Angelo Villa, "Pink Freud"
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Angelo Villa, "Pink Freud"

Le canzoni sono come tatuaggi, cantava Joni Mitchell in Blue. Un'eco di ninnananna. Un pulpito laico per mettere sulla scena le pulsioni di cui si soddisfa rimanendo, nel contempo, sempre insoddisfatta. Un libro affronta la canzone d'autore in una jam psicanalitica che spazia da Bob Dylan a Davide Van de Sfroos.

Il titolo è un colpo di genio, anche se la silhouette del severo Sigmund sullo sfondo di The Wall rende la copertina meno giocosa di quel che avrebbe potuto essere: Pink Freud . Un viaggio nella geografia affettiva della canzone d'autore occidentale che lo psicoanalista Angelo Villa affronta su un robusto impianto di matrice freudiana-lacaniana, lasciandosi trasportare però da un flusso asistematico di suggestioni e libere associazioni. Una struttura free jazz per parlare del rock in chiave psicanalitica.

Pink Freud o Punk Freud, citando un album della band polacca a cui si deve la paternità del calembour. Il paradosso del padre della psicanalisi, che amava l'arte ma si tappava le orecchie infastidito dal suono di un pianoforte, fa da antipasto alla carrellata di icone mondiali stese sul suo lettino. Le storie e le canzoni di Bob Dylan e Leonard Cohen sono i modelli per indagare la morte del padre e la via per diventare uomo. John Lennon e Fabrizio de André offrono meravigliose letture complementari della questione materna e della metafora dell'amore. Janis Joplin, Patti Smith e Joni Mitchell furono le prime interpreti di una colonna sonora del desiderio che attraverso il rock fornì una soluzione alternativa al dilemma di essere donna. Temi classici del rock e del processo di crescita individuale, la fuga e la trasgressione, hanno come numi tutelari Bruce Springsteen e Neil Young.

Le melodie delle mie canzoni, ha raccontato Dylan, "sono quelle che ho ascoltato nell'infanzia". La matrice inconscia dei suoni, spiega Villa, risale alla funzione materna di contenimento del neonato, studiata dai discepoli di Freud che retrodatarono la pre-conoscenza del mondo addirittura alla fase intrauterina, esperita attraverso il suono. Per tranquillizzare il bambino la madre lo culla ritmicamente cantandogli la ninna nanna, permettendogli di ristabilire il contatto con l'oggetto d'amore percepito come fonte di benessere. I suoni sono cioè la prima esperienza di relazione narcisistica, condizionata dalla presenza e dall'investimento materno, ma continueranno per sempre a rimanere un'entità magica, salvifica, rituale, capace di riattivare fenomeni transizionali: quell'area intermedia del Sé dove soggetto e oggetto rimangono indistinti.

La voce, le parole e il ritmo, gli elementi costitutivi della canzone trobadorica da cui ha tratto i suoi stilemi la canzone d'autore, sono il medesimo architrave su cui poggiano i processi di simbolizzazione. A chi, di chi e che cosa si canta quando si canta? Il passaggio di testimone dal romanzo alla canzone d'autore segnò negli anni Sessanta la fine della modernità e l'ingresso nell'era contemporanea. I nuovi battistrada dell'emancipazione del soggetto diventarono i menestrelli con la chitarra: nella canzone, come ha scritto Manlio Sgalambro, "si è concentrata tutta la poesia possibile del nostro tempo".

Vero, falso, provocatorio. Poco importa. Mentre psicanalisi, letteratura e filosofia stringono il pop nel loro abbraccio fatale, Pink Freud affronta questioni serissime con la lingua dei sogni. Imagine: Fabrizio de André al pub con Samuel Beckett, Theodor Adorno a un concerto di Lou Reed, Janis Joplin nell'alcova di Colette, Jim Morrison sul palco con Sofocle, Nick Drake a scuola di onomatopea da James Joyce, Neil Young in cantina con Dostoevskij e i Crazy Horse, Patti Smith sul rogo di Giovanna d'Arco, Roger Waters negli incubi di Lacan, Bob Dylan e Socrate a passeggio nel Peripatos, Leonard Cohen e Albert Camus coautori dello Straniero.

Dopo una seduta impegnativa con i mostri sacri della canzone d'autore, l'analisi di Villa termina sulle rive del Lario dove Davide Van de Sfroos ambientò Akuaduulza (Acqua dolce), title track dell'omonimo album del 2005. Una ballata in cui la potenzialità espressiva del connubio parole-musica è esaltata dal dialetto: la lingua-melodia che, come sosteneva Andrea Zanzotto, "non ha grammatiche". Nostalgie intrauterine e storie di fuga e confine si rincorrono fra lo spirar dei venti sulle note delicate del trovatore delle valli, outsider della musica italiana. L'ambiguo sciabordio dell'inconscio fa capolino dai versi, mentre il dolce naufragar nell'acqua dolce lascia la bocca amara.

Perché, si chiedeva Ludwig Wittgenstein nei Quaderni 1914-1916, non ci dev'essere un modo di espressione con il quale io posso parlare "sopra" il linguaggio? Suppongo, concludeva, che la musica sia quel modo di espressione. Pink Freud è la musica che gira intorno a questa ineffabile suggestione. Il linguaggio della canzone - simile al sogno, alla poesia, alle parole degli innamorati - permette di riaccendere fugacemente quell'"altro da sé" che appartiene al regno degli affetti. Una magia che si compie nella dialettica fra pulsione, riconoscimento e incompletezza. Provate ad ascoltare Neil Young quando canta la sua Borrowed Tune, melodia presa a prestito. L'infanzia gli è stata strappata dalle mani, ma lui "vi è rimasto aggrappato, con tutto quel che ne consegue".

Angelo Villa
Pink Freud
Mimesis
286 pp., 20 euro

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Michele Lauro