La crisi Boeing arriva anche in Italia
(Boeing Media)
Economia

La crisi Boeing arriva anche in Italia

Boeing, in difficoltà come mai prima, rischia di risucchiare nella crisi 89 aziende italiane e 16.000 posti di lavoro

Come se non bastasse la grana del B737Max, con l'arrivo del picco di pandemia negli Usa quello di aprile 2020 sarà il mese più duro di sempre per il colosso aerospaziale Boeing. A partire dal giorno 6 i suoi stabilimenti sono chiusi a tempo indeterminato ufficialmente per una disinfestazione approfondita, dopo che un collaboratore aveva perso la vita risultando poi positivo al Coronavirus. Gli stabilimenti di Everett (Seattle), Washington e Charleston, nella Carolina del Sud, sono quindi fermi mentre la direzione del personale sta chiedendo ai dipendenti se intendono non rientrare più fruendo di un contributo. Non a caso già il 2 aprile Boeing aveva già annunciato licenziamenti volontari mentre il suo presidente e Ceo, David Calhoun, annunciava che probabilmente ci saranno in futuro cambiamenti nelle sue linee di produzione, ma anche che la preoccupazione maggiore resta la filiera dei fornitori dall'estate prossima fino alla fine dell'anno.

Tra questi anche 89 aziende italiane altamente specializzate e coinvolte per la fornitura di parti e componenti sia per gli aeroplani, sia per i motori, che potrebbero finire risucchiate in questo buco nero dell'aerospazio. In tutto, considerando i moltiplicatori e i subfornitori, sono 16.000 posti di lavoro e circa un miliardo di euro l'anno di investimenti in tecnologia che potrebbero saltare.

Vero è che il Congresso degli Stati Uniti ha approvato rapidamente i provvedimenti di aiuto in risposta alla pandemia di coronavirus, la cosiddetta legge Cares, assecondando in parte la richiesta di Boeing per un assegno da 60 miliardi di dollari, soprattutto perché Greg Smith, capo della finanza dell'azienda, aveva dichiarato che l'accesso al credito si era esaurito, almeno temporaneamente. Il Ceo David Calhoun ha invece cercato di offrire un'immagine più positiva della vicenda, dichiarando che la compagnia ha accesso a 15 miliardi di dollari in contanti più altri 9,6 miliardi di linea di credito revolving. E che, soprattutto, resta legata alla produzione della Difesa Usa che non si interrompe.

Se ciò fosse vero, non si comprende perché Boeing dovrebbe cercare aiuti pubblici, mentre è conclamato che il bilancio 2019 si sia chiuso con oltre 27 miliardi di dollari di debito, raddoppiando il rosso dell'anno precedente. A metà marzo era stata aperta e poi chiusa una linea di credito per un totale di quasi 14 miliardi di dollari, probabilmente a garanzia per le capacità di solvenza della sola divisione Boeing Commercial Airplanes, che sta investendo oltre 4 miliardi al mese per finanziare sé stessa e alcuni fornitori, a partire da Spirit AeroSystems e General Electric, ma che deve affrontare altre grandi spese come l'acquisizione, per 4,2 miliardi di dollari, della maggioranza della divisione commerciale di Embraer. Ma anche, per altri 4 miliardi, dovrà ripagare rimborsi per debiti pregressi.

Gli analisti sostengono che Boeing potrebbe quasi raddoppiare nuovamente il proprio debito quest'anno, soprattutto se il B 737 Max non potrà tornare a volare fino a fine anno a causa di ulteriori ritardi causati dalla pandemia. Boeing non vuole né vincoli agli aiuti diretti dell'amministrazione Trump né garanzie del governo che sostengano i suoi prestiti da altri finanziatori, purtroppo però con la pandemia in corso le prospettive per l'aviazione commerciale sono diventate così brutte che i nuovi esemplari appena usciti dalle linee di produzione vengono trasportati in zone di deposito al posto che consegnati e pagati. Una situazione che se dovesse permanere fino dopo l'estate non sarebbe sostenibile.

Al momento la richiesta del mercato è calata a circa il 70% su base annua e resterebbe ridotta del 60% fino al 2023. Boeing potrebbe fermare la produzione della linea 737 e ridurre a quattro esemplari al mese quella dei nuovissimi 777X per poi consegnarne non più di 12 all'anno. Il concorrente Airbus si troverà in una situazione simile, con il vantaggio di non avere la grana del 737 Max da gestire, ma con lo svantaggio di non poter certo contare su fondi governativi immediatamente disponibili, poiché l'UE non ha la medesima dinamica finanziaria degli Usa, né può, come invece farà probabilmente Boeing, farsi nazionalizzare un po' di più mediante l'acquisto di azioni da parte del governo Trump.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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