dell’assemblea di oggi è la conferma che in una società ad azionariato diffuso la maggioranza degli azionisti può e deve scegliere la formula di governance più rappresentativa degli interessi di tutti”, ha scritto Volpe in una nota ricordando, per correttezza, che Equita ha ricoperto il ruolo di consulente di Elliott nella raccolta di deleghe di voto nell'assemblea attraverso i proxy.

La pace dopo la battaglia

Ora che gli assetti dentro Tim sono ben definiti e si sa chi comanda, continuare a darsi battaglia non sembra però una scelta sensata per i soci. Non a caso, Elliott si è sempre detto disposto a riconfermare in carica l'amministratore delegato uscente Amos Ghenish, voluto dai francesi, mentre il più accreditato per la presidenza appare al momento un manager di lungo corso come Fulvio Conti.

Se Vivendi vuole restare azionista per lungo tempo della compagnia telefonica, probabilmente dovrà accettare questo compromesso. Ora, infatti, i numeri stanno dalla parte di Elliott e dei suoi alleati.



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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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