Dal Satiro danzante ai Bronzi di Riace esposti all'estero: quando l'arte non è profeta in patria
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Dal Satiro danzante ai Bronzi di Riace esposti all'estero: quando l'arte non è profeta in patria

I musei stranieri si contendono i nostri capolavori. Che in Italia ben pochi vedono

Se ne sta a Londra il Satiro danzante di Mazara del Vallo. È prestato alla Royal academy of arts fino al 9 dicembre e, verosimilmente, si farà quel bagno di folla che manca in casa. Nessuna opera d’arte, presso gli stessi paesani, è "profeta" in Sicilia. E ben venga allora che questa statua, incantevole, dionisiaca, poeticissima, possa essere vista, descritta e raccontata.

Non esiste, ovviamente, il percorso inverso. La Sicilia fuori dalla Sicilia è magnifica cosa, dentro casa risulta come un buio magazzino. Nessun reperto, nessun pezzo e nessuna opera farà il viaggio da Londra a Mazara. Così come tutti i Caravaggio prestati o gli Antonello da Messina recapitati a New York potranno generare scambi su Palermo o Canicattì. Ed è questione – come dire? – di mercato. I più avvertiti e sensibili si arrabbiano di questo commercio, ma una verità è una verità: il consumo culturale in Sicilia è basso, anzi, nullo. Il Museo Riso di Palermo, considerato fra le vetrine più importanti dell’arte contemporanea internazionale, è stato di fatto chiuso dal governo regionale. E solo per carità di patria qui si sorvola sui numeri di sbigliettamento dei musei del Sud, mitici Bronzi di Riace in testa, rispetto a una qualunque giornata di una qualsiasi mostra di Palazzo Zabarella, facciamo a esempio, a Padova.

Tutti ricordano l’epopea della Venere di Morgantina. È la statua trafugata dal sito archeologico omonimo e poi messa in mostra al Getty Museum di Los Angeles. Francesco Rutelli, ministro dei Beni culturali del governo Prodi, ne ottenne la restituzione. Col senno del poi, non possiamo che considerare incauta quella decisione. Rutelli, infatti, la consegnò a noi siciliani per concederci di collocarla in un pur delizioso museo, ad Aidone, dove non mostriamo la stessa attenzione che, a pochi chilometri, rivolgiamo invece al Fashion village, il più gigantesco outlet del Mezzogiorno d’Italia.

È come se la Gioconda invece che stare al Louvre fosse a Vinci, ridente località toscana, paese natio di Leonardo. Questo è il senso del tenere le opere d’arte di Sicilia in Sicilia, dove però, per sovrapprezzo provinciale, c’è anche la sciagura di una gestione regionale dovuta all’orrida autonomia. E poiché in quel sublime pezzo di Sicilia, presso Enna, nell’ombelico esatto fra i tre valli (Demone, Mazara e Noto), c’è un’altra meraviglia dell’antichità, ovvero la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, andando a vedere l’esito del nuovo restauro, bello proprio, abbiamo notato come i visitatori, con gli italiani del Nord, veneti soprattutto, fossero tutti stranieri, meravigliosamente tedeschi o bizzarramente inglesi, normalmente  forestieri, arrivati tutti seguendo un richiamo irresistibile, quello della bellezza. Un richiamo che risulta nullo presso la maggioranza dei siciliani.

Tutti fatti ignoranti, compreso chi scrive, da un’idea di società e di civiltà abusiva e pacchiana per cui capita che un qualunque professionista mediamente acculturato di Modica (gioiello del Barocco) non sappia dell’esistenza di Mothia (sublime isola assisa tra le saline di Trapani). E viceversa, ovviamente (e poi, certo, capita che ci si metta in macchina da un punto all’altro dell’isola per fare turismo. Ma gli è che giusto a metà dell’autostrada Catania-Palermo, ad Agira, c’è l’outlet e ben altra sirena inchioda i visitatori: lo shopping. Che è dionisiaco più di qualsiasi Satiro).

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