Perché la Cina non sostiene le banche
La politica monetaria restrittiva di Pechino serve a non creare bolle speculative. Anche se sta mettendo in crisi le Borse internazionali
E' possibile che anche la Cina sia a corto di liquidità? Come mai dopo che Ben Bernanke ha ufficializzato l'intenzione della Federal Reserve di iniziare a ridurre la quantità di denaro attualmente in circolazione la Borsa di Shanghai ha perso il 5,8% del suo valore, scendendo ai livelli più bassi dal 2009? Quanto è reale il "rischio Cina", vale a dire la possibilità che si verifichi un corto circuito nel sistema bancario orientale? E' vero che Pechino ha intenzione di lasciare le banche "sole" pur di smettere di immettere liquidità nel sistema? E quali conseguenze potrebbe vere una scelta di questo tipo sui mercati internazionali?
Per capirlo dobbiamo anzitutto ricostruire i fatti e riassumere le dichiarazioni del vicepresidente della divisione di Shanghai della Banca centrale cinese (People's Bank of China). Poi valutare quale sia l'effettivo stato di salute del sistema bancario cinese, visto che sono anni che economisti e analisti sostengono che sia talmente in crisi da rischiare il collasso se non verrà coinvolto in una profonda e sostanziale ristrutturazione.
Se la situazione non fosse grave la Banca centrale cinese non avrebbe organizzato una conferenza stampa per spiegare cosa sta succedendo. Eppure, mentre in conferenza stampa il vicepresidente Ling Tao si è limitato a dichiarare che "un'appropriata gestione della liquidità contribuirà a mantenere adeguata la crescita del credito", in un successivo comunicato è stato precisato che "se la banche avranno ammanchi temporanei di denaro, la Banca centrale le sosterrà con iniezioni di liquidità".
Se si considera che a poche ore di distanza da questa "rettifica" lo stesso istituto aveva palesato la propria intenzione di effettuare una stretta creditizia per frenare le attività speculative e le attività delle banche "ombra", chiedendo alle banche più grandi di aiutarla a stabilizzare il mercato evitando che i piccoli istituti "puliti" venissero travolti dalla nuova misura, è evidente come il Partito ha deciso di seguire una nuova politica monetaria, ma non è ancora chiaro come questo drastico cambiamento verrà gestito. Così come non è chiaro il modo in cui gli aumenti etichettati come "stagionali" del tasso di mercato interbancario (passati rapidamente dal 3 al 10 e persino al 25%) potranno essere "presto" riportati a livelli "ragionevoli".
Per identificare l'origine del problema è necessario fare un altro passo indietro. Ricordando come l'enorme quantità di denaro che tra il 2008 e il 2009 Pechino ha deciso di immettere nel mercato cinese per far fronte alla crisi economica abbia favorito la proliferazione di banche ombra (vale a dire istituti non bancari che offrono ugualmente crediti) e alimentato la bolla speculativa dell'immobiliare. Ecco quindi che, in una fase in cui il governo ha presentato la corsa all'urbanizzazione come la strategia migliore per rilanciare la crescita nazionale, una ristrutturazione del sistema bancario diventa ancora più urgente visto che la nuova ricetta di benessere dipende da investimenti e crediti garantiti al mercato immobiliare.
Non essendo ancora pronta a implementare la maxi-ristrutturazione di cui dibattono gli economisti, Pechino ha deciso di arginare il problema delle banche ombra riducendo il credito ad esse destinato. Se il mercato interbancario del gigante d'Oriente è davvero del tutto a corto di liquidità non possiamo saperlo. E' tuttavia verosimile credere che questa improvvisa manovra restrittiva sia di fatto funzionale a raggiungere altri due obiettivi: stabilizzare il mercato dei crediti e rilanciare la crescita attraverso una massiccia opera di urbanizzazione, che andrà a sua volta finanziata, ma in maniera virtuosa, per evitare di ritrovarsi anche nel prossimo futuro ad affrontare problemi simili a quelli di oggi.
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