Tra la fine del mese e ottobre riapriranno i principali alberghi delle città d’arte italiane. Il clima è di generale incertezza: mancano i turisti, a cominciare da quelli americani, le prenotazioni sono ai minimi storici, gli aiuti del Governo sono stati quasi inconsistenti, mentre la maggior parte delle richieste degli imprenditori del turismo sono rimaste inascoltate. E con i costi che rischiano di superare i ricavi, già si teme l’inevitabile: di dover tornare a chiudere.
Sono stati i più clamorosi emblemi dei centri storici sconfitti dal coronavirus. Per mesi, mentre le altre attività tentavano la ripartenza, hanno continuato a esibire ingressi sbarrati, finestre sigillate, mesti vuoti diurni, macchie di buio nelle luci della notte. Ma oggi, a intermittenza, quelle luci si stanno riaccendendo: in queste settimane stanno riaprendo i principali grandi alberghi delle città d’arte italiane. Incluse icone dell’ospitalità come il Mandarin Oriental o il Principe di Savoia di Milano, operativi da inizio settembre alla pari del The Westin Excelsior e dell’Eden di Roma, mentre a ottobre sarà il turno del The St. Regis di Firenze. Per tutti, gli stessi mantra: igiene ossessiva, distanziamento nelle aree comuni, attenzione scrupolosa alle esigenze dei clienti.
La strada, però, appare molto in salita e rischia di condurre verso un precipizio: «Nelle prossime settimane arriveremo all’80 per cento delle strutture operative, ma le prenotazioni sono in calo tra il 70 e l’80 per cento rispetto all’anno scorso» fa i conti Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi. Che spiega: «Mancano i turisti americani, siamo a zero. Si lavora con gli europei, che in termini di spesa, volumi e tempi di permanenza risultano di gran lunga inferiori. Si spera nella spinta dei grandi eventi, non per guadagnare, piuttosto per coprire almeno una parte dei costi».
Si mette fuori il naso per sentire che aria tira, con il rischio di ritrovarsi nel mezzo di una guerra tra impoveriti per accaparrarsi gli arrivi con il contagocce: «A luglio, con il 40 per cento degli alberghi in funzione, l’occupazione media è stata del 20 per cento. Mi auguro non scenda al 15, o ancora a meno, ora che l’offerta si sta allargando. La verità è che con i numeri di oggi conviene restare chiusi e non escludo che qualcuno ci ripensi e faccia marcia indietro» ragiona Bocca. Le sue non sono sensazioni soggettive, ma preoccupazioni diffuse e condivise: «La situazione nelle città è la fotografia di un grande disastro. Dopo 43 anni di onorata professione, arrossisco se leggo sui libri le cifre delle prenotazioni. Gli arrivi sono tutti all’ultimo minuto: se prima si bloccava una stanza con un mese d’anticipo, ora lo si fa il giorno stesso, tre ore prima del check-in» osserva Maurizio Saccani, director of operations di Rocco Forte Hotels, che ha appena rimesso in moto i lussuosi hotel de la Ville a Roma e il Savoy di Firenze. La responsabilità di tanta prudenza è solo in piccola parte del virus: «Ogni cinque minuti, c’è un ministro o un presidente di regione che inventa una nuova regola. I nostri politici dovrebbero avere più rispetto dell’economia italiana. Nell’incertezza, il mercato non risponde. Servono poche decisioni, ben motivate e pubblicizzate nei tempi dovuti», tuona Saccani, parecchio arrabbiato con le istituzioni: «Nonostante gli annunci, gli aiuti veri che abbiamo ricevuto sono stati estremamente risicati, per non dire inesistenti. Per non parlare dei ritardi nei versamenti delle casse integrazioni, che sono arrivati verso il 20 agosto, mentre altrove, per esempio in Germania, sono stati puntualissimi già a marzo».
Le proteste del settore le riassume invece Bocca: «Il Governo ha dato un’aspirina a un malato grave. Avevamo chiesto l’azzeramento o la proroga delle tasse, a eccezione dell’Imu le dobbiamo pagare pressoché tutte, anche se si è rimasti chiusi. Volevamo prestiti a fondo perduto o a quindici o vent’anni, ma, contando il preammortamento, bisognerà cominciare a restituire il capitale già dopo 24 mesi, quando saremo ancora mezzi morti. Non si fa altro che parlare delle risorse del recovery fund, però è un continuo buttare la palla in avanti, quando la partita occorre giocarla adesso».
Vista la situazione, qualcuno ha deciso di non scendere in campo, o meglio di lasciare in panchina qualche fuoriclasse: «Dopo un’attenta valutazione, abbiamo preso la difficile decisione di riaprire il JW Marriott Venice Resort & Spa nella primavera del 2021. Questi mesi che ci separano dalla riapertura li impiegheremo per pianificare e preparare esperienze uniche e indimenticabili» commenta Richard Brekelmans, area vice president Southern Europe di Marriott International. Quella di Venezia è un’eccezione, il gruppo americano in Laguna ha fatto ripartire già in estate il The St.Regis Venice, il The Gritti Palace e lo storico Danieli, mentre di qualche giorno fa sono le riaperture del The Westin Palace e dello Sheraton Diana Majestic a Milano: «Nessuno di noi può prevedere quanto tempo ci vorrà per la ripresa, ma siamo pronti a offrire comfort e accoglienza ai nostri ospiti» spiega Brekelmans. «Il Covid-19» aggiunge «ha avuto un impatto significativo sul settore dei viaggi e dell’ospitalità in tutto il mondo, ma rimaniamo fiduciosi nelle nostre aspettative a lungo termine. Con la nuova normalità, la salute e l’igiene sono e continueranno a essere una priorità per i nostri ospiti e come albergatori stiamo facendo tutto il possibile per far vivere loro un’esperienza sicura, ma allo stesso tempo umana».
Nonostante gli slanci di ottimismo, restano le difficoltà diffuse, i malumori e gli affanni degli imprenditori, specie di quelli che non possono contare sulle casse di robuste catene internazionali per coprire le inevitabili perdite. È il caso di Francesco Gatti, presidente di Assohotel Confesercenti Roma. Proprietario di tre strutture di alto livello tra l’area della stazione Termini e il centro della capitale, ha deciso di riaprirne una soltanto. «Ho mantenuto comunque le prenotazioni online delle altre due per sondare il terreno. Ebbene, le richieste sono di poche unità al mese. Non mi stupisco: via Veneto è una tristezza totale, nel tratto tra via Sistina e Trinità dei Monti i pedoni sono una rarità» racconta. La dolce vita non è mai stata tanto desolata: «Senza gli americani e i russi, ha poco senso lavorare. I francesi, i tedeschi, gli italiani che arrivano in città sono acqua che non leva la sete. Se le cose non cambiano, in tanti dovranno tornare a chiudere. Ragionevolmente, prima di marzo del 2021, la ripresa mi sembra un miraggio».
Gatti se la prende soprattutto con l’amministrazione locale: «La tassa di soggiorno e le imposte comunali incidono sulle tariffe fino al 30 per cento. Anziché renderci competitivi con le altre capitali europee per attrarre il poco turismo che rimane, ci vengono inflitte spese più alte rispetto a Barcellona, Londra o Parigi. Dovremo comunque pagare l’imposta sulla spazzatura, anche se da sette mesi non produciamo un grammo di immondizia. Siamo stati obbligati a mettere tanti ragazzi in cassa integrazione, mentre ai dipendenti pubblici non è stato sfiorato lo stipendio».
Per i grandi alberghi si prospettano dunque grosse incognite. È un’evidenza, come il fatto che il Governo non sia stato capace di cogliere il senso, e l’urgenza, delle loro richieste: «Comprendiamo la situazione straordinaria» dice Bocca «ma ci sono settori che perdono il 10 o 20 per cento, altri come il nostro che arrivano all’80 e dovrebbero ricevere di più. Bisogna differenziare gli interventi, invece in Italia vince la logica di accontentare tutti. Però, visto che i fondi non sono illimitati, alla fine ci si divide le briciole. E si resta con la fame di prima».
