Serge Bensimon, cereatività multiculturale
Ufficio Stampa - Bensimon
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Serge Bensimon, cereatività multiculturale

Continuo intreccio tra avvenimenti vissuti e arte caratterizza ancora oggi l’intera opera del visionario francese. L'intervista

Serge Bensimon. Artista interculturale. Il continuo intreccio tra avvenimenti vissuti e arte caratterizza ancora oggi l’intera opera del visionario francese, un incessante viaggiare, un fuggire da qualcosa, o verso qualcosa di multiculturale. Come le sue creazioni anche i racconti e le sue idee sono legate alle vicende personali dell’autore, ma rivelano spesso un Bensimon più autentico, che non accetta la maschera autoimposta dall’uomo d’azione, che non si accontenta di regole e valori rituali che possano dare merito all’esistenza, ma vuole andare oltre i confini per scrutare con straordinaria penetrazione nell’essenza stessa della creatività. Bonjour, Serge!

Che sapore ha la creatività per Serge Bensimon?

Ha il sapore della libertà. Questa sensazione non mi lascia mai. Sono ispirato dai miei viaggi per creare le mie collezioni, sia di moda, di arte e design. L'apertura al mondo è lo strumento principale per realizzare la creatività in tutte le sue forme.

Tre flashback della sua adolescenza che raccontano chi era prima del grande successo

Il primo quando ho lavorato con mio padre e mio zio nel loro negozio di surplus militare. Qui è dove ho scoperto le divise da lavoro, i tessuti resistenti e dove è nata la mitica tennis Bensimon. Il secondo, un viaggio iniziatico con mio fratello Yves negli Stati Uniti.

On the road!

Esattamente, ci siamo spostati con lo zaino in spalla. Lo stile di vita americano da allora non mi ha mai abbandonato. Infine, un incontro decisivo con il creatore Elio Fiorucci, che mi ha convinto definitivamente che dovevo lanciarmi da solo in questa meravigliosa professione nel mondo della moda.

Dai pezzi usati nei magazzini militari fino al brand diventato un’icona di interculturalità francese. Com'è successo?

Mio nonno importava abbigliamento di seconda mano e mio padre recuperava le uniformi di tutti gli eserciti del mondo. Fin dalla mia infanzia sono sempre stato immerso nel mondo degli abiti vintage, tessuti e materiali che durano per molto tempo e si trasmettono di generazione in generazione. Si dice di me che sono un “figlio dei magazzini”!

Non male come ruolo!

Dovete sapere che il surplus è stata una fonte inesauribile di ispirazione. Molto presto, ho avuto voglia di rivisitare quei vestiti che fanno parte della nostra storia, di renderli più femminili, di ritoccare le tasche e i bottoni. I giornalisti di moda si sono presto interessati a questo fenomeno e il successo è cominciato.

Una grinta e una passione, oggi, anche con l’Italia. Tra l’altro perché non collaborare con brand italiani che seguono il suo e vostro simile percorso artistico – aziendale?

Sono molto sensibile agli incontri tra le persone e gli universi che le circondano. Recentemente ho collaborato con Carla Sozzani, per 10 Corso Como. Insieme abbiamo creato un paio di tennis con le grafiche di questo luogo emblematico. Mi piacerebbe poter sviluppare presto anche concept store in Italia, che per me è un paese ricco di valori e con un certo stile di vita.

Attraverso i concept store, le boutique “Autour del Monde” e la Galleria Bensimon, ha un talento da “scout”. Da dove e perché le viene questa voglia di sostenere nuovi talenti?

Effettivamente in tutta la mia carriera non ho mai smesso di trasmettere le mie nozioni ai giovani designer. Questo fa parte della mia formazione, penso che ho imparato molto da mio padre e mio zio. Attraverso la mia carriera, rendo loro in qualche modo omaggio. La trasmissione di conoscenze è una parte importante del mio lavoro.

Questa è forse una delle ricette del suo successo?

Credo che i nuovi talenti che si sono presentati nei miei negozi hanno trovato la loro strada. Vederli evolvere in una direzione positiva, oggi, mi dà tanta soddisfazione! C'è tanto da fare con la generazione più giovane.

Che consiglio si sente di dare ai giovani in questo difficile periodo storico?

I giovani dovrebbero continuare a essere curiosi, viaggiare, vedere mostre, andare per musei, leggere. Aprire gli occhi al mondo che ci circonda ...

E ai suoi francesi. Cosa si sentirebbe di dire alla sua Parigi?

Nonostante quello che sta accadendo, Parigi è e rimarrà la ville lumière, piena di risorse. Quando si è artisti a Parigi, si ha un certo orgoglio a rappresentare la nostra visione dello stile di vita e di valori all'estero. Parigi ha la particolarità di essere il perfetto compromesso tra una città aperta al mondo e un villaggio. Una piccola città dove incontriamo il mondo ....

Quindi non fermarsi mai?

L'ispirazione e la creazione non hanno limiti. L'avventura Bensimon non può fermarsi poiché è parte di una trasmissione.

Ideare, creare e fondare un marchio all’insegna della multiculturalità è stato facile oppure difficile?

Il mio percorso è fatto d'incontri. Non si può essere un marchio multiculturale senza aprirsi al mondo che ci circonda. Questa è la prima cosa. Infine, penso che la parte più difficile del mio lavoro sia quella di andare oltre i miei desideri e convincere il mio team ad andare in una direzione particolare. Per fortuna, mi sono circondato di collaboratori che mi seguono e sanno come tradurre quello che voglio!

Se la reazione del pubblico al suo lavoro creativo fosse un'emozione, quale sarebbe?

Sarebbe una sensazione di benessere interiore ed esteriore. Uno stile di vita che Bensimon coltiva da più di trent'anni.

 

 

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Giuseppe Giulio

Napoletano, ma residente a Fiuggi. Laureato in Scienze Politiche per la Cooperazione e lo Sviluppo. Ha pubblicato nel 2009 una prima silloge in lingua inglese dal titolo “Northern Star” edito da Altromondo. Collabora con Roma Tre e UNICEF.

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