Storia di don Primo Mazzolari: il prete della giustizia sociale
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Storia di don Primo Mazzolari: il prete della giustizia sociale

Celebrato da Papa Francesco, lottò per il rinnovamento morale della Chiesa, contro il fascismo e la rigidità delle gerarchie ecclesiastiche. Sarà Beato

Don Primo Mazzolari è stato una delle più importanti figure del cattolicesimo italiano del XX secolo.

Era nato il 13 gennaio del 1890 in un sobborgo di Cremona, assorbendo nei primi anni di vita le idee "moderniste" in contrapposizione con l'intransigenza persistente in buona parte delle gerarchie ecclesiastiche del tempo.

Entrato in seminario nel 1902, Primo Mazzolari esprimeva già la forte coscienza democratica attraverso la quale filtrava la sua immensa fede cattolica, in particolare nei confronti della libertà di coscienza e nel rifiuto dell'accettazione acritica degli ordini superiori, in questo simile ad un altro sacerdote ricordato dal Pontefice in questi giorni, don Lorenzo Milani.

Ordinato nel 1912, aderiva alla corrente dell'interventismo democratico che lo condurrà di lì a poco all'impatto diretto con l'esperienza della guerra. Un impatto estremamente doloroso per la perdita del fratello Giuseppe caduto sul Sabotino. Don Primo, inizialmente impiegato in Sanità, chiede il trasferimento al fronte dove rimarrà per gli ultimi mesi del conflitto trasferito con le truppe italiane in Francia.

Alla fine della guerra Don Mazzolari non sarà smobilitato, ma proseguirà il servizio nelle zone di guerra tra i morti ancora da seppellire, tra la gente del fronte dell'Isonzo stremata dalla guerra.

Poco dopo il ritorno in patria un nuovo impatto condizionerà la vita di Primo Mazzolari: quello con il nascente fascismo, che vide svilupparsi dalla piccola parrocchia di Cicognara (Mantova) dove rimarrà per un decennio. Nel piccolo centro sulle rive del Po si farà promotore dell'istruzione delle classi contadine, e dei valori della Chiesa dimenticata da una popolazione caratterizzata da una forte connotazione socialista. La diffidenza di Primo Mazzolari nei confronti del fascismo lo allontanerà gradualmente da quei rappresentanti della Chiesa che sempre più numerosi si accostarono alla politica mussoliniana, culminata con la ratifica dei Patti Lateranensi del 1929. Neppure il compromesso con il regime riuscirà a mutare l'idea di libertà di coscienza radicata nel sacerdote, tanto da subire un attentato a colpi di rivoltella da parte di una squadra fascista nel 1931.

L'anno successivo don Mazzolari sarà trasferito a Bozzolo, un piccolo paese a poca distanza da Cicognara. Qui inizierà la sua attività di scrittore e giornalista, attraverso la quale le sue idee critiche nei confronti della Chiesa intesa come una "società perfetta" troveranno voce.

L'individuazione dei limiti della gerarchia e della liturgia ecclesiastica dell'epoca, uniti alla sua spinta verso la modernizzazione della Chiesa finì per generare la reazione del Sant'Uffizio, che cominciò a mettere all'indice molti dei suoi scritti.

Alla caduta del regime il 25 luglio 1943 don Mazzolari strinse forti contatti con la Resistenza e con il mondo cattolico clandestino in vista della riorganizzazione postbellica. Braccato dalle autorità di Salò e dai Tedeschi, entrò in clandestinità a Gambara (Brescia), dove visse letteralmente nascosto in un sottotetto fino alla fine del conflitto.

La seconda fase della vita di don Mazzolari si apre nel segno dell'impegno per la ricostruzione della società martoriata dal ventennio e dalla distruzione bellica. Questi i semi di quella "rivoluzione cristiana" che avrebbe portato i fedeli a dirigere la società civile, a patto di un profondo rinnovamento morale. Nel secondo dopoguerra la lacerazione politica tra democristiani e comunisti spinge don Primo a farsi "ponte" tra i cattolici e i "lontani", vale a dire coloro che rifiutavano Cristo nel nome di un'ideologia che avrebbe diviso ancora una volta il mondo negli anni della Guerra Fredda. Nonostante l'appoggio formale alla DC nelle elezioni del 1948, non accetterà la scomunica dei comunisti da parte della Chiesa, pronunciata da Pio XII l'anno successivo.

Per amplificare le sue idee di giustizia, libertà, fede e coscienza, don Mazzolari fonda nel 1949 il periodico "Adesso" al quale collaborerà entusiasticamente un altra delle più importanti figure del dopoguerra, Giorgio La Pira. Lo spirito del quindicinale a favore degli "ultimi", specie nella denuncia delle ingiustizie sociali, la ricerca della pace per la quale don Mazzolari si spingerà addirittura a tendere la mano ai comunisti, fecero sì che le gerarchie decidessero per un giro di vite imponendo due anni dopo la cessazione delle pubblicazioni di "Adesso", al quale si erano accostate le voci più avanzate del progressismo: dal sindaco socialista di Milano Antonio Greppi a Padre David Maria Turoldo.

Nonostante i vincoli imposti, don Primo continuerà a scrivere sotto pseudonimo e a pubblicare volumi sempre più critici nei confronti di grandi temi: nel 1955 affronta prima di don Lorenzo Milani la questione dell'obiezione di coscienza. Rifutare era giustificato in quanto "cristianamente e logicamente la guerra non si regge". Pur sottoposto ad una vigilanza continua da parte delle gerarchie, Don Primo scelse di non mostrare mai il fianco, decidendo di obbedire comunque agli ordini superiori pur mantenendo coerenza e dignità.

Fu l'Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini (futuro Papa Paolo VI) ad iniziare la riabilitazione di don Mazzolari, quando lo chiamò a Milano nel 1957 per una serie di iniziative pastorali. Quindi, nell'ultimo anno della sua vita, fu chiamato da Papa Giovanni XXIII. Il Pontefice di quel Concilio Vaticano II nel quale molte delle idee e dei temi del parroco di Bozzolo saranno posti in discussione.

Il 12 aprile 1959 don Primo Mazzolari si spegneva dopo una logorante malattia. Dal 18 settembre 2017 inizierà il processo di beatificazione di un prete che fu "scomodo".

Per approfondimenti sulla vita e sulle opere di don Mazzolari, si rimanda al sito della Fondazione Mazzolari a questo link.

primo mazzolari guerra
Fondazione Mazzolari
Cappellano degli Alpini durante la Grande Guerra

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Edoardo Frittoli