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Verso il voto: vincerà il cuore o la testa?

Verso il voto: vincerà il cuore o la testa?

Né Bersani né Monti hanno intercettato la rabbia della gente. Mentre Grillo e Berlusconi… Lo speciale elezioni 2013

Alessandro Amadori, lo studioso che applica l’analisi emozionale alle rilevazioni demoscopiche e studia perciò i flussi elettorali sulla base di parametri psicologici, è convinto che gli italiani si trovino un po’ nella condizione del 1994: avvolti in un forte clima emotivo catalizzato da un sentimento dominante. Nel ’94 era la speranza. Mani pulite aveva spazzato il pentapartito, azzerando d’un tratto la coalizione che aveva governato per decenni garantendo agli italiani il benessere (e il debito pubblico). Restava in piedi solo l’ex Pci. Il paese era consegnato a una sinistra non rinnovata (non lo è del tutto neppure oggi). Berlusconi scese in campo e convinse gli italiani che i moderati, gli elettori di centrodestra, potessero affidarsi a un contenitore nuovo e credibile. Li fece sognare, e vinse.

Oggi, secondo Amadori, il sentimento prevalente è la rabbia. La rabbia pura e cieca, quella che ti prende quando non vedi vie d’uscita ma provi disgusto per tutto e per tutti e pensi che solo scassando il sistema ne puoi venire fuori. Questa rabbia, legittima e per certi aspetti salutare, ha uno sbocco naturale scontato: il Movimento 5 Stelle. Ecco perché si percepisce nelle piazze che Grillo guadagna consensi e “rischia” di fare quel boom che ancora qualche mese fa qualcuno lassù in alto si ostinava a non sentire. Ma Grillo non elabora la rabbia, si limita a esprimerla. Le dà voce. Il suo ultimo grido è quell’“arrendetevi!” che è tutto un programma.

Bersani, di fronte alla rabbia, si è ritratto quasi impaurito. Intimidito. Ha scelto una campagna elettorale defilata. Ha subìto la rabbia, non è riuscito a esprimerla né a cavalcarla, a incanalarla o elaborarla. Vincerà forse le elezioni, ma ha perso la campagna elettorale perché non è mai entrato in sintonia con il cuore della gente. Un cuore rabbioso.

Monti ha fatto peggio. Ha mostrato di fronte alla rabbia la freddezza cinica del tecnico arrogante, che non riconosce il proprio fallimento e pretende di trasformarsi in fustigatore dei partiti quando lui stesso ne è stato l’àncora. La ciambella di salvataggio dei partiti e della burocrazia, delle banche e della finanza. Dei poteri forti. Dei ricchi improduttivi. Del parastato. La sua campagna elettorale è stata meno defilata di quella di Bersani. Anzi, sopra le righe. Ma suicida.

Berlusconi, invece, ha elaborato la rabbia cercando di offrire quello che Amadori definisce un possibile “antidoto”: la fiducia. La speranza di farcela. Di pagare meno tasse e ricominciare a crescere. Di contare in Europa senza genuflettersi a Berlino. Di evitare il tracollo senza essere spremuti dallo Stato. Però Berlusconi ha un problema: non è più l’uomo della provvidenza del ’94. È un politico di lungo corso. Ha conservato la capacità di far sognare, anche se non più le masse del 1994, del 2001 o del 2008. Ha rimontato la corrente, come i salmoni.

Anche nel cuore c’è un po’ di testa. La rabbia di Grillo distrugge e dalle macerie si rinasce (magari con Renzi). Allo stesso modo, nella testa c’è un po’ di cuore: la speranza evocata da Berlusconi è, in fondo, l’ultima risorsa della rabbia che non vuole arrendersi né scassare.

Nell’urna, domenica e lunedì, prevarrà il cuore o la testa? La rabbia o la speranza?  

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