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Economia

Perché l'instabilità politica dell'Italia pesa sui rapporti con la UE

La crescita c'è ma le risorse non vengono investite. La Ue ha ragione: l'Italia resta in un circolo vizioso. E le prossime elezioni non aiuteranno

C’è una sola certezza, oggi, su cosa accadrà a primavera, subito dopo le elezioni: chiunque vinca dovrà trovare al più presto un bel pacchetto di miliardi per coprire i buchi lasciati da questa legislatura ormai al tramonto. Secondo le stime dell’Unione europea, per quest’anno mancano 2,7 miliardi di euro per rispettare gli impegni di bilancio concordato, cifra che sale a 3,5 miliardi nel 2018. Il compito sarà ancor più duro se non vincerà nessuno in modo chiaro e netto, creando un vuoto politico da riempire con espedienti come i governi tecnici, istituzionali, del presidente che dir si voglia.

La lettera della Ue

Il 22 Novembre arriveranno conti più precisi nella lettera che la commissione invierà al governo, ma il falco finlandese Jirky Katainen ha già detto chiaro e tondo che le cose non vanno bene e l’ha sparata grossa (“Le cose non stanno migliorando - ha detto - e tutti gli italiani dovrebbero essere informati sulla vera situazione economica”), smentendo almeno in parte la colomba francese Pierre Mosovici. È probabile che i due commissari, il primo alla competività il secondo alle politiche monetarie, obbediscano a una logica politica diversa: Katainen, conservatore, vice presidente del Partito popolare europeo, non concede nessuno sconto al governo italiano di centro-sinistra a differenza dal socialista Moscovici. Ma è molto più plausibile che facciano il gioco del poliziotto buono e di quello cattivo.

La lettera consentirà di capirlo meglio. In ogni caso la commissione mette il suo cappello sulla politica di bilancio del prossimo parlamento e getta una doccia fredda sugli entusiasmi di Paolo Gentiloni (sia pur temperati dal suo carattere) e sulle certezze ostentate da Pier Carlo Padoan. Entrambi giurano che i conti sono sotto controllo e la crescita è ormai stabile contestando le previsioni delle istituzioni internazionali secondo le quali il prodotto lordo rallenterà già fra un anno. È vero che i pronostici degli economisti sono come quelli dei sondaggisti, ma quello del governo sembra più che altro ottimismo della volontà.

I numeri della ripresa

La ripresa c’è, sia chiaro, anzi ogni mese che passa sembra che la congiuntura economica vada meglio: il terzo trimestre ha messo a segno un più 1,8% la percentuale più alta dal 2011, in valore assoluto sono circa 400 miliardi di euro, un livello che mancava da anni. Se le cose continuano così, la crescita di un punto e mezzo è garantita. Tenendo conto dell’inflazione, per quanto bassa, si va oltre un amento del 2,5% in termini nominali, rendendo più vicina la riduzione del debito in rapporto al pil.

Il governo spera che ciò avvenga dal 2019 e di portare il bilancio vicino al pareggio l’anno seguente, ma forse le cose potrebbero andar meglio. Non ci credono molto a Bruxelles e nemmeno al Fondo Monetario, e le loro stime collocano il debito ancora sopra il 130%; nei prossimi mesi vedremo chi ha ragione, in ogni caso il macigno resta gigantesco e nessuna forza politica ha messo finora nel proprio programma elettorale di intaccare questa montagna che schiaccia l’economia italiana.

Le incognite sono tante, la prima è la riduzione dell’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce. Da aprile a dicembre di quest’anno la banca centrale europea acquisterà buoni del Tesoro per 7 miliardi al mese invece dei 9 miliardi precedenti. Quindi 63 miliardi sui circa 400 emessi. Un certo rallentamento è in corso e l’anno prossimo sarà peggio, meglio prepararsi al momento in cui si chiuderà il paracadute di Mario Draghi. È un cambiamento d’orizzonte fondamentale che rende ancor più complicato anche il puzzle politico.

La minaccia dell'instabilità politica

Se vincerà il Movimento 5 Stelle, è prevedibile una sorta di effetto Catalogna con fuga dei capitali e aumento dello spread. Ma anche se prevalessero i partiti di centro-sinistra o di centro-destra senza ottenere una maggioranza solida, a chi muove il denaro sui mercati arriverà un messaggio molto chiaro: la solita Italia torna nel limbo della instabilità politica. Le parole poco diplomatiche di Katainen non fanno che anticipare questo giudizio, in previsione di un esito delle urne che, con la nuova legge elettorale, non promette certezze.

La stessa ripresa, del resto, è inferiore a quella di molti paesi concorrenti come la Spagna (+3,1%) e la Germania (+2,2%) mentre appare segnata da alcune debolezze di fondo. La prima è legata alla domanda interna. È vero che i consumi stanno riprendendo, tuttavia la produzione industriale finora è tirata in modo prevalente dalle esportazioni. Restano stagnanti e inefficienti i servizi, non solo quelli pubblici, ma quelli privati dove la rivoluzione digitale è arrivata in ritardo rispetto alle imprese manifatturiere. La produttività è inferiore alla media e lontana da quella tedesca, il che schiaccia verso il basso i salari mentre, al contrario, ci sarebbe bisogno di aumentarli come ha avvertito anche Draghi.

La crescita, dunque, non è sufficiente a risolvere le cause di fondo della stagnazione italiana: il debito pubblico troppo alto e la produttività troppo bassa. Grandi risorse che provengono dalle tasse e dai risparmi delle famiglie vengono assorbite dallo stato anziché essere indirizzate verso gli investimenti, ciò a sua volta riduce l’efficienza e blocca la crescita della produttività. È questo il circolo vizioso che intrappola l’Italia. Si fa presto a prendersela con la Ue e a protestare perché mette una ipoteca sul futuro governo, l’antipatico Kattainen non ha tutti i torti: le fake news (un tempo si chiamavano bugie) hanno le gambe corte, agli elettori è sempre meglio dire la verità.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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