Quali lingue straniere conviene studiare, quando e perché
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Quali lingue straniere conviene studiare, quando e perché

Una, due, o dieci lingue diverse? Ecco quando il multi-linguismo è un vantaggio

Con un grafico molto intuitivo, The Economist racconta gli effetti di multilinguismo (e conseguente multiculturalità) nel mondo. Due i parametri utilizati: il numero di lingue parlate nei singoli paesi, e il Greenberg diversity index, un indicatore che calcola la probabilità che, in una stessa nazione, due abitanti condividano lo stesso idioma, dove 0 significa che tutti parlano allo stesso modo, e 1 indica la massima diversità, ovvero che ognuno parla una lingua diversa.

Ebbene, per quanto sorprendente possa sembrare, le nazioni in cui è possibile ragionare in termini di monolinguismo sono pochissime: Cuba e Corea del Nord. Purtroppo, però, quello che dovrebbe preoccuparci è che le stesse dinamiche che hanno fatto sì che in talune nazioni, le più ricche e sviluppate, per intenderci, si sia affermato un unico idioma, sono le stesse che rischiano oggi di ridurre il "tasso di multiculturalità globale".

Procediamo con ordine. Il grafico pubblicato da The Economist mette chiaramente in luce il fatto che le uniche nazioni che hanno mantenuto la propria diversità linguistica sono le più povere: Papua Nuova Guinea (830 idiomi), Congo (215), Nigeria (514), Filippine (171) e Indonesia (719). Andrebbe aggiunta anche l'India, dove continuano a sopravvivere ben 438 lingue, ma quello del Subcontinente è un caso così complesso che meriterebbe un approfondimento a parte. Lo stesso vale per la Cina, dove a dispetto dell'omogneizzazione importa dal Partito si parlano ancora 292 lingue diverse.

Ecco, proprio la Cina ci è utile per spiegare come mai nelle nazioni più avanzate, anche quando vantano un passato molto ricco in termini linguistici, si parli oggi principalmente un solo idioma. Il cinese, il russo, l'inglese. Eppure in Russia sono sopravvissute 99 altre lingue, negli Stati Uniti 187, in Australia 160. In Brasile ce ne sono 181, ma si parla portoghese. In Messico 291, e si parla spagnolo. In Italia 33, in Germania 27, in Francia 23. Eppure, anche qui domina una sola lingua. Il motivo? La forza di quest'ultima, che le ha permesso di imporsi sulle altre.

Ora, non si può non ricordare che un livello troppo elevato di diversità linguistica, di fatto, impedisce la comunicazione. E se alcuni paesi sono progrediti più rapidamente rispetto ad altri è stato anche perché sono riusciti a rimuovere la barriera linguistica che frenava il loro stesso sviluppo. Un po' come sta succedendo oggi su scala globale, dove l'inglese si sta imponendo un po' su tutto e su tutti, e dove la prima (e spesso unica) lingua straniera che si insegna ai bambini è l'inglese (possibilmente britannico). Nella convinzione che sia meglio imparare molto bene quella piuttosto che sapersi destreggiare tra tedesco, spagnolo, e magari anche un po' di arabo o di cinese.

Eppure tutto questo è sbagliato. Per almeno due motivi. Anzitutto le barriere culturali globali esistono ancora, e non sarà certo l'inglese ad aiutarci a rimuoverle, anzi. Poter disporre di una lingua franca per comunicare con tutti è senza dubbio utilissimo, ma se non ci si sforza a conoscere la lingua di un paese, sarà impossibile intuirne o interpretarne il modo di pensare, di relazionarsi, di fare business. Così come sarà impossibile immergersi nella tradizione culturale dello stesso.

Non solo, è ormai scientificamente provato che le persone che parlano due o più lingue siano molto più flessibili delle altre. Si dice anche che questo sia possibile perché chi parla due lingue è in grado di applicare strategie diverse di pensiero, ma credo, principalmente per esperienza personale, che sia l'avere accesso a una cultura diversa a creare flessibilità, non la lingua. Fermo restando che la prima diventa comprensibile solo grazie alla seconda. 

Lo conferma l'approccio al multilinguismo dei bambini, che si dice li aiuterà da grandi ad affrontare meglio problemi complessi e a prendere decisioni in maniera più rapida. Ma è davvero la lingua che permette di ottenere questo? O il fatto di avere inconsciamente assimilato due o anche più di due culture in una fase della vita in cui tutto si impara sotto forma di gioco? O, ancora più importante, l'essere stati, di fatto, perennemente iperstimolati? Perché, e parlo di nuovo per esperienza personale, un bimbo che cresce in un contesto bilingue ogni volta che impara una nuova parola, di fatto, ne impara due. E non è indice di confusione mettere insieme frasi tipo "Daddy, tekati le scarpe off", oppure "Mummy, mi dai un biscuits, please?", ma solo la prova che l'apprendimento delle due lingue procede in maniera parallela. E così come prima o poi arriverà il tempo per usare i congiuntivi nel modo giusto, arriverà anche quello di parlare o solo in italiano, o solo inglese. Per poter magari iniziare a dedicarsi al francese e al cinese. O a qualsiasi altra lingua, assecondando le passioni e le curiosità di ognuno.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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