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Allarme sharenting, l’autogol dei genitori che pubblicano le foto dei figli

Allarme sharenting, l’autogol dei genitori che pubblicano le foto dei figli

Per molti è una consuetudine condividere contenuti che riguardano i bambini, perché ignorano i rischi e non rispettano i loro diritti

La foto col grembiule prima di andare a scuola, quella sul parquet mentre danza o gioca a basket e poi in casa intento a fare i compiti, sistemare le scarpe e giocare con lo smartphone. Decine di immagini al giorno pubblicate sui social network per dimostrare quanto è bello, bravo e originale il proprio pargolo, senza sapere che in tal modo si mette a repentaglio la sua stessa sicurezza. Il peggiore degli autogol è ciò che fanno quotidianamente migliaia di genitori, assetati di like e perciò contenti di esporre scatti e clip dei figli alla sconosciuta piazza virtuale, ignorando i rischi che si celano dietro un’attività in cui l’orgoglio viaggia di pari passi con le insidie del web. Un modo di fare diventata tendenza nel corso degli anni, che si è presa la ribalta e ha costretto alla riflessione psicologi, garanti e politici sullo sharenting, neologismo coniato dalla fusione tra il verbo to share (che significa condividere) e il termine inglese parenting (che sta per ‘essere genitore’).

Da Facebook a YouTube e TikTok, numeri che fanno paura

L’abitudine a postare fotografie sulle bacheche social, spesso senza filtri e freni, registra numeri spaventosi. Non da oggi, perché già lo studio ‘Figli in vetrina’, pubblicato da Davide Cino e Silvia Demozzi nel 2017, evidenziava come su 216 madri italiane alle prese con Facebook, ben il 68% del campione pubblicava con frequenza foto dei figli sui profili social, mentre uno su tre lo faceva nei gruppi dedicati ai genitori presenti sulla piattaforma e su altri spazi virtuali meno controllati rispetto alla pagina personale. Il fenomeno era ancora più diffuso per i bimbi fino a 3 anni, le cui immagini erano condivise nell’86% dei casi. Secondo un rapporto del Children’s Commissioner for England, un bambino appare in media in 1.300 immagini condivise, prima di aver compiuto 13 anni, sui propri account e su quelli dei genitori e dei parenti. Dinanzi all’enorme crescita di iscritti e dell’utilizzo dei social media dal 2017 a oggi, si può solo immaginare che quei numeri siano attualmente ancora più netti. Perché nel frattempo la tendenza si è allargata ai canali YouTube e a TikTok, la social app nata per i giovani e presa d’assalto anche dagli adulti, spesso a caccia di apprezzamenti con clip incentrate appunto sui propri figli.

I rischi di una condivisione a cuor leggero

Certo l’esempio di influencer seguitissimi che hanno trasformato in personaggi anche i propri bimbi, come scelto deliberatamente da Chiara Ferragni e Fedez, fa sembrare agli occhi di chi ignora le derive social tutto giusto e divertente. Perché privarsi del piacere di ricevere cuoricini e commenti positivi, garantiti dalla condivisione delle foto del piccolo? Che magari può diventare un contenuto virale e regalare momenti di gloria, come capita con i reel che immortalano bambini inconsapevoli, a volte pure spaventati, mentre chi registra attende di ricevere l’agognata sequenza di pollici alzati.

Al di là del rischio ultimo e limitato legato alla pedofilia, perché i pervertiti sono tanti e scandagliano le piattaforme social per trovare e ritoccare immagini dei minori da far circolare in circuiti illegali, più marcata è la possibilità di attirare criminali che grazie ai contenuti condivisi possono risalire a una serie di informazioni utili per avvicinarsi ai bambini (dalla scuola all’abitazione, passando per i giochi e cibi preferiti). Ben più diffusi sono i furti di identità, mentre un aspetto che la stragrande maggioranza dei genitori trascurano è il rispetto della privacy del minore, che a suon di immagini si ritrova al centro della scena per quanto pubblicato da papà o mamma, senza il suo consenso. Per quanto possa apparire sorprendente, ogni essere umano e quindi pure i bimbi hanno diritto all’anonimato, tanto che negli ultimi anni ci sono state anche in Italia diverse diatribe genitore-figlio risolte dai giudici, con la condanna dell’adulto contrario ad eliminare le immagini del figlio pubblicare in precedenza.

In Francia una legge contro lo sharenting

A raccogliere l’allarme lanciato ripetutamente dai garanti degli infanti è stata per prima la Francia, pronta a discutere l’introduzione di una legge sullo sharenting. L’obiettivo del promotore Bruno Studer, deputato del partito Renaissance e insegnante che ha conosciuto da vicino gli effetti del bullismo e delle angherie tra ragazzi innescati anche da contenuti postati online dai genitori, è arginare le derive del fenomeno per trovare soluzioni efficaci per combatterlo, anche se nei casi più gravi la proposta indica di togliere la tutela dell’immagine dei minori ai genitori per affidarla a un terzo. Anche in Italia qualcosa si muove, seppur a rilento, con l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, che ha sollevato la questione rivolgendosi direttamente a Giorgia Meloni.

In attesa di futuri sviluppi, al netto dell’impossibilità di frenare gli istinti e tornare a redigere il diario personale o comporre l’album di famiglia, prima di pubblicare foto e clip i genitori dovrebbero almeno conoscere le policy sulla privacy delle piattaforme che utilizzano, limitare la visione dei contenuti agli amici virtuali e magari impostare le notifiche con Google Alert, per essere avvisati ogni volta che nome e cognome del figlio appare sul motore di ricerca. Non è mai troppo tardi per iniziare a farlo.

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