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San Siro, cosa c’è in gioco per il futuro del calcio italiano

San Siro, cosa c’è in gioco per il futuro del calcio italiano

La partita finale sul destino del nuovo stadio di Milan e Inter è guardata con attenzione da tutto il sistema. In gioco non solo gli interessi dei club, ma anche il futuro del calcio italiano a partire dall’Europeo del 2032

L’ormai lunghissima vicenda di San Siro e del suo destino arriva al momento della verità in un clima da dentro o fuori. Non ci saranno vie di mezzo nella definizione del dossier aperto nel 2019, quando Milan e Inter hanno presentato i primi studi per la realizzazione di un nuovo impianto nell’area dove risiede l’attuale Meazza: dentro, nel senso di chiusura dell’operazione ed entro il 2031 un nuovo stadio accanto a quello di oggi, poi abbattuto, oppure fuori con i club che guardano all’area di San Donato dove il Milan ha già avviato l’iter burocratico e amministrativo prima di congelarlo nuovamente.

Tertium non datur, dicevano i latini. Su Milano ci sono gli occhi di tutto lo sport italiano e non solo. La moral suasion di Figc e Lega Serie A si è trasformata con il trascorrere dei mesi e degli anni in pressione a tutto campo. Le ultime uscite del presidente federale Gabriele Gravina (Lo stadio Meazza non risponde ai requisiti richiesti dalla Uefa per ospitare l’Europeo. L’augurio che mi sento di fare è che la parte politica, d’accordo con lnter e Milan, riesca a trovare la migliore soluzione per Milano”) e di quello di Lega, Ezio Maria Simonelli (“Lasciare la città più altospendente d’Italia senza gli Europei sarebbe una figuraccia incalcolabile. Buttare a mare questo processo per questioni ideologiche di bassa lega è un autogol”).

Prima erano arrivate le parole del numero uno della Uefa, Aleksandr Ceferin (“Penso che le infrastrutture calcistiche italiane siano una vergogna”) a sigillare uno stato di fatto: il sistema del pallone italiano ha già perso un’enorme quantità di treni negli ultimi decenni e, ora, è arrivato all’ultima chiamata: o si mette al passo con i tempi, oppure è destinato inesorabilmente a declinare.

Senza uno stadio moderno Milan e Inter non saranno in grado di colmare il gap che si è scavato con le locomotive calcistiche d’Europa. E la verità è che il calcio italiano vive storicamente sullo stato di benessere delle tre grandi del Nord: le due milanesi e la Juventus. Insieme hanno conquistato 75 dei 123 scudetti assegnati dal 1898 ai giorni nostri, 60 su 79 concentrandosi solo sul periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dunque, o Milano riparte o tutto il sistema soffre. Un sistema che nell’ultimo decennio ha visto nascere 153 nuovi stadi in Europa di cui solo due in Italia e che non organizza un grande evento calcistico dagli sciagurati Mondiali del 1990.

L’Europeo del 2032, che doveva essere tutto italiano ed è stato condiviso con la Turchia proprio perché la Figc non era in grado di garantire la presenza di dieci strutture all’altezza (sic!) è l’ultima finestra utile. Dietro Milano ci sono le storie di Roma (ormai ultradecennale), Napoli (dove De Laurentiis e il Comune hanno visioni opposte), Firenze (cantiere aperto con soldi pubblici rifiutando gli investimenti privati di Comisso), Bologna (dossier sul tavolo senza passi avanti concreti da anni) e così via.

Interessa? Dovrebbe, anche se si tratta solo di pallone. In fondo il calcio in Italia muove interessi economici per 7 miliardi di euro (fatturato 2024 certificato dal Report Calcio Figc) con un impatto sul Pil stimato in 12,4 miliardi. E’ ormai una filiera industriale, non solo sport o intrattenimento. Fatica a reggersi sulle sue gambe per errori di chi lo governa, ma anche perché gli si chiede di combattere con armi spuntate. Il pensiero di quel settore è che gli stadi nuovi, funzionali e accompagnati da strutture che rendano sostenibili investimenti (privati) onerosi, siano la prima e indispensabile chiave di volta. Altrove lo hanno fatto ormai un quarto di secolo fa: Inghilterra, Spagna, Germania, Francia ma anche Polonia, Turchia e realtà che ormai ci hanno superato. La posta in gioco della partita su San Siro – per lo sport italiano – è questa: prendere o lasciare.

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