Il terzo occhio della campana tibetana: tra realtà e immaginazione
Marco Mirante
Lifestyle

Il terzo occhio della campana tibetana: tra realtà e immaginazione

Un viaggio inedito nella natura mistica e arcana dell'uomo. Ombre, segreti e magia di uno strumento musicale millenario

Sono tibetano. Uno dei pochi occidentali che abbiano raggiunto il mondo dell’Oriente, così diverso dal nostro. I lettori – di questo nuovo anno – sono liberi di pensare quello che credono, ma il Tibet è un paese – ancora oggi – ignoto al resto del mondo.

Colui il quale scrisse, di un altro Paese, che “gli abitanti cavalcano testuggini di mare” venne deriso, scrisse T. Lobsang Rampa, ma del pari furono derisi coloro che avevano un pesce da essi ritenuto un “fossile vivente”.

Il viaggio, lungo gli aforismi, le vie e le cime asiatiche, per quanto nuovo possa essere, nello scrivere e raccontare si trasforma in qualcosa di meraviglioso. Le campane tibetane sono un nuovo cammino sonoro, ovvero di vibrazione poliarmonica e per questo che sono considerati come strumenti vibrazionali, originari del Tibet, Nepal e India, ma sono attualmente prodotte anche in altri paesi del sud est asiatico e in: Cina, Giappone e Corea del Sud.

In questa terra, furono costruiti i primi esemplari, proprio nella regione Himalayana, anche se le origini sono avvolte ancora nel mistero, ma per questo motivo sono le più ricercate, perché raccolgono preziosi frammenti di memoria storica, costruttiva e sonora. Con la consueta leggerezza, a differenza degli altri esemplari, la campana tibetana non viene appesa capovolta con il batacchio all’interno, ma è un oggetto statico da tenere in mano o poggiato sul pavimento con la parte cava rivolta verso l’alto.

La composizione è la parte più originale, perché ci invita a riappropriarci del nostro tempo sociale, orami fatto d'incertezze, paure e soprattutto fragilità: sono infatti composte da una particolare lega di sette metalli, ognuno connesso – spiritualmente parlando – a uno dei pianeti del nostro sistema solare. Il suono emesso varia in base a numerose e diverse caratteristiche dell’oggetto, quali la dimensione, la proporzione dei vari componenti metallici oppure dalla forma stessa della campana.

I sette metalli sono quelli base – Oro, Argento, Mercurio, Rame, Ferro, Stagno, Piombo – ma per esempio in un antico esemplare conservato al British Museum di Londra, sono stati trovati dai ricercatori e archeologi ben dodici metalli – Nichel, Zinco, Cadmio, Arsenico, Antimonio, Cobalto e Bismuto. L’esatta preparazione per ottenere questa particolare e unica lega originale, ancora oggi, è avvolta nel mistero, ma alcuni sostengono possa trattarsi di una eccezionale facoltà divinatoria, che consentirebbe di percepire realtà spirituali, quali l’aura che circonda ogni individuo.

Scientificamente parlando, si potrebbe dare una riposta a questo fenomeno, come una concordanza di fasi che consentirebbero a più onde di unirsi e vibrare allo stesso modo e tempo, emettendo onde alfa – onde cerebrali – caratterizzate da frequenze comprese tra gli 08 e i 12 Herz, rilevabili nei momenti di veglia ad occhi chiusi o negli attimi che precedono il sonno. Sta di fatto che trasportarsi nell’atmosfera incantata del favoloso Tibet, la campana tibetana, ne diventa un appassionante viaggio – come in Prima della Tempesta di Fosco Maraini, negli anni tra il 1937 e il 1948 -  nella natura mistica e arcana dell’uomo.

Sta a voi dire Realtà o immaginazione?

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Giuseppe Giulio

Napoletano, ma residente a Fiuggi. Laureato in Scienze Politiche per la Cooperazione e lo Sviluppo. Ha pubblicato nel 2009 una prima silloge in lingua inglese dal titolo “Northern Star” edito da Altromondo. Collabora con Roma Tre e UNICEF.

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