Economia

Italiani poveri: chi potrebbe diventarlo

Nel nostro Paese ci sono 2,6 milioni di persone che rischiano l'indigenza anche se lavorano. Colpa di disuguaglianze e precariato

Sono in totale 2,6 milioni di persone, corrispondenti all’11,7% della forza lavoro. Sono i working poor di tutta la Penisola, cioè gli italiani che rischiano di diventare poveri anche se hanno un’occupazione. A rivelarlo nei giorni scorsi sono stati i dati di Eurostat (l’istituto di statistica dell’Ue) che ha inserito il nostro Paese nella top five delle nazioni con il maggior rischio di povertà.

Solo in Grecia (14,1%), Spagna (13,1%) e in Lussemburgo (12%) si registra una quota di working poor maggiore che a Sud delle Alpi. I dati si riferiscono al 2016 e attestano una crescita su base annua di 2,2 punti percentuali della quota di italiani a rischio povertà. Alla base di questo incremento, c’è soprattutto una ragione: la prolungata crisi economica, che in quasi 10 anni ha lasciato un segno profondo.

Precari e con pochi soldi

L’alto numero dei working poor è però legato anche alla tipologia di inquadramento dei lavoratori. La quota di persone a rischio povertà è infatti ben superiore alla media tra chi è assunto con un contratto part-time (15,8%) e chi ha un lavoro a tempo determinato (16,2%) mentre è ampiamente inferiore tra chi ha un inquadramento stabile (5,8%) o tra chi fa l’orario full time (7,8%).

Ma cosa significa, di preciso, essere a rischio povertà? Il parametro preso a riferimento da Eurostat (che non fa altro che mettere assieme le elaborazioni di ogni istituto nazionale di statistica come l’italiano Istat), è una soglia di reddito che varia a livello geografico. In particolare, vengono considerate a rischio povertà le famiglie di lavoratori che hanno un reddito uguale o inferiore al 60% del reddito mediano del paese in cui abitano.

Il parametro preso a riferimento, dunque, è un indicatore di povertà relativa che varia anche a seconda della composizione della famiglia. In linea di massima, lo spartiacque è attorno a 640 euro mensili per un single, a poco meno di 1.100 euro per una famiglia con due persone e a 1400 euro per un nucleo familiare di 3 persone. I 2,6 milioni di working poor a rischio povertà si aggiungono poi agli altri 4,5 milioni di nostri connazionali che, secondo l’Istat, sono già in una condizione di povertà assoluta.

Diseguaglianze in crescita

Ma c’è un altro dato statistico che merita attenzione. A rivelarlo nei giorni scorsi è stata Bankitalia, nella sua consueta indagine annuale sui bilanci delle famiglie. Secondo gli analisti dell’authority di Palazzo Koch, negli ultimi 12 mesi è aumentato del 3,5% il reddito disponibile delle famiglie. Tuttavia, dopo 10 anni di crisi economica, sono cresciute notevolmente anche le disuguaglianze, misurate da un particolare indicatore statistico che si chiama indice di Gini.

Nell’arco di un decennio, l’indice di Gini è salito da 0,32 a 0,34, riportando gli squilibri di reddito nel nostro Paese agli stessi livelli che si registravano negli anni ’90 del secolo scorso. Si tratta di un balzo indietro di un ventennio che spiega perché nella Penisola ci sono così tanti working poor.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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