Perché la Russia ha alzato i tassi di sette punti
Economia

Perché la Russia ha alzato i tassi di sette punti

L'operazione della banca centrale è stata fatta per difendere il rublo, come nel 1992 fece già la Bank of England. Ma stavolta Mosca è vicina al collasso

La Russia è vicina al collasso valutario. E nel tentativo di difendere il rublo, la banca centrale russa ha innalzato il tasso d’interesse principale di quasi sette punti percentuali, dal 10,5% al 17 per cento. Una mossa shock che, sulle prime, ha rafforzato la divisa russa contro le altre monete. Ma il deterioramento della fiducia degli investitori internazionali è tale che il rimbalzo è durato poco. Ora Mosca rischia un isolamento sempre più marcato. 

Dobbiamo difendere il rublo dagli attacchi che sta subendo

Il precedente del 1992

Come nel 1992. Come il Regno Unito. Come la Bank of England. La mossa decisa da Elvira Nabiullina, governatrice della Bank Rossii e già consigliere economico del presidente Vladimir Putin, ricorda molto da vicino quella della Bank of England del 16 settembre 1992, quindi 22 anni e tre mesi fa. In quel mercoledì, ricordato come il "Mercoledì nero", la banca centrale inglese decise di innalzare il costo del denaro di cinque punti percentuali. Una scelta condotta dal Cancelliere dello scacchiere Norman Lamont e dal governatore della Bank of England Robin Leigh-Pemberton, accettata anche dal premier John Major, il successore di Margaret Thatcher. Il motivo? Il fondo Quantum del finanziere George Soros aveva deciso, il giorno prima, di vendere allo scoperto più di 10 miliardi di dollari in sterline. Un azzardo, per molti. Un magnifico trade, per Soros. Dato che la Bank of England non stava agendo secondo quanto fatto dalle altre banche centrali del Sistema monetario europeo (Sme), che stavano innalzando i tassi, Soros decise di agire. Il risultato? L’uscita del Paese dallo Sme, seguito poi dall’Italia, anch’essa finita nello stesso circolo negativo del Regno Unito. 

La posizione di Mosca

Un déjà vu che serve a capire che cosa accade nei nostri giorni. Mosca si trova in una posizione ben peggiore di quella di Londra nel 1992. Dopo mesi di sanzioni economiche e politiche, ora la Federazione Russa sta iniziando a sentirne il peso. Nei mesi scorsi la banca centrale russa ha innalzato per sei volte il tasso d’interesse e ha condotto diverse operazioni in dollari per sostenere il rublo. Azioni che però sono servite a poco. Troppa la sfiducia degli operatori finanziari internazionali, troppo il deterioramento dell’economia, troppo limitate le riserve di valuta estera. La potenza di fuoco della Bank Rossii infatti sta venendo meno: in cassa ci sono riserve per circa 80 miliardi di dollari. Inoltre, da inizio anno a oggi sono fuggiti dal Paese capitali per circa 120 miliardi di dollari, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi). Non si può escludere, quindi, che Mosca chieda una mano proprio al Fmi, se la congiuntura dovesse peggiorare.

Le differenze con il 1992

Se nel 1992 c’era solo un grande fondo contro la Bank of England, ora contro la Russia ci sono praticamente tutte le società occidentali. Non è un caso. Basti pensare a dove stanno cercando i rendimenti gli investitori internazionali. Esaurita la corsa positiva sul mercato obbligazionario europeo, nel quale i rendimenti ogni giorno battono nuovi record al ribasso, e finiti i rally sull’azionario statunitense, sono rimaste due classi di asset in grado di solleticare l’appetito degli operatori: i subordinati bancari e il forex, cioè il mercato valutario. Le posizioni contro il rublo aumentano sempre di più. Solo nella giornata di ieri, alla vigilia dell’annuncio della Nabiullina, il rublo si era deprezzato del 10% nel cross contro il dollaro. "È un trade consigliato anche nel medio periodo", aveva scritto la scorsa settimana la banca statunitense Morgan Stanley. E infatti le posizioni contro la divisa russa sono aumentate ancora di più. 

La reazione dei mercati

La reazione degli investitori era prevedibile: shock totale. Due i motivi: la tempistica dell’operazione e il reale stato della situazione finanziaria della Federazione Russa, palesemente peggiore delle attese. Secondo Pavel Laberko, capo della divisione Russian Equities di Union Bancaire Privée, potremmo aspettarci di più nelle prossime settimane. “Data la prolungata debolezza del prezzo del petrolio e la chiusura dei mercati globali dei capitali alle società russe, non dovremmo sorprenderci se fossero attuate ulteriori misure, tenendo comunque conto degli effetti degli ultimi interventi”, dice Laberko. Il rischio concreto, tuttavia, è un altro. Se è vero che una mossa del genere può dare sollievo sul mercato valutario, è altrettanto vero che gli effetti collaterali non si possono sottovalutare. Come ricorda Laberko, il primo boomerang sarà “una ricaduta negativa sulla crescita economica del Paese, a causa dell’aumento del costo del denaro”. Una debolezza che contagerà anche il sistema finanziario. “Le banche locali saranno le prime a subire il colpo. Ora, possiamo aspettarci di sentire sempre più notizie su istituti di credito russi non in grado di continuare la propria attività”, afferma l’analista di Union Bancaire Privée. 

Lo scenario intorno alla Federazione Russa potrebbe diventare apocalittico

Cosa attendersi 

Più netta la visione di UBS. "L’economia russa è sempre più debole e ora si sta mostrando la potenza delle sanzioni economiche introdotte da Unione europea e Stati Uniti. O Putin decide di tornare sui suoi passi con Ucraina e resto del mondo oppure per la Federazione Russa potrebbe avviarsi una fase molto dura", scrivono gli analisti della banca elvetica. A peggiorare la situazione, infatti, c’è anche il calo del costo del greggio, oggi sceso quota 60 dollari al barile. Secondo le parole della Nabiullina, se il petrolio si mantenesse intorno a questo livello nel medio termine, il Pil della Federazione Russa potrebbe contrarsi di almeno 4,5 punti percentuali nel 2015. Uno scenario che la banca anglo-asiatica HSBC ha definito "apocalittico".

Per Putin il peggio forse non è ancora arrivato. 

La Russia di Putin vicina al collasso

Irene Kung/Forma Galleria
Cattedrale di San Basilio, Mosca, 2014.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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