Prima guerra mondiale: se si ripetesse oggi il tragico errore di 100 anni fa
San Diego Air and Space Museum Archive/The Commons/Flickr
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Prima guerra mondiale: se si ripetesse oggi il tragico errore di 100 anni fa

Piccola rassegna delle analogie fra la situazione internazionale di oggi e quella del 1914, alla vigilia dell'attentato di Sarajevo

"Hai visto il titolo del giornale di oggi?: 'L'Arciduca trovato vivo: la guerra è stata un errore'". La storica Margaret MacMillan ci racconta come nel secondo anno di guerra, il 1915, questo amaro scherzo fosse diventato popolare. 

Rappresentava nel modo migliore la sensazione che si andava diffondendo, una volta passata l'euforia nazionalista dei primi mesi: la Grande Guerra sembrava essere scoppiata per una serie di stupide leggerezze ed errori di valutazione che si potevano evitare.

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MacMillan, autrice di The War That Ended Peace: The Road to 1914 qualche settimana fa sul New York Times ci ha ricordato quanto ancora - a 100 anni di distanza - oggi si discuta sui motivi e le responsabilità dello scoppio della prima guerra mondiale, senza trovare un chiaro e inequivocabile valido motivo e litigando sulle responsabilità.
E soprattutto, si chiede: "Ma se non sappiamo perché scoppiò riusciremo a evitare che si ripeta oggi una catastrofe simile?"

Prima di addentrarci di nuovo nella storia dello scoppio della Grande Guerra vediamo, e poi li lasceremo perdere, i possibili ricorsi di questo fatale 1914, oggi, nel 2014.

Eccone alcuni:
- Forme intense di globalizzazione che generano reazioni di nazionalismo esasperato, nativismo, ricerca fanatica della società perfetta, pulsioni e sentimenti oggi amplificati, e quindi rese più pericolose, dai social network.

- Legato al precedente, abbiamo però il pericolo di sovrastimare i rischi posti da gruppi di terroristi, lasciando spazio a "guerre al terrore" che producono danni molto superiori a quelli che si cercava di evitare. Allora ci fu la reazione al terrorismo serbo, decisamente pericoloso, ma sicuramente meno potente di quanto le autorità austro-ungariche pensassero.

- 100 anni fa, i militari e i politici furono incapaci di valutare l'efficienza devastante delle armi prodotte dalle società industriali; oggi hanno un eccesso di fiducia nella capacità delle armi di lavorare in modo "chirurgico", quindi controllabile.

- Nel 1914 si parlava molto di onore delle nazioni e si agiva spesso in modo da difenderlo a tutti i costi. Oggi onore è stato sostituito da "prestigio e credibilità". Ma il rischio di tutto questo è la rigidità, le posizioni senza possibilità di mediazione.

– Gli Stati Uniti di oggi sono quel che era nel 1914 la Gran Bretagna, superpotenza in declino, incapace di garantire la sicurezza globale.

- La Cina interpreta la parte che fu allora della Germania: una nuova potenza economica, che freme di indignazione nazionalista e lavora a un rapido potenziamento delle forze armate.

- Il Giappone invece è quello che allora fu la Francia: alleato della grande potenza globale ma in ritirata e il cui peso regionale si riduce rapidamente.

Ma la faccenda più preoccupante, ha sottolineato un editoriale dell'Economist nell'ultimo numero del 2013, è che il mondo non stia in guardia, anzi si senta tranquillo, troppo sicuro di sé.

Le grandi aziende fingono di non vedere i pericoli presenti nelle relazioni politiche internazionali.
I politici giocano con il nazionalismo, esattamente come fecero 100 anni fa: basta fare attenzione a questi fatti:

- La fobia antigiapponese dei leader cinesi o il reciproco nazionalismo giapponese attizzato dal primo ministro Shinzo Abe.

- In India potrebbe presto andare al governo un nazionalista Hindu come Narendra Modi, che copre i pogrom antiislamici nello stato indiano che governa attualmente e che avrà le chiavi dell'arsenale nucleare indiano puntato contro il Pakistan.

- La Russia di Putin sta giocando pesante per i propri interessi: in Siria, per esempio, avrà sul governo siriano un controllo maggiore di quello che ebbe su quello serbo nel 1914?

- I russi si sentivano protettori dei serbi e virtualmente nemici dei presunti nemici dei serbi. In un modo che peraltro ricorda i giochi dell'Arabia Saudita per proteggere i sunniti o quelli dell'Iran per "proteggere" gli sciiti.

- Poi ci sono i nazionalismi radicali rafforzati dalla crisi economica nella vecchia Europa, che sembrano frenare i processi di integrazione e aumentare l'ostilità nei confronti delle minoranze etniche e degli immigrati presenti nei vari paesi.

Due "precauzioni", dice l'Economist, sarebbero invece necessarie:
- la prima consiste in un "sistema" per ridurre al minimo le conseguenze di pericoli e confronti locali. Per esempio, come agire quando imploderà la Corea del Nord?
- La seconda consiste invece in una politica estera americana più attiva, più da protagonista, capace, per esempio, di agire rapidamente in situazioni come quella siriana (l'Economist voleva e vorrebbe un intervento armato degli Usa) o di inserire nel sistema globale i paesi emergenti com l'India, l'Indonesia, il Brasile e - soprattutto - la Cina.

Infine ci sono i leader: secondo Macmillian, se l'Europa avesse avuto, nel 1914, un Bismarck e un Churchill, avrebbe potuto evitare la guerra: allora mancò invece la forza di sostenere le pressioni belliciste delle varie fonti di potere dentro i governi e le opinioni pubbliche e di far prevalere la capacità di vedere, complessivamente, il quadro strategico e politico.

Oggi Obama ha una visione nobile e progressista del ruolo degli Usa nel mondo ma si trova davanti un Congresso a maggioranza repubblicana e un paese diviso al quale non interessa giocare un ruolo attivo e costruttivo nel mondo.

Fonti:

The New York Times  

The Economist  

- The Brooking Essay

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Luigi Gavazzi