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RICCARDO ANTIMIANI/ANSA
Economia

Agenzia delle Entrate e gli esattori infedeli

Sono centinaia i reati commessi dai "controllori" a colpi di mazzette (prese) che costeranno condanne

Un catalogo ben assortito. C’è chi ha offerto a imprenditori facoltosi e rinomati un facile accesso a rateizzazioni a cui non avevano diritto, chi aveva addirittura una tariffa prezzi in base allo sconto da applicare sulle tasse, chi pretendeva compensi in euro da comuni cittadini per accelerare il suo lavoro e chi, più mestamente, si è accontentato di un bracciale d’oro. E così, anche quest’anno, uno dopo l’altro funzionari, dirigenti e anche qualche direttore dell’Agenzia delle entrate sono finiti nella rete della magistratura.

Lo scorso anno l’Agenzia del fisco aveva messo le mani avanti, pubblicando i dati sconcertanti sul 2017: 562 dipendenti finiti sott’accusa, 455 indagati e 107 condannati. Ma cosa è accaduto dopo il 31 dicembre 2017? Quello era l’ultimo giorno del conteggio voluto da Antonino Maggiore, ex generale della Guardia di finanza che dal 12 settembre 2018 ha preso le redini dell’Agenzia.

La rotta dei reati, stando alla cronaca, non si è invertita. E anche nell’ultimo anno, e fino a qualche giorno fa, molti avvisi di garanzia, ordinanze di arresto e sentenze di condanna hanno funestato le giornate dell’ex generale che deve aggiornare la statistica, applicare sospensioni e avviare procedimenti disciplinari verso i sottoposti. Tanti casi, è ovvio, non sono ancora giunti a una condanna definitiva e, quindi, per tutti, vale il principio d’innocenza. Ma una ricognizione tra le ultime notizie è particolarmente istruttiva.

Spesso le accuse riguardano reati molto gravi, come la corruzione. A volte, invece, questioni mediaticamente fastidiose, come i furbetti del cartellino. Nel marzo 2018, a Caserta ne hanno beccati 16. Pur di assentarsi durante le ore di lavoro, per timbrare la scheda presenze, utilizzavano persino l’usciere. Il gip ne ha puniti sette, sottoponendoli all’obbligo di presentazione, per tre volte alla settimana, alla polizia giudiziaria. Altri nove sono finiti sul registro degli indagati.

Ma in Campania è un altro il caso che imbarazza di più gli uffici romani di via Cristoforo Colombo: l’arresto ai domiciliari di Emilio Vastarella, 58 anni, direttore provinciale a Salerno. È finito in un’inchiesta della Procura antimafia che ipotizza un collegamento tra un imprenditore caseario e un vecchio boss della camorra cilentana. Mafia a parte, il caso che riguarda Vastarella (che con la criminalità organizzata non c’entra) è legato a dei regali: un bracciale in oro e diamanti e un orologio di lusso, in cambio di un abbuono di 60 mila euro sul pagamento di una sanzione comminata all’imprenditore. Dalla direzione centrale dell’Agenzia delle entrate, dopo aver adottato i provvedimenti previsti dalla normativa interna, hanno annunciato che in un eventuale processo si costituiranno parte civile a tutela della propria immagine. Per il danno all’immagine, in realtà, si sono già mossi per un altro direttore. Ex direttore, in realtà. A Firenze, Nunzio Garagozzo, già condannato per corruzione, dovrà restituire ciò che risparmiò un’impresa. La stangata della Corte dei conti è arrivata un anno fa, con un maxi risarcimento da oltre 7 milioni di euro, frutto in gran parte della cifra (circa 6,6 milioni) fatta risparmiare all’impresa alla quale era stato aggiustato un controllo fiscale. In cambio, l’ex direttore avrebbe ottenuto una tangente di 300 mila euro per sé e per due intermediari. Il danno di immagine provocato all’Agenzia delle entrate è stato stimato in 200 mila euro. Ma non sempre le mazzette contestate sono così cospicue. A Cosenza, per esempio, nel settembre 2018, accelerare un atto di successione, un dipendente si è contenuto con un «extra» di 300 euro.

Ma gli è andata male, perché il cittadino l’ha denunciato e il caso è finito in Procura. Un mese dopo è finita nei guai una sua collega a Codogno: anche lei aiutava gli utenti a compilare le dichiarazioni di successione, con tariffe fino a 500 euro.

E sempre a ottobre, un funzionario romano, Orazio Orrei, è stato accusato di aver manipolato pratiche per garantire uno «sconticino» sulle tasse intascando appena 25 euro. In realtà, sostengono gli investigatori, lavorava sulla quantità: sarebbero state alterate più di 2.000 pratiche, per un ammanco procurato all’erario ipotizzato in 550 mila euro. Il caso è diventato mediatico perché nel polverone giudiziario è finito anche l’attore Carlo Giuffré, icona della commedia all’italiana. Secondo l’accusa avrebbe ottenuto dal funzionario uno sconto da 65 mila euro tra omessi versamenti d’imposta e indebiti riporti di credito. Ma Giuffré non è l’unico vip finito sui giornali insieme a funzionari del Fisco. Flavio Briatore, a causa di uno yatch di 63 metri, era finito sotto inchiesta per questioni tributarie (che poi si sono risolte in Cassazione per l’accusa di fatture inesistenti, per l’omesso versamento Iva, invece, fu rimandato tutto alla Corte d’appello). Il suo contatto nell’Agenzia delle entrate era il direttore dell’ufficio di Genova Walter Pardini, che in passato era già incappato in inconvenienti giudiziari. Il gip in un’ordinanza spiegò il perché di quei contatti: «L’accordo comprendeva l’attività di Briatore volta a convogliare personaggi illustri e a fornire visibilità alle attività di Pardini in Kenya (che gestiva un resort ndr)». Una promozione che Briatore ha negato.

Appena qualche settimana e la direzione centrale del Fisco ha incassato un’altra grana: a Vasto, un’inchiesta ha travolto i vertici dell’ufficio abruzzese, sott’accusa per abuso d’ufficio e tentata concussione per aver agevolato una società nella vendita di un ramo aziendale. E ancora: a Brescia da poco in Procura hanno depositato tre richieste di rinvio a giudizio in un’inchiesta per presunte mazzette che ha coinvolto in tutto una decina di dipendenti per omessa denuncia, abuso d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico. L’accesso a quest’ultimo, a livelli da Grande fratello, invece, è contestato a un capo area di Varese: è entrato per 120 volte nell’anagrafe tributaria, non si sa ancora per quale ragione. E poi ci sono le condanne: a Potenza per i giudici è responsabile di accesso abusivo a sistemi informatici, Lucia Muscaridola, ex dirigente soprannominata «Lady fisco». Per lei, un anno e sei mesi di reclusione. A Ravenna, invece, è toccato a Nicola Ricciardi, che di anni ne ha avuto sei per una tentata induzione indebita ai danni di alcuni imprenditori. Il catalogo, come si diceva, è questo. Ed è ancora lungo.

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Fabio Amendolara