“Ebreo devi bruciare nei forni”, e giù pugni, calci e sputi.
Vittima un dodicenne della provincia di Livorno, la cui unica colpa, in quel parchetto, è stata la fede ebraica, evidentemente nota alle due ‘bulle’ (eufemismo per non scadere nel trivio) che l’hanno aggredito.
Una sola parola mi sovviene – rimbalzando tra una sponda e l’altra di un cervello fumante di rabbia – da quando ho letto la notizia.
Non è un sostantivo, ma un avverbio: chissà.
Chissà se queste ragazzine depensanti sappiano cosa sia il Giorno della Memoria, celebrato in tutto il mondo il 27 gennaio a presidio del ricordo di una delle più grandi tragedie dell’umanità, l’Olocausto.
Chissà se conoscano Anna Frank, la ragazzina olandese emblema dell’orrore di un mondo impazzito che, ad un certo punto della storia, ha consapevolmente scelto il genocidio degli ebrei, sterminandone oltre sei milioni.
Chissà se abbiano mai sentito (non pretendo che li abbiano anche letti, perché temo che oltre qualche fumetto idiota non siano andate) i nomi di Primo Levi, Liliana Segre, Elie Wiesel, Imre Kertész, Edith Bruck, Sami Modiano, Beni Virtzberg e tutti coloro che, sopravvissuti alle deportazioni e ai campi di sterminio, ne hanno fatto testimonianza sempiterna attraverso la loro penna grondante di dolore.
Chissà se conoscano i Giusti, coloro che, nella tragedia, misero le loro stesse vite in pericolo, perdendole in gran numero, per salvare dalla morte quanti più ebrei innocenti riuscirono; se – per esempio – abbiano anche solo sentito, a casa, a scuola o a catechismo, il racconto di padre Massimiliano Maria Kolbe che si offrì di morire al posto di un padre di famiglia destinato al bunker della fame, ad Aushwitz.
Chissà se i loro genitori – ma dubito – abbiamo mai avuto l’interesse di vedere – assieme a queste figlie perdute – il film di Spielberg, Shindler’s List, o quello di Benigni, La vita è bella, vivendo il travolgente caleidoscopio di emozioni che questi capolavori Premi Oscar hanno generato.
Chissà.
Le risposte sono ovviamente desolanti.
Ma desolante è l’essere umano che non impara mai dai propri errori e continua a ricaderci.
“Fare errori è naturale, andarsene senza averli compresi vanifica il senso di una vita”: così scrisse Susanna Tamaro, cogliendo a mio avviso l’essenza stessa del genere umano, incapace di apprendere e correggersi.
Le nuove generazioni, allontanatesi sideralmente dagli eventi del “secolo breve” – così definito dallo storico britannico Eric Hobsbawm – quello delle due guerre mondiali, hanno fatalmente perduto i ricordi, le testimonianze, i moniti di chi ha vissuto questi orrori, anche solo marginalmente o de relato.
Ormai i millenials conchiudono le loro vite negli asettici mondi virtuali dei TikTok e Instagram o videogiochi alienanti, perdendo ogni occasione per leggere un buon libro o vedere un film che insegni loro qualcosa.
Studi statistici hanno attestato come le nuove generazioni (Y, Z, T-generations, come si usa dire) hanno perduto il gusto di leggere ed apprendere, traslandolo sulle piattaforme digitali da cui si fanno rapire.
Quindi, quando le due bulle livornesi hanno berciato “brucia nei forni”, io credo che non abbiano avuto la più pallida idea di cosa fossero i forni crematori di Auschwitz o Birkenau, che non ne abbiano mai nemmeno visto uno.
La condanna che meriterebbero è essere legate ad una comoda poltrona e assistere ad un documentario sul tema, con le stecche alle palpebre per non chiudere gli occhi davanti alla notte dell’umanità, come nel film di Kubrik “Arancia Meccanica”.
Auspico che il Giudice minorile che le giudicherà applichi la più fervida fantasia nel comminare la pena, attingendo – perché no? – al suggerimento che ho appena azzardato.
Info: Missagliadevellis.com