I dispositivi ad alta energia sono pronti a rivoluzionare l’industria militare. Aumentando la precisione di tiro e annullando i costi. Un business da miliardi di dollari che fa gola (anche) a Stati Uniti e Cina.
Sciami di droni esplosivi, missili ipersonici, navi «invisibili» robotizzate… Se l’immaginazione è più importante della conoscenza (lo diceva Albert Einstein), è pur vero che in questi tempi tecnologici si sta concretizzando ogni visionaria fantasia dell’industria militare. Che oggi ha raggiunto picchi di fantascienza: sono arrivati i raggi laser.
Sembravano dover rimanere tra le pagine de La guerra dei mondi (H. G. Wells preconizzò raggi che incenerivano l’uomo già nel 1897) o nelle battaglie di Star Wars, invece poche settimane fa nell’oceano Pacifico la nave da guerra americana Uss Portland ha compiuto un’esercitazione sorprendente. Da uno speciale cannone montato a prua è partito un fascio di luce intensissima che ha bucato il cielo concentrando la sua energia nell’acciaio di un aereo senza pilota. Il drone ha preso fuoco, si è avvitato su stesso e in pochi secondi è precipitato in mare.
L’invenzione di questa arma, per quanto avveniristica, risale agli anni Sessanta (mentre le sue basi teoriche furono gettate nel 1917 proprio dal genio immaginativo di Einstein). Negli anni Ottanta il presidente americano Ronald Reagan finanziò un immane sforzo di ricerca convinto di realizzare il suo invincibile «Scudo spaziale», ma i tempi non erano maturi (però funzionò per la sua «Strategia del surclassamento tecnologico» nei confronti dell’Unione sovietica). Oggi lo sono e la potenza del laser «allo stato solido» – una concentrazione di energia proiettata nello spazio e capace di distruggere ciò che incontra – lo dimostra. «Con questa nuova capacità ridefiniamo la guerra in mare» ha commentato senza mezzi termini il comandante della Portland, capitano Karrey Sanders. «Ho lavorato sulle armi a energia diretta per tutta la vita e finalmente faranno la differenza sul campo di battaglia» ha detto Kelly Hammett, che nei laboratori di ricerca dell’Air force americana guida la sezione per le armi a energia diretta. E che Hammett abbia ragione si capisce dall’andamento del mercato dei laser «da guerra» passati da 922 milioni di dollari nel 2017 a 2,2 miliardi nel 2020, ai 4 miliardi previsti entro il 2030 (dati BIS Research).
«È un settore che dieci anni fa avremmo definito d’avanguardia, ma che oggi è realtà» conferma Gabriele Jacovino, direttore del Cesi, Centro studi internazionali. «Esistono però limiti al suo dispiegamento. Ha ancora una potenza limitata e sulla distanza l’energia si disperde» precisa. «Un raggio laser può solo abbattere un drone, sciami di droni o un missile di modeste dimensioni, non di più. Il problema non è tanto la tecnologia, quanto l’energia necessaria. Si può ipotizzare che per abbattere un drone a circa un chilometro servano 150 kilowatt, ma di fronte ad armature più spesse si debba disporre di una potenza superiore, forse dai 300 kilowatt in su, non sviluppabile da un semplice generatore. È una tecnologia pensata più per la difesa che per l’attacco ma credo che il giorno in cui si supererà questo problema si potrà parlare anche di scopi offensivi». E quel giorno potrebbe non essere lontano. Ci sono prototipi, come l’Indirect fires protection capability-high energy laser (IFPC-HEL) della Dynetics, che dovrebbero raggiungere quella portata entro il 2022.
Insomma si corre, anche perché i vantaggi del laser rispetto a un missile sono intuibili. Viaggia alla velocità della luce e colpisce con precisione millimetrica senza subire gli effetti del vento, per esempio, come invece accade con un proiettile. Ma soprattutto è infinitamente più economico. «Per abbattere un missile serve un altro missile, ovvero un costo molto alto contro i pochi dollari di una scarica di energia» spiega ancora Jacovino.
Per questo oltre alle navi si sta iniziando a provare su altri mezzi, di terra e di aria. Sempre parlando di Stati Uniti, si monta su blindati soprattutto per difendere le truppe da attacchi di droni ed entro il 2023 arriveranno – promettono nonostante gli scettici – laser difensivi sui jet e sugli aerei AC-130, la cannoniera volante detta «Angelo della morte».
Ma altri attori occupano questo nuovo scenario. L’esercitazione della Portland è stata fatta adesso non a caso, e non a caso il video è in bella vista sul sito del Comando della marina statunitense in quelle acque, www.cpf.navy.mil, anziché in una cartella Top secret.
«Il laser è sviluppato soprattutto per i piani strategici di Stati Uniti e Cina, tra i quali è in atto un ampio confronto navale in alcuni quadranti geopolitici e in particolare nel Mar cinese meridionale» continua Jacovino. Insomma si mostrano muscoli fotonici in un momento in cui Pechino estende la sua ombra dall’Africa al Pacifico. Sono numerosi gli «incidenti» causati da strumenti di proiezione di onde ed energia cinesi – come «microonde», fasci di particelle, armi a impulso elettromagnetico – per colpire mezzi statunitensi e non solo. Come nel 2018, quando si è parlato di piloti americani feriti agli occhi a causa di raggi partiti dalla base cinese mentre atterravano a Gibuti. O come il 17 febbraio di quest’anno, quando un aereo P-8 Poseidon in pattugliamento sopra acque internazionali nel Mar delle Filippine sarebbe stato bersagliato con un laser di livello militare da una nave da guerra del Dragone che lo ha costretto a rientrare. In marzo sul profilo Instagram della U.S. Navy è apparso un messaggio minaccioso: «Non dovreste giocare ai laser con noi». Due mesi dopo è arrivata la dimostrazione di forza americana con l’abbattimento del drone.
Lato Pechino, come da tradizione, trapela poco. Si è parlato di navi, aerei, satelliti e fucili d’assalto laser tipo Ak-47 in dotazione dell’esercito. Quanto siano sofisticate e credibili queste armi non è dato sapere. La tecnologia avanza insieme a propaganda e fake news. Ma che ci sia una corsa mondiale e non solo a stelle e strisce è più che evidente. A partire dalla Russia, che avrebbe sviluppato una potente arma laser – il «Peresvet», dal nome di un monaco guerriero russo del XVI secolo – già sperimentata nell’abbattere in Siria un drone israeliano. Tel Aviv ha smentito vigorosamente, mentre a sua volta sviluppa con determinazione questa tecnologia (pare che abbiano raggiunto i due chilometri di letalità) tanto che in gennaio è stata annunciata la creazione di un sistema laser che andrebbe a rafforzare «l’ombrello» Iron dome contro droni, piccoli missili e palloni incendiari lanciati contro Israele.
Nel resto del mondo: il governo australiano ha deciso di investire pesantemente in nuove armi, comprese quelle a energia diretta, la Corea del Sud sarebbe a un passo dal svilupparne di sue e l’India fa altrettanto. Anche nel nostro continente qualcuno si muove veloce. La Germania sta costruendo un nuovo sistema laser ad alta energia per la classe di corvette K130 Braunschweig, e in Inghilterra (che ha messo a budget 130 milioni di sterline per questo genere di armi) arriverà il Dragonfire, un laser che – trapela – potrebbe essere assai più accurato e preciso di quello americano. Per entrambi, dietro c’è Mbda, azienda partecipata dall’italiana Leonardo (grazie a una joint venture costituita da Airbus, BAE Systems e appunto Leonardo al 25 per cento) e che in Italia ha sedi a La Spezia, Roma e Fusaro (Napoli).
«Riteniamo la tecnologia laser complementare ai sistemi di difesa missilistici “classici” e ne inquadriamo l’impiego in risposta all’evoluzione della “minaccia asimmetrica” quale può essere l’attacco di uno sciame di droni» dicono a Panorama da Mbda, per poi precisare: «La complessità tecnologica di tale sistema risiede nella corretta emissione della radiazione laser che deve garantire sul bersaglio un’adeguata “densità di energia” che si attenua con il crescere della distanza ed è limitata dal meteo non ottimale». Condizioni queste che nello spazio, in mancanza di atmosfera, non si pongono, e infatti non sono mancate dichiarazioni di Paesi (come la Francia) che promettono di armare i loro satelliti con laser pronti ad abbattere satelliti nemici.
Quando gli oppositori di Ronald Reagan derisero il presidente per lo Scudo spaziale, accusandolo di incaponirsi con una costosissima tecnologia da fantascienza, ci fu una risposta passata ai posteri: «La fantascienza di ieri è l’ingegneria di domani». Ecco, il domani è qui.
