Renzi e le riforme economiche, le cinque cose da fare
Lavoro, fisco, pubblica amministrazione, pensioni ed esodati. Le misure che il governo ha promesso e che deve ancora adottare
“Acceleriamo sulle riforme”. E' la promessa giunta ieri dal premier Matteo Renzi, che ha appena incassatouna netta vittoria alle consultazioni europee . Terminata la campagna elettorale, però, ora il governo si trova di fronte un'agenda economica molto fitta, con alcuni provvedimenti già messi in cantiere e altri ancora tutti da scrivere. Ecco, nel dettaglio, le principali riforme avviate (o soltanto promesse) dall'esecutivo.
Appena entrato in carica, il governo Renzi si è trovato la strada spianata sul fronte della riforma fiscale, poiché il Parlamento ha approvato nei mesi scorsi un disegno di legge delega, che conferisce ampi poteri all'esecutivo per il riordino della tassazione. Tra le misure programmate, c'è la riforma del Catasto, una nuova concertazione tra fisco e contribuenti per i contenziosi, maggiore lotta all'evasione tramite l'uso di strumenti di pagamento tracciabili (come il bancomat, gli assegni e le carte di credito). Per completare tutta la riforma, ci vorranno probabilmente diversi mesi. Di conseguenza, prende quota l'ipotesi che il governo approvi, già nei prossimi giorni, alcune misure più urgenti come l'introduzione della dichiarazione dei redditi precompilata dal 2015. In vista della Legge di Stabilità del prossimo autunno, il premier ha poi promesso di estendere il Bonus Irpef anche ai pensionati che guadagnano meno di mille euro al mese ma avrà bisogno di trovare 7 miliardi di euro di risorse.
Dopo l'approvazione del Decreto Poletti, che rende più flessibili i contratti a termine e l'apprendistato, ora il governo vuole accelerare sul disegno di legge delega di riforma il mercato del lavoro (il Jobs Act) che ha appena iniziato il proprio iter in Parlamento. La strada non sarà breve e l'approvazione del Jobs Act entro fine anno viene considerata già un buon risultato. Tra le misure contenute nel testo, che vanno però definite nel dettaglio, c'è l'allargamento degli ammortizzatori sociali ad alcune categorie di precari (come i collaboratori a progetto), la riforma dei Centri per l'impiego e la nascita di un nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma a tutele crescenti (nei primi 3 anni dall'assunzione, non sono previste le protezioni contro i licenziamenti stabilite dall'articolo 18). Il problema sarà però trovare le coperture finanziarie per alcuni provvedimenti, come quelli relativo agli ammortizzatori sociali.
Per cambiare la macchina dello stato, il governo si è impegnato a far arrivare in porto una nuova riforma entro la fine del mese di giugno. Si comporrà probabilmente di due parti: alcune misure più urgenti verranno varate subito, mentre altre saranno contenute in una legge delega che dovrà affrontare un lungo iter in Parlamento. Tra i provvedimenti messi in cantiere, ci sono nuovi programmi di digitalizzazione degli enti pubblici, licenziamenti più facili dei manager statali, maggiore mobilità degli impiegati da un ufficio all'altro e un programma prepensionamenti per svecchiare gli organici.
PENSIONI
In materia di previdenza, l'esecutivo non sembra affatto intenzionato a stravolgere l'impianto della riforma Fornero. Il ministro del welfare, Giuliano Poletti, si è però impegnato a risolvere entro il 2014 la questione degli esodati, cioè quei lavoratori anziani rimasti senza un impiego e senza il diritto alla pensione proprio a causa della riforma Fornero (che ha allungato di colpo l'età del pensionamento). Su questo fronte, tuttavia, l'esecutivo non ha ancora fatto proposte concrete e si è limitato a delle dichiarazioni di intenti un po' generiche.
EUROPA
Nella politica estera, il governo si trova probabilmente di fronte agli impegni maggiori. Dal primo luglio, l'Italia è presidente di turno dell'Unione Europea e il premier dovrà coordinare la politica economica di tutti gli stati Ue. L'esecutivo di Roma spera di poter far passare una revisione (anche parziale) del fiscal compact, cioè il trattato che ci impone di portare il debito pubblico al 60% del pil (dal 133% attuale) entro i prossimi venti anni. Sarà però difficile convincere la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ad accogliere le richieste italiane.