paradisi fiscali
(Ansa)
Tasse

I nuovi paradisi fiscali, dai Caraibi all'Africa

La mappa dell'evasione fiscale all'estero si è spostata dalle isole caraibiche ai paesi del nord Africa, molto più difficili da controllare

Grazie all'entrata in vigore del Common Reporting Standard che pone fine al segreto bancario di alcuni paesi denominati per questo Paradisi Fiscali la pratica del voluntary disclosure (in pratica l'autodenuncia da parte di cittadini italiani che detengono capitali all'estero per poterli riportare in patria pagando una sanzione pecuniaria) sta lentamente cambiando la mappa dell'evasione fiscale nel mondo.

Il Common Reporting Standard è un accordo internazionale firmato nel 2014 che elimina il "segreto bancario" e promuove lo scambio di informazioni finanziarie fra i governi di 52 paesi (che sono diventate 92 nel 2018).

La collaborazione spontanea di questi paesi ha incentivato gli evasori ad aderire alla cosiddetta "voluntary disclosure"; ovvero una sorta di coming out fiscale che permette di dichiarare al Fisco l'avvenuta evasione senza incorrere in pesanti sanzioni.

Paradisi Fiscali: chi entra e chi esce

E così sono usciti dalla black list dei cosiddetti paradisi fiscali – ovvero quei paesi con tassazione minima dei redditi e dei capitali o pressione tributaria al di sotto del 20% o garanzia di segreto bancario assoluto - nazioni quali Svizzera, Lichtenstein, Città del Vaticano, San Marino, Montecarlo e molti altri.

Questo, però, non significa che gli "evasori redenti" non abbiano cercato (e trovato) nuovi rifugi per il proprio denaro.

I nuovi paradisi fiscali

Il denaro era pronto per essere spostato in Paesi a tassazione ridotta, canto delle sirene per gli evasori ovvero l'Albania e il nord Africa, in particolare l'Egitto, il Marocco e la Tunisia, principali destinazioni per importi superiori a 500mila euro non denunciati alla frontiera.

In Albania, ad esempio, una piccola impresa si apre in maniera agile in meno di 15 giorni e i fatturati inferiori a 36mila euro sono esenti da tasse, mentre fino a 60 mila c' è un' imposizione fiscale del 5%; per chi supera tale cifra ci si aggira intorno al 15%. In Egitto, invece, le tasse si pagano sulla base di un'autocertificazione del ricavato annuale e la pressione fiscale non supera il 14%.

Stesso discorso vale per il Marocco, dove, a fatica, è stato introdotto un sistema di tassazione progressiva e per scaglioni dove il massimo imponibile non supera il 20% del ricavato facendo si che anche questo Paese nordafricano rientri nei parametri che coprono l'ombrello semantico del concetto di "paradiso fiscale".

Cosa si intende per paradiso fiscale

A livello tecnico, infatti per essere definiti in questa maniera bisogna le nazioni, a livello tributario, devono rientrare in una di queste categorie stabilite dall'OCSE in base alla tipologia di tassazione o regime adottato ovvero: Pure Tax Haven, niente tasse e segreto bancario assoluto; No taxation on foreign income, che determina l'esclusione di ogni tassazione per i redditi esterni; Low taxation: tassazione modesta su qualunque reddito; Special Taxation, cioè regimi fiscale simile a quello dei paesi considerati normali ma con la possibilità di costituire società flessibili.

I dati dell'Agenzia delle Dogane e Monopoli

Dopo il brusco calo del 2020 a causa delle restrizioni conseguenti alla pandemia il trasporto di valuta via aerea al seguito dei passeggeri oltre confine, sia in uscita che in entrata dal nostro paese, ha ripreso il suo flusso. Secondo i dati riportati da IlSole24Ore le violazioni in materia valutaria intercettate dall'agenzia delle Dogane e dei Monopoli hanno fatto registrare una diminuzione delle violazioni meno negative rispetto ai periodi che hanno preceduto il Covid.

Nel primo semestre 2021 l'attività di controllo coordinata dall'agenzia delle Dogane e Monopoli ha consentito di intercettare in dogana 3.971 dichiarazioni valutarie, pari al 48% in più rispetto al 2020, per un controvalore in euro di oltre 523 milioni di euro. Dato, quest'ultimo, che se rapportato all'anno della pandemia, si traduce di fatto in un più 50% nei primi sei mesi dell'anno.

In termini di violazioni alle frontiere accertate dai doganieri, dal 1° gennaio al 30 giugno 2021 le Dogane hanno intercettato 2.487 soggetti che trasportavano illegalmente valuta per oltre 37 milioni di euro. Di queste violazioni 667 sono state registrate in entrata per più di 25,3 milioni di euro e i restanti 1.820, al contrario, erano pronti a trasferire illegalmente dall'Italia capitali per oltre 12 milioni di euro. Almeno due milioni al mese. Una volta intercettati alla frontiera ai novelli spalloni non è rimasto che definire con oblazione immediata, là dove la legge lo consente. In questo caso dei 2.487 soggetti pizzicati in sei mesi hanno definito subito la violazione con l'amministrazione in 2.367. Ai restanti 120 soggetti, invece, è toccato assistere al sequestro delle valute trasportate illegalmente.

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Barbara Massaro