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L’ultima frontiera della crisi Inter: premi per entrare in Champions League

L’ultima frontiera della crisi Inter: premi per entrare in Champions League

La squadra di Inzaghi precipita in classifica mentre corre in Europa. Eppure per il club è vitale un posto nelle prime quattro, altrimenti si riparte da zero (o quasi)

Un premio in denaro per fare il proprio lavoro. Che, nel caso dei giocatori dell’Inter (monte ingaggi 132 milioni di euro lordi) significa riuscire a fare meglio di quanto fatto in questo inizio di 2023 in campionato: 3 punti miseri in 8 partite diversamente divise tra Monza, Salernitana, Fiorentina, Spezia, Empoli, Bologna e Sampdoria. L’ultimo spiffero che esce da Appiano Gentile (informalmenre smentito) assomiglia tanto alla mossa della disperazione da calcio degli anni Ottanta e Novanta, quando il presidente di turno era disposto anche ad allargare i cordoni della borsa pur di evitare la retrocessione e, quindi, evitarsi contestazioni e altri problemi sotto casa. Per non tornare ai ruggenti anni Sessanta e Settanta in cui i padroni entravano negli spogliatoi a fine partita, quando era andata bene, elargendo banconote a tutti e facendo magari qualche altro regalo prezioso al centravanti bomber.

Calcio di un tempo ormai passato. Ora i contratti dei calciatori sono complicate architetture di bonus e incentivi, personali e di squadra, che hanno in gran parte cancellato il concetto del “premio a vincere”. Non che siano costati meno alle società, non a caso sempre più indebitate, ma hanno codificato il sistema premiale che rimane una componente dello sport anche in presenza di stipendi da capogiro per i quali il lavoratore medio potrebbe anche ritenere che il professionista del pallone abbia di fatto già assunto l’onere di disputare stagioni decenti.

Evidentemente non è così. Ma l’idea che i calciatori dell’Inter possano essere stimolati con un premio in denaro per arrivare almeno quarti in classifica, merita una riflessione più approfondita. E’ la conferma di quanto si dice e scrive da due mesi, da quando cioè il campionato nerazzurro ha imboccato la pericolosa china della discesa che ora vede la squadra di Inzaghi fuori dalle prime quattro. Per il club, non accade solo all’Inter, la certezza di partecipare alla prossima Champions League è molto più importante di qualsiasi risultato in questa, vittoria esclusa. E’ un paradosso e forse anche una stortura del nuovo calcio, però è così.

A Zhang non basta il surplus incassato fin qui facendo un cammino inatteso in Champions League. Soldi che serviranno nella migliore delle ipotesi a rendere meno pesante il passivo a bilancio il 30 giugno prossimo e a consentirgli di dover cercare con meno affanni i denari necessari per ripianare. L’Inter viene da due passivi monstre dell’epoca Covid (+245 e 140 milioni di euro) ed è impossibile che sia in equilibrio quest’anno, comunque vada l’avventura europea, anche perché c’è da ammortizzare la partenza a parametro zero di Skriniar, il prescelto per la cessione la scorsa estate, e il mancato introito dello sponsor Digitalbits che si è dileguato.

Per programmare, però, conta quello che si può mettere a budget per il 2023-2024. Anche per rispettare le norme Uefa che impongono una modulazione delle spese di stipendi, procuratori e ammortamenti rispetto ai fatturati. Stare fuori dalla Champions League significa rinunciare alla possibilità di scrivere a budget una cifra non inferiore ai 45 milioni di euro prudenziali ma, nella realtà, che è di circa 60 immaginando un percorso che arriva agli ottavi di finale. Per inciso, quello scritto un anno fa dal management nerazzurro. Dunque, riduzione dei costi, taglio degli stipendi, qualche sacrificio di mercato e nel caso dell’Inter un problema di non poco conto per una proprietà che ha difficoltà a immettere denaro nei conti del club. Va ricordato che negli ultimi anni l’Inter si è avvalsa, non da sola, della possibilità di spostare avanti di cinque anni il ripianamento delle perdite a bilancio: appuntamento al 2027 per chi ci sarà.

Ecco perché Zhang e Marotta pensano al campionato mentre, evidentemente, sono convinti che i calciatori ragionino diversamente e cioè abbiano in testa solo la Champions League. Una cosa che può accadere solo in un mondo a parte come quello del calcio, visto che in qualsiasi azienda è la proprietà a dettare la strategia e i lavoratori, per di più ben pagati, ad adeguarsi.

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