Il Partito repubblicano alla Camera dei rappresentanti è nel caos. Nella giornata di ieri, il candidato alla carica di Speaker, Kevin McCarthy, non è riuscito a ottenere il quorum per essere eletto nell’arco di ben tre votazioni: era dal 1923 che l’elezione di uno Speaker non si concludeva direttamente al primo scrutinio (senza dimenticare che, ad oggi, la più lunga elezione di uno Speaker della Camera è avvenuta nel 1856, richiedendo ben 133 votazioni e due mesi di tempo). Il problema stavolta sorge dal fatto che una ventina di deputati repubblicani si sono ribellati a McCarthy, impedendogli di raggiungere la fatidica soglia dei 218 voti.
Se a livello ufficiale tutto sembrerebbe nato da beghe per le nomine nelle commissioni parlamentari di peso, una certa narrazione mediatica sostiene che si tratti in realtà di una manovra politica, per portare avanti un progetto di egemonia trumpista sul Partito repubblicano. Un’interpretazione che, attenzione, può effettivamente avere un fondo di verità. Innanzitutto i rapporti tra McCarthy e Donald Trump sono sempre stati piuttosto altalenanti. In secondo luogo, tra i riottosi si annoverano figure molto vicine all’ex presidente repubblicano, come il deputato Matt Gaetz. Senza trascurare che, secondo il Washington Examiner, nelle scorse ore lo stesso Trump si sarebbe rifiutato di esprimere un sostegno esplicito a McCarthy, nonostante gli avesse dato un endorsement lo scorso novembre. Dall’altra parte, va tuttavia rilevato che il quadro è più complesso, visto che il candidato Speaker ha comunque ottenuto l’appoggio di alcuni deputati storicamente trumpisti, come la presidente della Conferenza repubblicana alla Camera, Elise Stefanik. Anche quindi ammesso che dietro questa ribellione si celi lo zampino dell’ex presidente, il mondo trumpista non sembra compatto rispetto a quanto sta accadendo.
Bisognerà dunque capire che cosa accadrà nelle prossime ore. Non è ancora detto che McCarthy sia completamente fuori gioco. Il nodo per lui risiede tuttavia nel fatto che, nel corso delle votazioni, la fronda ha continuato a serrare i ranghi. In questo quadro, un nome che sta emergendo come suo possibile sostituto è quello di Jim Jordan: conservatore battagliero, teoricamente in procinto di diventare presidente della commissione Giustizia della Camera. È abbastanza verosimile che possa alla fine farcela lui, qualora lo stallo su McCarthy dovesse proseguire.
Ricordiamo d’altronde che, al di là delle divisioni interne al Partito repubblicano, questa situazione è figlia della maggioranza risicata conquistata dall’elefantino alla Camera in occasione delle ultime elezioni di metà mandato. È anche per questo che un simile caos indebolisce politicamente i repubblicani in una fase particolarmente delicata: il processo delle primarie presidenziali sta di fatto per mettersi in moto, mentre vari deputati del Gop avevano annunciato delle inchieste parlamentari per mettere con le spalle al muro l’attuale Casa Bianca. Quanto sta accadendo può quindi rivelarsi indirettamente un assist ai democratici (che pure hanno notevoli problemi interni). Più in generale, a meno che non si riesca a trovare una soluzione rapida, la Camera nel caos rischia di paralizzare il Congresso per lungo tempo. Va infine ricordato che, nel corso degli ultimi dodici anni, gli Speaker repubblicani – John Boehner (dal 2011 al 2015) e Paul Ryan (dal 2015 al 2019) – hanno spesso incontrato considerevoli difficoltà nel tenere unita la propria pattuglia parlamentare alla Camera.
