juventus crisi thiago motta contestazione fallimento
(Ansa)
Calcio

C'era una volta la Juventus

La stagione che doveva essere del rilancio, supportata da investimenti ingenti, si è rivelata un fallimento. E ha tradito i valori del passato di un club che non avrebbe mai accettato di vivacchiare - I VERI CONTI DEL MERCATO FLOP DI GIUNTOLI

C'era una volta la Juventus che non imbarcava quattro gol in casa, l'ultima nel 1967. E che se falliva fragorosamente una stagione intera se ne assumeva la responsabilità, serrava i ranghi fino alla fine (cit) e però capivi che il domani sarebbe stato diverso. Non quella amorfa di oggi, presa a schiaffi in campo, contestata dalla gente che se n'è andata dallo stadio in largo anticipo per risparmiarsi un po' di freddo e pioggia che tanto non serviva.

C'era una volta la Juventus che "vincere è l'unica cosa che conta" e il traguardo è più importante del percorso. Non viceversa. E che su questo dogma ha costruito una storia ultracentenaria, nulla a che vedere con la straziante deriva di questi mesi giuntoliani e thiagomottiani. In rigoroso ordine di apparizione, perché nella Juventus che c'era e che non c'è più, insieme all'allenatore sarebbe stato messo in discussione anche l'architetto del progetto sportivo. Non come oggi in cui tutto sembra passare sopra la Real Casa senza lasciare traccia.

C'era una volta la Juventus che non avrebbe mai consentito a un suo tecnico di argomentare uno 04 parlando di rigori ed età media della squadra. Che sosteneva che "l'arbitro è l'alibi dei perdenti" (Gianni Agnelli) e lasciava agli altri l'esercizio di discuterne nella buona e nella cattiva sorte. Altri tempi, altro stile, altra capacità di lettura autocritica. Alzi la mano chi ha riconosciuto la Juventus che c'era e non c'è più nel balbettante post Atalanta di Thiago Motta in cui l'unica frase utile ("Chiedo scusa") non è stata proferita, visto che il termine "vergogna" era già stato speso per l'umiliante ko contro le riserve dell'Empoli. Senza che nessuno ne traesse le debite conseguenze.

C'era una volta la Juventus che chiedeva conto dei denari spesi, lira dopo lira, euro dopo euro. E non si accoccolava in una narrazione auto assolutoria così distante dalla realtà da diventare pericolosa. Perché equilibrio ed efficienza sono sempre stati i pilastri su cui fondare i cicli vincenti, assorbendo i guasti di quelli meno competitivi. La Juventus che c'è adesso, invece, cammina costantemente su un filo sottile e costosissimo, sorretta da una proprietà che non ha limiti nel ripianare ma che comincia ad avere sempre meno pazienza nel passare da un anno zero all'altro.

C'era una volta la Juventus che si sarebbe ribellata alla mediocrità cominciando dal chiamarla con il suo vero nome. Con uomini di calcio a guidarla, dedicati interamente ad essa e non in prestito da altre mille attività. In cui la gente della Juventus (altra cit., questa volta di Andrea Agnelli) sapeva riconoscersi senza imbarazzi, non professionisti dei conti e uomini in grigio senza carisma e argomenti, incapaci di parlare a testa e cuore di tutti.

C'era una volta la Juventus che le sberle prese dal Gasp non le avrebbe accettate. Si sarebbe ribellata. E prima ancora avrebbe cacciato dal tempio i mercanti, rifiutato recensioni buoniste, messo sotto pressione i suoi uomini e in discussione se stessa. Non adesso che il tempo è passato e c'è solo da salvare il salvabile, ma prima quando i segnali dello sfascio erano già chiari ed evidenti. A volerli vedere e a voler intervenire. Altra Juventus, altri tempi, altre persone.

TUTTE LE NOTIZIE DI CALCIO SU PANORAMA

I più letti

avatar-icon

Giovanni Capuano