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Ansa/Alessandro Di Marco
Economia

Quotazione Fca, perché Marchionne non fa il road-show

Prima dello sbarco a Wall Street il numero uno della multinazionale dell'auto non incontrerà gli investitori. Strano? Un po', ma c'è una spiegazione

Il conto alla rovescia segna -22. Mancano ventidue giorni alla quotazione alla borsa di New York della Fca, la multinazionale dell’auto che controlla sia Fiat che Chrysler e che a sua volta è controllata con circa il 46% dei diritti di voto dalla famiglia Agnelli attraverso una finanziaria olandese.

Molti tasselli, ovviamente, sono ancora da mettere al loro posto, primo fra tutti il nome sia delle banche global coordinators che delle banche underwriters: le prime si dovranno occupare di promuovere il titolo Fca presso i potenziali investitori mentre i secondi sono quelle che si impegnano a comprare le eventuali azioni rimaste invendute. Ma, soprattutto, ciò che ancora manca è il prezzo di vendita del titolo e la quantità delle azioni che l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha deciso di collocare sul mercato. Nonostante queste informazioni non siano ancora state comunicate (anche se, con ogni probabilità, Marchionne ha già preso una decisione su tutto) alcuni dettagli si possono già mettere in fila.

Il più importante è che è quasi certo che Marchionne non farà nessun road-show prima della quotazione, prevista per il 13 ottobre. Probabilmente lo farà dopo. Il road-show consiste in una specie di “giro delle 7 chiese” durante il quale il top management della società candidata alla quotazione incontra i maggiori investitori del mondo per convincerli a comprare il maggior numero di azioni in vendita. Scelta curiosa: rara, non scandalosa, ma certamente curiosa. Marchionne non ha alcuna necessità, evidentemente, di convincere nessuno a comprare le azioni Fca perché, si può supporre, ha già avuto rassicurazioni che i titoli che verranno venduti sono già stati prenotati dagli attuali azionisti della società. E questa è un'ottima notizia.

Ma c’è un’altra lettura di questa decisione. Durante il road-show gli investitori e i loro analisti ce la mettono tutta per mettere in difficoltà il management ponendo loro le domande più complicate cercando di individuare i punti deboli dell’azienda. Probabilmente è per evitare questo tipo di “interrogatorio” che Marchionne ha deciso di evitare di incontrarli oprima della quotazione. Li vedrà dopo.



Tra le tante domande “difficili” che potrebbero essere fatte al numero uno di Fca alcune si possono trarre ispirazione dal report recentemente diffuso da Mediobanca. La banca d’affari milanese, che, insieme ai più grossi istituti mondiali, punta legittimamente ad ricoprire un ruolo nell’intera operazione, scrive infatti che Fca potrebbe optare per un aumento di capitale mentre invece dai documenti presentati nella conferenza stampa di maggio a Detroit si desume che l’intenzione di Marchionne è quella di emettere un prestito obbligazionario convertibile per 1,5-2 miliardi di euro. Sempre Mediobanca scrive che la Ferrari potrebbe essere quotata, in alternativa sia all’aumento di capitale sia all’emissione di obbligazioni. Ma anche questa opzione è stata esclusa da Marchionne in occasione dell’incontro con i giornalisti il giorno del licenziamento del presidente della Rossa, Luca Cordero di Montezemolo (che era presente).


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Più probabile, invece, un aumento dei ricavi della casa di Maranello. Secondo la banca d’affari fondata da Enrico Cuccia la produzione di rosse potrebbe arrivare a quota 10-12mila entro il 2018. Attualmente, proprio per decisione di Montezemolo, le Ferrari prodotte ogni anno sono solo 7mila: aumentarne la produzione porterebbe maggiori ricavi e maggiori utili (quelli per il 2014 sono staimati in 400 milioni di euro) ai quali Marchionne, in perenne debito di ossigeno finanziario, non vuole rinunciare. Ma l’aumento di produzione dovrebbe essere inferiore, al massimo 8.500 vetture l’anno sempre entro il 2018, in modo da non intaccare l’esclusività del marchio, che poi è la vera forza di Maranello. L'aumento della produzione di Ferrari è la migliore conferma che il licenziamento di Montezemolo è avvnuto, oltre che pèer endemici motivi caratteriali, per una diversa visione del futuro della Rossa che, con Marchionne presidente, potrebbe essere "spremuta" il più possibile per ottenere quegli utili che Fiat non fa.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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