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ANSA/INGENITO
Economia

Lucia Morselli, la donna che risolve problemi (costi quel che costi)

Ritratto dell'attuale Ad di ArcelorMittal che sta trattando l'uscita dall'Ilva di Taranto, a costo di tagli pesanti

Acque trasformate in sangue, rane che camminano nel letto, zanzare e mosche velenose, epidemie di bestiame, pioggia di ceneri, grandine. In fondo non è importante stabilire se la nomina ad amministratore delegato di Lucia Morselli in un’azienda annunci, accompagni o scateni le punizioni bibliche. O se sia essa stessa l’Ottava piaga d’Egitto. C’è che quando il 15 ottobre scorso i franco-indiani di ArcelorMittal hanno annunciato il suo ingaggio alla guida dell’ex Ilva di Taranto, il governo del soave Giuseppe Conte, «l’avvocato degli italiani» devotissimo a Padre Pio, avrebbe fatto meglio a correre a Pietrelcina e ad acquistare una camionata di ceri. Perché dove c’è da tagliare costi umani, dove gli azionisti stranieri decidono di commissionare un dirty job rapido ma doloroso, prima o poi spunta lei, Nostra Signora degli esuberi, 63 anni, qualche migliaio di posti di lavoro scomparsi alle spalle, un marito che l’aspetta a casa da anni perché forse ha imparato a non aprire le raccomandate.

Nel film Tra le nuvole, una commedia del 2009 del canadese Jason Reitman, il protagonista è un «tagliatore di teste» o, se preferite «ristrutturatore», che attraversa gli Stati Uniti con una valigetta piena di organigrammi, incentivi alle dimissioni, favolette e minacce varie. Sul grande schermo, dove comunque è lecito sognare, ha la faccia di George Clooney. Nella vita reale, invece, abbiamo Morselli da Modena, che avrebbe quasi l’età per usufruire di Opzione Donna (il pensionamento anticipato per signore), ma difficilmente ne approfitterà perché è lei stessa un’opzione, finale. Opzione Morselli, dunque adesso è finita nel mirino della magistratura di Taranto e di Milano, con i pm che sospettano una volontà distruttiva di ArcelorMittal nei confronti dell’Ilva. Una specie di suicidio aziendale che è culminato nella comunicazione del 4 novembre al governo, in cui Arcelor restituiva le chiavi di Taranto e recedeva dal contratto in modo unilaterale.

Tra i reati contestati dalla Procura di Milano c’è anche quello di false comunicazioni al mercato e qui riveste un ruolo particolare il comunicato del 15 ottobre con cui il gruppo annuncia la sostituzione di Matthieu Jehl come presidente e ad di ArcelorMittal Italia con Lucia Morselli. La quale, prontamente dichiara: «Non esiste forse oggi in Italia una sfida industriale più grande e più complessa di quella degli impianti dell’ex Ilva. Sono molto motivata dall’opportunità di poter guidare ArcelorMittal Italia, e farò del mio meglio per garantire il futuro dell’azienda e far sì che il suo contributo sia apprezzato da tutti gli stakeholder».

Come ci si possa spingere a dichiarazioni del genere, pur nell’euforia di un ricco ingaggio appena firmato, e poi mettere a rischio diecimila posti di lavoro con un tratto di penna, è un fenomeno che accerteranno i pm milanesi.

Le biografie ufficiali di Opzione Morselli consegnano un elenco di incarichi via via orientati sempre più alla conservazione di posti di lavoro. Ma grazie alla scomparsa di altri posti di lavoro. Dopo la laurea a pieni voti in matematica, a metà anni Ottanta esordisce in Olivetti, poi passa alla consulenza in Accenture, quindi cinque anni nel pubblico con Finmeccanica, a cavallo degli anni Duemila lavora per Rupert Murdoch, poi guida Tecnosistemi, Mikado, Ipi, Bioera, la Magiste Internarional di Stefano Ricucci, Berco, le acciaierie tedesche di Terni e oggi siede nei cda di Essilor-Luxottica, Snam, Sisal, Tim e perfino nella Ital Brokers di Franco Lazzarini, gruppo assicurativo ligure da sempre vicinissimo a Claudio Burlando e Massimo D’Alema. E se negli ultimi tempi Morselli era stata accostata con qualche esagerazione ai 5 Stelle, con i quali comunque mantiene buoni rapporti, resta un manager cresciuta alla scuola «meritocratica» di Franco Tatò (con il quale è in società).

Agli amici però ama ripetere che «per fare carriera, le buone relazioni purtroppo contano per il 75 per cento». Lei, oltre a Tatò, non ne ha tantissime, anche se ben selezionate. E se in Telecom l’hanno voluta gli americani del fondo Elliott, pochi sanno che Morselli è in ottimi rapporti con l’ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti e la sua università al centro di uno scandalo spionistico internazionale come la sparizione del professor Joseph Mifsud. Ed eccola che figura come «co-programme leader» del corso di laurea magistrale in Gestione aziendale della Link Campus University.

La ritroviamo però anche nel World Economic Forum come esperta di cambiamenti climatici, forse in virtù della quantità di altoforni che è in grado di spegnere da sola. E per chi pensasse che abbia un profilo interamente laico, eccola invece anche nell’advisory board della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

Cugina prima di Luca Campedelli della Paluani (e del Chievo calcio), diventata manager di primo piano nelle comunicazioni con Telepiù e NewsCorp, va detto che Morselli ha sempre «ristrutturato», ma è nella siderurgia che ha mostrato la propria tempra. La tattica è questa: spara subito un numero esagerato di licenziamenti, tiene alta la tensione con i sindacati, poi improvvisamente «cede» e firma un accordo. Dopo di che se ne va nel giro di poche settimane, pronta per un’altra campagna come il suo idolo, Napoleone Bonaparte.

Tra il 2013 e il 2014, i tedeschi della Thyssen la mettono alla guida della Berco per tagliare tutto il tagliabile. Dichiara subito 611 licenziamenti, si scatena una battaglia sindacale durissima, e alla fine sigla la pace portando a casa comunque 438 esuberi concordati. Intervistata da Gabriele Fazio sul Fatto Quotidiano, dirà: «Mi sentivo la protagonista de Il diavolo veste Prada, ma era necessario. Ne ho licenziati 600 ma ne ho salvati duemila. Prima degli operai i primi a saltare sono stati i dirigenti».

Dopo poche settimane, passa alle acciaierie di Terni, dove minaccia subito 550 licenziamenti e in due anni ingaggia un corpo a corpo mai visto con operai e impiegati, sindacati, politici e perfino preti. Non la sopportavano neppure prefetti, carabinieri e poliziotti, che la dovevano scortare ogni santo giorno in azienda, visto che lei si ostinava a dormire in un resort extralusso dalle parti di Todi. Leggende dell’epoca narrano che nel pieno di uno sciopero record da 35 giorni, con lei assediata in ufficio da 14 ore anche per la bella idea di bloccare gli stipendi, il prefetto sia andato a parlarle e l’abbia trovata con le scarpe sulla scrivania. «Se può tirare giù i piedi dal tavolo, io in fondo rappresento lo Stato», le disse. Morselli del resto sa essere alla mano, passa subito al tu con tutti i collaboratori, alcuni dei quali giurano che sia addirittura «simpaticissima». Fu forse in uno di questi slanci di simpatia che la notte del 23 ottobre 2014 fece fermare la macchina davanti ai cancelli dell’Ast di Terni e si mise a discutere con gli operai.

Raccontano che una buona metà, non avendone percepito appieno la femminilità, volesse direttamente picchiarla; ma gli altri l’hanno protetta e si sono messi a discutere con lei, che spiegava di voler salvare lo stabilimento, di poter incentivare un bel po’ di esodi e così via. I sindacati non la presero bene, l’accusarono di voler dividere i lavoratori e la denunciarono per condotta antisindacale. Poi, la firma di un accordo che salvava Terni e riduceva gli esuberi a 290 (tutti incentivati) ha ovviamente fatto cadere la faccenda, che resta però indicativa del personaggio. E quella notte ai cancelli, alla fine, non aveva mentito.

Ora rispunta a Taranto, con questo sospetto terribile che aleggia sulla sua testa di essere il becchino dell’acciaieria per conto dei soliti committenti stranieri. Ma visto il personaggio, alla fine potrebbe anche trovare un accordo con il governo e i sindacati, perché gli accordi, comunque, li sa chiudere. Ai pm, però, dovrà spiegare la natura del suo mandato e non potrà dire di avere studiato il dossier solo da un mese. Sospettano che ArcelorMittal abbia preso Taranto solo per toglierla al concorrente Jindal, prenderne i clienti e poi spegnere tutto quanto? Ebbene, a maggio del 2017, chi andò dall’allora ministro Carlo Calenda a trattare per conto di Jindal e Cdp fu proprio Lucia Morselli. Le prossime settimane diranno se, sull’ipotesi penale di «distruzione di mezzi di produzione» reato punito con la reclusione da tre a 12 anni, la scelta degli indiani di Opzione Morselli non sia direttamente il corpo del reato. © riproduzione riservata

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Francesco Bonazzi