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Ritratto inedito del nostro DNA

Ritratto inedito del nostro DNA

Uno studio unico nel suo genere ricostruisce l’identikit genetico della popolazione italiana attraverso migliaia di anni. E spiega perché gli abitanti del Nord sono diversi da quelli del Sud. In salute e in malattia.


Si dice che all’indomani dell’unificazione Massimo D’Azeglio avesse pronunciato una frase divenuta celebre: «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani». Sebbene uniti politicamente, non avevamo ancora acquisito un’identità culturale. Oggi sorge spontaneo chiedersi se, almeno da un punto di vista esclusivamente genetico, gli italiani abbiano una loro identità che li distingue da altri popoli. Domanda fondamentale, perché condividere particolari caratteristiche genetiche ha importanti conseguenze, come la predisposizione a certe malattie o la resistenza ad alcuni rischi ambientali.

Negli ultimi anni, le ricerche di antropologia molecolare avevano messo in luce il ruolo delle migrazioni nel forgiare i differenti gruppi europei, ma senza indagare a fondo le implicazioni della straordinaria diversità genetica della popolazione italiana. Adesso, uno studio coordinato da ricercatori dell’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista BMC Biology traccia una storia della nostra identità genetica e ricostruisce le caratteristiche del nostro Dna. Alcuni di questi tratti sarebbero responsabili della suscettibilità a determinate malattie, altri favorirebbero la longevità.

«In generale si può dire che il patrimonio genetico della popolazione italiana sia estremamente ricco, più di quello di tutti gli altri popoli europei» afferma Marco Sazzini, coautore dello studio e professore associato al dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali. «È come se larga parte dello spettro della diversità genetica dei popoli del Vecchio continente fosse presente in una sola popolazione, la nostra». Sazzini e colleghi hanno sequenziato l’intero genoma di 40 individui scelti come rappresentativi della diversità biologica del Bel Paese, e hanno confrontato le loro varianti genetiche (circa 17 milioni) con quelle di altre popolazioni europee e di reperti umani tra 40 mila e 4 mila anni fa.

Sono emerse interessanti scoperte: «Prima di tutto, la notevole variabilità genetica all’interno della nostra popolazione, dovuta al fatto che esistono piccole ma significative differenze nel genoma degli italiani originari del Sud rispetto a quelli del Nord, è frutto di processi avvenuti nella preistoria». A partire da circa 19 mila anni fa, le popolazioni settentrionali e meridionali hanno iniziato a vivere in contesti culturali e ambientali sempre più differenti. In quel periodo eravamo all’apice dell’ultima glaciazione, con il nord ricoperto dai ghiacci e il Centro Sud ricco di foreste. «Con l’aumento delle temperature e il ritiro dei ghiacciai, alcuni gruppi umani che avevano trovato aree in cui sopravvivere nel Centro Italia si spostarono a Nord e quindi si crearono due popolazioni geograficamente divise» dice Sazzini. «Negli italiani del Nord abbiamo osservato caratteristiche genetiche riconducibili a queste migrazioni post-glaciali e affini a quelle di reperti di antiche culture europee e dei cacciatori-raccoglitori dell’Est Europa. Le popolazioni del Sud, al contrario, una decina di migliaia di anni dopo subirono una contaminazione del patrimonio genetico a causa delle migrazioni dei popoli del Medio Oriente e dell’Anatolia. Lo prova l’affinità genetica tra queste ultime e le prime».

L’agricoltura si diffuse circa 10 mila anni fa in Medio Oriente e Anatolia e diversi gruppi umani si spostarono verso occidente. «L’Italia del Sud fu il crocevia di tutte quelle rotte migratorie che non solo vi portarono l’agricoltura, ma riplasmarono il Dna delle popolazioni autoctone, determinandone l’attuale grande variabilità genetica».

Un altro fatto ebbe conseguenze non meno importanti. Le popolazioni del Nord e del Sud Italia sperimentarono nel tempo contesti ambientali molto diversi, con ripercussioni su resistenza e predisposizione alle malattie. Al Nord, le brusche variazioni termiche con periodi di freddo estremo, anche dopo l’ultimo picco glaciale, favoriono una dieta ricca di grassi animali. Così furono selezionate varianti genetiche utili per ridurre i rischi di cibi calorici, in particolare geni che regolano la secrezione di insulina, meno presenti nelle popolazioni del Sud.

Ecco perché oggi i meridionali sono più vulnerabili al diabete e all’obesità dei settentrionali. Di contro, i primi furono meno esposti al freddo e più ai microrganismi, con cui dovettero convivere quando si diffuse l’allevamento di animali domestici. «Questo determinò nel loro Dna una maggiore frequenza di mutazioni sui geni utili alla difesa contro i patogeni, come quelli che codificano per proteine nelle mucose dell’apparato respiratorio e gastro-intestinale» dice Sazzini. «Deduzioni confermate dalla minore incidenza al Sud di alcune patologie, come le nefriti di Berger a carico del rene».

Anche la più intensa produzione di melanina e la minore predisposizione ai tumori della pelle si deve al fatto che chi viveva (e vive) al Sud era sottoposto a forti e prolungate radiazioni solari. La selezione naturale ha agito sui geni che regolano la produzione della melanina, il pigmento che protegge dai danni degli ultravioletti.

Il caso ha voluto che questi processi abbiano avuto un fortunato sotto-prodotto: più varianti genetiche associate alla longevità. Da un punto di vista evolutivo, non vi è un particolare interesse a che un individuo viva a lungo, semmai che si riproduca. Però, spiega Sazzini, gli adattamenti in risposta ai patogeni delle popolazioni meridionali hanno coinvolto anche varianti genetiche associate alla longevità: come i geni che regolano il metabolismo dell’acido arachidonico – un acido grasso polinsaturo che si può assumere con la dieta – e i cosiddetti fattori di trascrizione FoXO, collegati alla durata della vita.

Per riassumere, se è vero che l’identità genetica degli italiani è ben definita, è anche vero che è in un certo senso doppia, con un Nord meno soggetto agli effetti nocivi di una dieta ricca di grassi e calorie e un Sud più resistente a determinati patogeni e più longevo. Se poi la difficoltà a ritrovare una forte identità nazionale sia almeno indirettamente imputabile a questa diversità biologica è un problema complesso, che i metodi statistici della genetica non potranno mai risolvere.

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