Non solo Airbnb. I "giganti tech" e i problemi con le tasse in Italia
Da Amazon a Netflix passando per Meta; le grandi multinazionali si sono trovate almeno una volta a fare i conti con questioni fiscali nel nostro Paese. Ricordate per esempio l'accordo - mancato per mesi - tra Meta e Siae?
Il caso Airbnb ha catturato l'attenzione del pubblico italiano e internazionale, riportando l'attenzione sulle multinazionali che pagano le tasse al di fuori dell'Italia e rivelando una svolta significativa nelle tasse sugli affitti brevi. Il 24 ottobre scorso, il Consiglio di Stato italiano ha infatti pronunciato una sentenza che ha accolto le indicazioni della Corte di Giustizia europea, stabilendo che i portali di prenotazione online, come Airbnb, sono tenuti a versare la cedolare secca al governo italiano sui ricavi generati da affitti brevi, con una tassazione pari al 21%.
Questa decisione ha aperto la strada a una serie di sviluppi legali e finanziari, tra cui il sequestro di oltre 779 milioni di euro presso Airbnb Ireland Unlimited Company, un'entità legale della società responsabile delle operazioni internazionali di Airbnb. Il sequestro è stato eseguito dalla Guardia di Finanza di Milano su disposizione del giudice per le indagini preliminari.
Il sequestro dei 779 milioni di euro rappresenta una svolta significativa nel settore degli affitti brevi e implicherà che Airbnb e altre aziende operanti in modo simile dovranno versare direttamente la cedolare secca allo Stato italiano in futuro. Ma il caso della più nota piattaforma di affitto breve non è isolato e tanto meno l'unico in Italia.
Amazon. Google. Meta (ex Facebook). Apple. Netflix. Tutti i cosiddetti "giganti tecnologici" che operano su scala globale si sono trovati almeno una volta a fare i conti con questioni fiscali nel nostro Paese.
Il motivo è che il principale problema fiscale che l'Italia affronta con queste giganti tecnologiche è la tassazione delle loro attività nel paese. La complessità del panorama fiscale internazionale e l'abilità di queste aziende nel minimizzare la loro esposizione fiscale hanno portato a una serie di controversie. Ad esempio, Amazon è stata oggetto di indagini fiscali in vari paesi europei, tra cui l'Italia, per aver utilizzato strutture di società affiliate in paesi con tassi fiscali più bassi al fine di ridurre l'imposta sul reddito. Google è stato anche al centro di dispute fiscali in Italia, con richieste di miliardi di euro in imposte arretrate. Meta ha affrontato sfide simili legate alle imposte sul reddito e ai trasferimenti di profitti attraverso confini nazionali. Apple e Netflix hanno anch'essi affrontato critiche riguardo ai loro modelli fiscali.
Proprio Netflix, il colosso dello streaming, ha deciso lo scorso anno di raggiungere un accordo per porre fine alla controversia con l'Agenzia delle Entrate riguardante il mancato pagamento delle tasse nel periodo che va da ottobre 2015 al 2019. Per chiudere definitivamente questa pagina, il gigante dello streaming ha dovuto sborsare quasi 56 milioni di euro, per la precisione 55.850.513 euro, "come importo relativo a imposte, sanzioni e interessi, al fine di regolare ogni questione fiscale pendente con le autorità italiane," come dichiarato nella nota firmata dal Procuratore di Milano, Marcello Viola.
Il rapporto fiscale tra l'Italia e le grandi aziende tecnologiche rappresenta sia una sfida che un'opportunità. Da un lato, l'Italia cerca di garantire che queste aziende paghino la loro giusta quota di imposte per sostenere i servizi pubblici e il benessere della società. Dall'altro lato, le aziende tecnologiche possono essere partner preziosi per l'economia italiana, contribuendo alla crescita economica e all'innovazione. Trovare un equilibrio tra l'obiettivo di una tassazione equa e la promozione di un ambiente favorevole agli investimenti e all'innovazione è fondamentale. L'Italia ha risposto a queste sfide attraverso l'introduzione dell'Imposta sulle Transazioni Finanziarie (FTT), che mira a tassare le transazioni finanziarie, tra cui quelle effettuate da aziende tecnologiche. Questa tassa ha l'obiettivo di garantire una maggiore equità fiscale, assicurando che le aziende contribuiscano in modo adeguato alle finanze pubbliche. Inoltre, l'Italia ha lavorato a livello europeo per promuovere una riforma fiscale che miri a tassare in modo più efficace le grandi aziende digitali. Questo sforzo fa parte di un'ampia iniziativa dell'Unione Europea per affrontare la sfida della tassazione delle aziende tecnologiche in modo coerente e coordinato.
Ma non ci sono solo le tasse.
La scorsa estate a tenere banco è stato il silenzio assordante su social come Instagram, dovuto da un mancato accordo tra Meta e Siae che ha zittito migliaia di creators. La disputa tra Meta Siae, la Società Italiana degli Autori ed Editori, ruota attorno alla questione dei diritti d'autore e la condivisione di contenuti protetti sui servizi online di Meta, come Facebook, Instagram e WhatsApp. Siae sosteneva che Meta non avesse adeguatamente compensato gli autori italiani per l'uso dei loro contenuti all'interno della piattaforma. Una controversia che riflette una questione più ampia riguardante la tutela dei diritti d'autore in un ambiente digitale in rapida evoluzione e mette in evidenza le sfide di regolamentazione e remunerazione dei creatori di contenuti nel contesto dei giganti tecnologici e risoltasi con il ritorno della musica sulle piattaforme e un accordo - per ora - pacifico tra le due società.
E che dire della privacy? Sempre Meta si è scontrato con la regolamentazione italiana all'avvio della sua avventura con Threads, quello che doveva essere il grande competitor di X (ex Twitter). Meta ha lanciato il suo nuovo social network, Threads, in diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e oltre 100 altre nazioni. Tuttavia, gli utenti europei si sono trovati esclusi da questa novità a causa delle rigide normative europee sulla privacy e il trattamento dei dati personali. Threads infatti non rispetta alcune delle normative europee, in particolare quelle previste dal Digital Markets Act (DMA), che proibisce la combinazione dei dati degli utenti raccolti da diverse piattaforme senza il consenso esplicito degli utenti. Meta, tuttavia, combina i dati di Threads con quelli di Instagram, creando un account "unico." Questo va contro le normative del DMA, il che ha portato a una parziale limitazione dell'accesso agli utenti europei.