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(Ansa)
Economia

Tim apre le porte a Kkr, ma Vivendi è pronto alla guerra

Cosa è successo nel weekend ma soprattutto cosa potrebbe succedere nelle prossime settimane

Il Consiglio di amministrazione di Tim ha approvato l’offerta vincolante, presentata il 16 ottobre dal fondo americano Kkr, per NetCo. Operazione che però non include Sparkle, società che controlla i cavi di telecomunicazione sottomarini, che è stata oggetto di una offerta separata da parte di Kkr che però non è stata ritenuta sufficiente. L’accettazione dell’offerta porta con sé anche l’arrivo del ministero dell’Economia in Tim, dato che secondo il memorandum d’intesa siglato il 10 agosto, si prevede “l’ingresso del Mef nella NetCo nella percentuale fino al 20%”. Investimento che costerà al Mef circa 2,5 miliardi di euro. Accanto al Mef scenderà anche in campo il fondo F2i, gestito da Renato Ravanelli, che verserà un miliardo di euro per ottenere una quota tra il 10 e il 15%.

A livello di capitali, l’offerta NetCo (esclusa Sparkle) ha un enterprise value di 18,8 miliardi di euro, senza considerare eventuali incrementi derivanti dal potenziale trasferimento di parte del debito a NetCo e da earn-out, come potrebbero essere operazioni di consolidamento, che potrebbero aumentare il valore fino al 22 miliardi di euro.

Sull’intera operazione pesa però l’ostilità di Vivendi, azionista con una quota del 23,5% e del fondo Merlyn, che ricordiamo settimana scorsa aveva avanzato una proposta alternativa a quella del fondo americano Kkr. Questa era però stata ritenuta non in linea con il piano di delayering della società, come presentato agli investitori durante il capital market day di luglio 2022. Entrambi i soggetti si dicono pronti ad agire contro questa decisione del Cda. Merlyn si riserva la facoltà “di procedere con ogni possibile azione che porti il Cda a convocare al più presto un’assemblea dei soci dove poter decidere se il piano approvato in autonomia dal CdA sia quello che i soci desiderano per la loro azienda o se preferiscono un futuro differente e, a nostro avviso, migliore". E Vivendi si dice invece pronto ad utilizzare "ogni mezzo legale a sua disposizione per contestare tale decisione e tutelare i propri diritti e quelli di tutti gli azionisti".

Da cosa deriva l’ostilità di Vivendi?

Secondo Morningstar, per capire la posizione particolarmente rigida di Vivendi bisogna ricordare che per il suo 23,75% di Telecom ha speso quasi 4 miliardi di euro. Già tre volte ha dovuto svalutare la quota a 769 milioni di euro, con un perdita dunque di 3,15 miliardi, già messa nell’ultimo bilancio. Ai prezzi di oggi, il pacchetto francese varrebbe solo 1,3 miliardi. Vivendi è inoltre particolarmente preoccupata del possibile indebolimento patrimoniale che potrebbe derivare da una vendita della rete, e per questo ha fatto valutare, già da tempo, l’asset da una serie di banche d’affari, arrivando a una stima di circa 31 miliardi. Con il debito netto della società che al 30 giugno era salito a 26 miliardi, Vivendi “teme che la situazione possa diventare difficile da sostenere", sottolinea Morningstar. Alla luce di ciò deve dunque la posizione di Vivendi che ha dichiarato guerra, insieme a Merlyn, al Cda di Telecom. Da sottolineare come ovviamente che l’Amministratore delegato, Pietro Labriola, prima di muoversi per ratificare la proposta vincolante del fondo Usa ha fatto arrivare al Consiglio di amministrazione una serie di pareri legali che andavano a sostenere la legittimità dell’azione. Stessa cosa ha fatto Vivendi ottenendo responsi legali che supportano invece la tesi dell’illegittimità del voto messo in atto da Cda. Sulla questione si è anche esposto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dichiarando che “Il Mef ha partecipato all'offerta, abbiamo fatto un'offerta e il consiglio di amministrazione l'ha accettata. Adesso ovviamente gli azionisti hanno i loro diritti, li faranno valere nelle sedi opportune: però il progetto è quello”. Parole che mettono un chiaro punto sulla questione Tim- Kkr.

I nodi da sciogliere

Al momento restano però due temi aperti, di non poco conto. Da una parte il contratto, il master service agreement (Msa), che regolerà in futuro i rapporti tra Tim e Fibercop e dall’altra quanti dipendenti dovranno uscire dalla società. Punti che potrebbero trovare una risposta nelle prossime settimane, se Tim dovesse decidere di avviare la due diligence con Kkr, dato che si andrebbe verso la definizione del Msa.

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Giorgia Pacione Di Bello