Inizia a scaldarsi la partita per la nomination presidenziale repubblicana del 2024. Al momento, i candidati ufficiali in campo sono solo due: l’ex presidente Donald Trump e l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley. Tuttavia altri potenziali contendenti stanno iniziando a fare capolino: dal governatore della Florida Ron DeSantis all’ex vicepresidente Mike Pence, passando per l’ex segretario di Stato Mike Pompeo.
Trump è per ora la figura che vanta una strategia maggiormente definita. Fino a qualche settimana fa, aveva cercato di restare tendenzialmente lontano dai riflettori, pur non risparmiando stoccate e critiche ai rivali (attuali e potenziali). Ultimamente ha invece scelto di tornare al centro della scena: è per esempio in quest’ottica che si è di recente recato nel paese di East Palestine, in Ohio, accusando l’amministrazione Biden di aver gestito malamente la crisi seguita al deragliamento di un treno, verificatosi in loco a inizio febbraio: un deragliamento che, ricordiamolo, ha sprigionato una nube tossica sull’area con conseguenze preoccupanti per i residenti.
Più in generale, la linea politica che l’ex presidente vuole seguire è abbastanza chiara. Trump punta a riprendere alcuni tratti della campagna elettorale del 2016, coprendo il Partito repubblicano maggiormente a sinistra. L’ex inquilino della Casa Bianca si sta infatti presentando come il candidato a favore della previdenza sociale e della sanità pubblica, accusando i suoi avversari (da Nikki Haley a Ron DeSantis) di essere favorevoli a misure socioeconomiche di liberismo selvaggio. L’obiettivo è chiaramente quello di rendersi attrattivo soprattutto agli occhi della classe operaia della Rust Belt: area in cui storicamente Trump ha sempre performato bene ma in cui, alle ultime elezioni di metà mandato, ha subito alcune cocenti delusioni (come la sconfitta del suo candidato alla poltrona senatoriale della Pennsylvania).
Pur non essendo ancora formalmente sceso in campo, DeSantis ha nel frattempo avviato quella che la stampa americana ha chiamato una “campagna ombra”. Il governatore della Florida si sta infatti mostrando iperattivo e punta a enfatizzare il modello politico significativamente conservatore messo in piedi nel suo Stato. Non solo. Secondo i beninformati, può contare sull’appoggio del magnate dei media, Rupert Murdoch, che ha invece rotto da tempo con Trump e che, come dimostrato da un recente editoriale del Wall Street Journal, ha già di fatto scaricato la Haley. Una Haley che sta al momento battendo molto sui temi di politica internazionale, i quali tuttavia notoriamente non risultano troppo attrattivi per gli elettori delle primarie. L’ex ambasciatrice all’Onu sconta anche un problema di isolamento all’interno del Partito repubblicano e dovrà urgentemente trovare una collocazione politico-ideologica ben chiara, se vorrà puntare realmente alla nomination presidenziale. Stanno crescendo nel frattempo le indiscrezioni su una possibile discesa in campo di Glenn Youngkin: meno carismatico di DeSantis, il governatore della Virginia ha dato prova di essere un federatore capace nel novembre del 2021. E questa potrebbe risultare la sua carta vincente, qualora decidesse di candidarsi.
Tutto ciò, fermo restando che siamo ancora ai blocchi di partenza. E che nei prossimi mesi la situazione complessiva potrebbe mutare drasticamente. Ricordiamo d’altronde che, tra febbraio e marzo del 2015, era data quasi per scontata la vittoria di Jeb Bush alle primarie repubblicane dell’anno successivo: primarie che, invece, furono alla fine vinte da Trump. Quindi occhio a fare previsioni affrettate. La strada è ancora molto lunga.
