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Là dove il calcio non è all’ultimo stadio

Là dove il calcio non è all’ultimo stadio

A Milano vanno avanti da un decennio progetti, polemiche e rinvii per il rinnovamento dello storico «Giuseppe Meazza». Intanto, in Europa, sono stati costruiti o ristrutturati 160 impianti, dove intorno alle partite si sviluppano socialità e affari. Basterebbe copiare.


Dunque, le ultime notizie sul nuovo stadio di San Siro, che dovrà rappresentare uno dei simboli della rinascita di Milano, sono le seguenti: il sindaco Giuseppe Sala litiga con l’Inter perché non si sa quale sarà in futuro la proprietà della squadra, che insieme al Milan dovrebbe finanziare la costruzione dell’impianto e del quartiere annesso; la commissione Antimafia del Comune non è convinta; vari vip minacciano di incatenarsi al vecchio Meazza per impedirne la demolizione. Poi si accende la televisione e ci si imbatte in un documentario di Discovery che descrive le meraviglie del nuovo stadio del Tottenham di Londra, uno dei 16 impianti presenti nella capitale inglese. Inaugurato nel 2019 dopo quasi tre anni di lavori, il Tottenham Stadium offre agli avventori il banco bar più lungo del mondo, un birrificio (l’unico in uno stadio), un sistema innovativo che consente di riempire 10 mila pinte di birra al minuto, tre ristoranti (di cui uno stellato Michelin), un hotel, un centro commerciale, i due maxi schermi più grandi dell’Europa occidentale, 471 bagni e 773 orinali, un manto erboso che può scorrere per lasciare il posto a un campo per il football americano, e in futuro una discoteca. Una costruzione all’avanguardia che migliora l’esperienza degli spettatori e fa incassare più soldi alla squadra.

Spenta la tv, si riflette sulla telenovela di Milano e ai tifosi dell’Inter e del Milan, costretti a rifornirsi di panini con la salamella dai camioncini parcheggiati nel piazzale di San Siro e a far la fila davanti ai bagni che sono dieci volte meno rispetto ai minimi richiesti dalle norme internazionali, in uno stadio che sembra un’astronave un po’ vecchiotta, con il terzo anello in parte inagibile, atterrata su un parcheggio desolato. E viene da chiedersi: possibile che la Milano dei grattacieli di Citylife e di Porta Nuova, dell’Expo, delle Olimpiadi invernali del 2026 e di tutta la retorica sulla città più «smart» e più europea d’Italia (che però ha anche i bivacchi degli immigrati, le strade con le buche, il pavé a pezzi e le rotaie dei tram abbandonate, ma fa niente) non riesca a costruire un nuovo stadio di calcio?

Forse, viene da riflettere, probabilmente tirar su un impianto sportivo di grandi dimensioni è una cosa molto complicata, sarà così nel resto d’Europa. Be’, non è così: dal 2010 a oggi, da quando cioè si è iniziato a parlare di una nuova casa per l’Inter (e poi del Milan), sono stati costruiti o ristrutturati nel continente ben 160 stadi di calcio per un investimento complessivo di oltre 20 miliardi di euro: 27 in Turchia, 23 in Polonia, 16 in Germania e in Russia, 10 in Francia e nel Regno Unito, 5 in Ucraina, in Ungheria e in Svezia, 4 in Spagna e così via.

E sono immobili pensati per rendere più piacevole la vita ai tifosi, per aumentare le entrate delle squadre e per riqualificare il quartiere in cui si trovano. «Va bene che San Siro è iconico, ma non ha più le caratteristiche per la fruizione di uno spettacolo sportivo: i servizi e la ristorazione non sono adeguati rispetto a quello che si trova nelle altre grandi città» sostiene Fabio Bandirali, docente al Politecnico di Milano e responsabile finanza di Sportium, società del gruppo Progetto Cmr che ha presentato uno dei due progetti per il nuovo impianto milanese. «Oggi uno stadio è un immobile multifunzione che offre attività aperte tutta la settimana, come centri commerciali, hotel, negozi, ristoranti, oltre naturalmente al museo delle squadre».

Un esempio interessante è la Johan Cruijff Arena ad Amsterdam, uno stadio inaugurato nel 1996 e ristrutturato nel 2007: «È il primo stadio integrato costruito in Europa ed è un centro di accoglienza straordinario» dice Massimo Roj, a.d. di Progetto Cmr e presidente di Sportium: «Al suo interno ci sono attività commerciali, quattro ristoranti, sale per eventi, musei e si può perfino organizzare una cena sul campo di gioco». A Londra, quando l’Arsenal ha costruito nel 2006 il suo nuovo stadio, la spesa media pro capite dei tifosi è passata da 480 a 2.300 sterline all’anno e questo ha permesso alla squadra di raddoppiare le entrate, da 64 a 135 milioni di euro. «Ma il nuovo immobile ha anche contribuito a riqualificare il quartiere» aggiunge Roj, «trasformando il vecchio impianto in un giardino. Così il nuovo stadio diventa veicolo di rigenerazione urbana e sociale». Altro caso interessante è quello di Wembley che nonostante la sua fama è stato demolito e ricostruito ex novo nel 2007. Con una capienza di più di 90 mila spettatori, oggi è il maggior complesso sportivo di tutto il Regno Unito e il secondo d’Europa dopo il Camp Nou di Barcellona. A dimostrazione che una città come Londra sa guardare al futuro mandando in pensione un «monumento» della storia del football.

Quando si parla di grandi arene del calcio il pensiero corre al Santiago Bernabéu del Real Madrid: ristrutturato per cinque volte, l’ultima nel 2011 cui ne seguirà presto un’altra, lo stadio ha quattro ristoranti aperti verso l’esterno e un museo che è il secondo più frequentato di Spagna. Da solo, il museo del Real Madrid rende al team 30 milioni di euro all’anno, contro i 3 scarsi di quello di San Siro, che pure racconta la storia di due squadre con un palmares di tutto rispetto.

Nel 2010, allorché vinse il triplete (scudetto, Champions e Coppa Italia), l’Inter realizzò quasi 10 milioni di euro con il merchandising; lo stesso anno il Real ha incassato 7 milioni di euro solo con le sciarpe vendute nei quattro negozi dello stadio. Ma non è necessario essere una super squadra per realizzare un bello stadio: nel Regno Unito il Coventry, club della serie B inglese, ha costruito nel 2005 un impianto – Ricoh Arena – con al proprio interno un teatro, un casinò e un centro commerciale. Ed è stata recuperata un’area della città in pratica abbandonata.

In Francia l’Allianz Riviera di Nizza, inaugurato nel 2013, è autonomo da un punto di vista energetico grazie ai pannelli solari sul tetto e raccoglie l’acqua piovana per utilizzarla nei bagni e per l’irrigazione del campo. Ospita un museo dello sport, attività commerciali, ristoranti ed è aperto tutto l’anno per chi vuole organizzare eventi. La Friends Arena di Stoccolma, aperta nel 2012, è il terzo più grande stadio coperto d’Europa con cinque bar e ristoranti. Intorno all’impianto sono stati costruiti anche il centro commerciale più grande della Scandinavia con 224 tra negozi e ristoranti, un hotel con 400 camere e due ristoranti, numerosi uffici e circa duemila appartamenti.

A Barcellona il Rcde Stadium è stato inaugurato nel 2009 ed è uno dei primi stadi europei a usare energie rinnovabili. Oltre ad avere un centro commerciale interno e 27 bar, ospita addirittura un cimitero con le urne dei soci del club Rcd Espanyol. In media, ha calcolato il centro studi della Federazione italiana del calcio (Figc), l’affluenza negli stadi europei grazie all’apertura dei nuovi impianti è aumentata del 51 per cento, con punte del 154 per cento in Polonia.

Anche in Italia sono stati costruiti in questi anni tre stadi: nel 2011 quello della Juventus a Torino e poi gli impianti di Udine nel 2016 e di Frosinone nel 2017, che rappresentano un’evoluzione rispetto al concetto basico di stadio ma sono ancora lontani dai migliori esempi europei. Comunque, grazie al nuovo Stadium, nel 2019 la Juventus ha incassato 21 milioni di euro di entrate extra, non generate dalle partite. E da quando ha aperto l’impianto gli incassi durante le partite sono aumentati già nel primo anno del 174 per cento, da 11,6 a 31,8 milioni di euro. Cifre modeste rispetto ai migliori stadi europei. Ma pur sempre un miglioramento.

E Milano, dunque? Il timore è che i ritardi faranno perdere alla città un’occasione di risanamento urbano. Non solo: se non si costruisce il nuovo stadio, Inter e Milan se ne andranno da un’altra parte. E allora sì che San Siro diventerà una vera cattedrale. Nel deserto.

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