Chimici, e se il nuovo contratto fosse un modello per tutti?
Senza un’ora di sciopero, è stato firmato il nuovo contratto: modifiche a seconda delle esigenze aziendali e part-time dei lavoratori anziani
di Michele Tiraboschi*
Con la firma del rinnovo dei chimici la stagione contrattuale sembra partire col piede giusto. È ancora presto per dire se questo testo farà scuola. Non pochi elementi inducono, tuttavia, a una risposta positiva. I più maliziosi hanno sostenuto che la carica innovativa e la bontà dell’accordo sono direttamente proporzionali al dissenso in casa Cgil. Il direttivo della Filctem, la potente federazione di categoria della Cgil, ha infatti bocciato l’intesa chiedendo la riapertura delle trattative. Ora, tutti i momenti di svolta nelle relazioni industriali, dall’abolizione della scala mobile alla riforma Biagi, sono stati segnati da veti e resistenze di marca Cgil. Sarebbe tuttavia ingeneroso valutare la carica innovativa dell’accordo in questa limitata prospettiva. Anche perché, diversamente da altri settori, la qualità del sistema di relazioni industriali dei chimici è sin qui largamente dipesa dalla capacità di avviare un processo di profondo cambiamento col consenso di tutti gli attori.
Nell’ultimo decennio, mentre gli altri settori registravano un muro contro muro nella gestione delle flessibilità della legge Biagi, il settore chimico ha saputo rinnovare il cuore del suo contratto collettivo. A partire dal sistema di classificazione del personale, oggi tra i più moderni d’Europa, che tanto incide sulla produttività e sui livelli salariali.
Assecondando una tendenza comune in Europa, e che si è dimostrata decisiva per le buone performance della economia tedesca, il rinnovo aumenta il peso del contratto aziendale e la ricerca di aumenti salariali in ragione di effettivi incrementi di produttività. Si tratta della prima coerente applicazione dell’intesa del 2011 tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil. E, proprio per questo, va visto come un esempio da seguire per i prossimi rinnovi almeno per chi crede che crescita, equità e produttività non sono concetti astratti, ma devono essere declinati concretamente nelle dinamiche di sviluppo dei diversi settori e dell’economia.
*presidente Adapt - Centro studi Marco Biagi