Facebook azioni
Photo by Spencer Platt/Getty Images (2018)
Economia

Il crollo di Facebook in Borsa? Colpa degli utenti

Il social network dell’amicizia fatica a trovare nuovi amici, soprattutto in Europa. Da qui la preoccupazione degli investitori

Chi l’ha detto che le sorti azionarie di un’azienda sono lo specchio fedele delle sue performance economiche? Il tonfo di Facebook in Borsa (-20% nella seduta di ieri, 25 luglio) ha molto da insegnare in questo senso. Soprattutto a chi studia le dinamiche che regolano il variegato (e complesso) mondo della digital economy.

  • I fatti - Nel giorno in cui Facebook ha annunciato l’ennesima trimestrale record - 13.23 miliardi di dollari rastrellati fra aprile e giugno di quest'anno (+42% rispetto allo stesso periodo dello stesso anno) - il Nasdaq ha punito la società di Menlo Park con la più grande battuta d’arresto della sua (pur breve) storia azionaria. In una sola seduta, di fatto, Facebook ha “bruciato” 120 miliardi di dollari (l'equivalente dei suoi guadagni del 2018).

  • I motivi del tracollo - Sarebbero due, secondo gli analisti, le ragioni che hanno indotto gli investitori a vendere così tante azioni in così breve tempo. La prima riguarda lo scostamento dalle previsioni di guadagno formulate nella precedente trimestrale: 13,23 miliardi di dollari, appunto, contro i 13,4 attesi. La seconda - decisamente più rilevante - riguarda il numero degli iscritti: 2.23 miliardi di utenti, un numero mostruoso ma praticamente invariato rispetto al recente passato (+1.54% lo scarto rispetto al trimestre precedente).

  • Un social saturo? - Il vero problema di Facebook riguarderebbe dunque l’appiattimento della curva di adozione. Dopo aver tagliato in scioltezza il traguardo dei 2 miliardi di utenti, il libro blu dell’amicizia sembra aver frenato il suo slancio. Fisiologico verrebbe da dire. Senza l’ausilio della Cina (nazione in cui il servizio è bannato al pari di WhatsApp e Google), Facebook non ha molti nuovi bacini da cui attingere, tenuto conto dei problemi di digital divide che ancora affliggono buona parte del globo.

  • Le scorie di Cambridge Analytica - Ma c’è dell’altro. C’è la preoccupazione che quanto successo a seguito dello scandalo Cambridge Analytica abbia in un certo senso lasciato un segno indelebile nell’opinione pubblica, soprattutto quella europea. Il dato è incontrovertibile: nel Vecchio Continente ci sono oggi 279 milioni di utenti censiti, che sono meno dei 282 milioni registrati nel trimestre precedente. Che la colpa sia di Cambridge Analytica o del successivo GDPR, poco importa a questo punto: Facebook deve trovare il modo di riconquistare la fiducia dei suoi utenti, soprattutto di quelli che non sono più disposti ad accettare compromessi a livello di privacy.

  • Spese in aumento - Non c'è molto tempo da perdere, ammoniscono gli osservatori più attenti, considerato il livello di spesa in continuo auaumento. Sotto questo profilo, il 2018 dovrebbe chiudersi con aggravio dei costi del 50-60% rispetto al 2017. Solo per il controllo delle fake news e delle altre aree a rischio sicurezza, lo ricordiamo, Facebook ha promesso di raddoppiare gli sforzi di vigilanza, mettendo a libro paga altri 15mila poliziotti digitali.

  • AAA alternative di business cercasi (anche nelle altre piattaforme) - E se il numero di utenti non dovesse tornare a crescere? L'alternativa sarà gioco forza quella di cercare modi nuovi e alternativi per spremere più dollari dall’attuale customer base. Oppure aggredire in modo più deciso i bacini delle altre piattaforme (WhatsApp, Instagram, Messenger), la cui crescita sembra non risentire (non ancora per il momento) di alcun effetto plateau.

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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