Attacco di panico
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Attacco di panico

Dio Pane, che da quando è stato sconfitto per la prima volta, vaga alla ricerca di rifugio, cerca una crepa dove infilarsi, uno spiraglio di fragilità. E' quello che torna all’attacco col coltello in bocca la notte dopo che è stata dichiarata finita la guerra. Ma non è cattivo. E’ solo strxxzo. E passa.

Attacco di panico è una religione che trova addetti solo dopo averli travolti, illuminati di un immenso orripilante. Prima è solo una cosa da non capire, un evento da guardare con i gomiti appoggiati alla ringhiera o in piedi sul muretto, con le mani in tasca. Si può fare qualche battuta, farci sopra un po‘ di ironia e anche sarcasmo, lo si può diffidare e diffamare fino a cancellare totalmente la sua dignità di esistere, riducendolo a una voce in più nella nomenclatura delle sofferenze post moderne, insieme a intolleranze alimentari e cartella esattoriale.

Attaccodipanico andrebbe scritta così, attaccata, (sic) tutta insieme. Come dire lasagna, che non è “sfoglia con carne pomodoro besciamella e formaggio”, lasagna ha qualcosa in più data dall’insieme degli ingrediente più i nomi e le mani che nasconde, di chi l’ha fatta, di chi ha tramandato la ricetta, e così via.

Stando al vocabolario, attacco può essere un punto di unione funzionale tra due oggetti, o la battuta d’avvio nella musica, ma anche una azione offensiva contro il nemico o  un assalto condotto con le armi della polemica. Mentre panico è definito come aggettivo: relativo al Dio Pan, e come sostantivo maschile: reazione, individuale o collettiva, che invade improvvisamente di fronte a un pericolo reale o immaginario, togliendo la capacità di riflessione e spingendo alla fuga o ad atti inconsulti.

Attacco di panico allora potrebbe essere un punto di unione funzionale tra te e il Dio Pan, che in una libera interpretazione chiamerò Dio Pane (come disse Giorgio Vasta “il libro è mio e il Mississippi passa dove dico io”), che i racconti narrano fuggisse pure lui dalla paura che faceva a sé stesso. O forse l’attacco di panico è la prima battuta di una musica che invade improvvisamente, una musica che ti assalta con le armi della polemica, ben potrebbe essere il jazz, polemico e adorabile.

Ma no, non è musica. Toglie il fiato ma non lascia traccia di bellezza quando va via, neanche di quella bellezza tragica e malinconica della quale sono dipinti alcuni tramonti. E’ solo un bastardo mal vestito e inopportuno, che arriva all’improvviso e si mette a urlare cose che non capisci e ti scalcia nella bocca dello stomaco, ti affloscia le gambe e ti fa formicolare le braccia. E tu, confuso, invece di mettere su i guantoni e fare andare via il prurito a pugni, te ne stai lì fermo e trattieni il respiro, perché credi di morire, e se stai morendo meglio risparmiare aria, magari vivi un po’ di più prima che ti si fermi il cuore per sempre. Ma se non respiri  non va bene, allora prendi aria ma l’aria non basta mai, perché non entra, perché il tuo petto è pieno di Dio Pane. Porco, lui sì. E non è bestemmia. E anche se lo fosse. Se la tiene.

Da lontano senti una voce, un po’ tua un po’ di racconti sentiti un po’ di amico che ti tiene la mano e con dissimulo conta i battiti. Tra le urla nella testa il sudore sotto i baffi e il soffocare quelle voci ti parlano, ti cantano una ninna nanna, ti raccontano storie per farti dimenticare Dio Pane, che da quando è stato sconfitto per la prima volta vaga alla  ricerca  di rifugio, cerca una crepa dove infilarsi, uno spiraglio di fragilità, è quello che torna all’attacco col coltello in bocca la notte dopo che è stata dichiarata finita la guerra. Ma non è cattivo. E’ solo stronzo. E passa.

Continuare a respirare è fondamentale. Notiziona, eh? Ma è così. Credi di morire ma respiri, finché l’aria inizia a farsi spazio, le gambe tornano tue e senti il corpo come se te lo avessero preso a calci in venticinque, un dolore in mezzo al petto che non andrà via per un paio di settimane. Ma passa. E sei vivo. E quella è la cosa più bella del sentirsi morire, scoprirsi vivo. Ma non vogliamo ripetere l’esperienza. C’è di buono che Dio Pane basta sconfiggerlo una volta che poi tutte le altre ti metterai i guantoni e gli prenderai a pugni le maiuscole fino a farlo diventare dio pane, poi nemmeno dio, e poi pane diventerà pena. Niente attacco né panico né dio né pane né polemica. Solo pena, che non sarà condanna, ma solo sofferenza, sofferenza con scarpe piene di fango fatto saltando dentro pozzanghere d'acqua di pioggia di tramonti grigi, e lascerà traccia che potrai seguire, in tutte le direzioni che sa prendere, e le leverai se puoi, o le confonderai in un quadro, un passo alla volta, una pennellata per passo. (E qualche benzo). Amen.






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Mercedes Viola