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Rifiuto genitoriale, l’emergenza italiana di migliaia di figli cancellano mamma o papà

Rifiuto genitoriale, l’emergenza italiana di migliaia di figli cancellano mamma o papà

Succede che non soltanto ci si separi, ma che una mamma manipoli il bambino fino a convincerlo ad allontanare da sé il papà, o che un padre lo rivolti contro la madre fino a non volerla più vedere. Un dramma sociale consumato in silenzio ma sempre più diffuso. Su cui finalmente un libro fa luce

Il rifiuto genitoriale – ovvero i figli che non vogliono più vedere il papà o la mamma – è diventato un’emergenza nazionale. Da fenomeno osteggiato e criticato, per parte della società addirittura inesistente, oggi è sempre più presente nelle separazioni conflittuali. “Orfani” per scelta di un genitore in vita. Padri e ora anche madri che non vedono i figli per anni, che vengono bloccati sui telefonini, allontanati, insultati. Figli che soffrono, sviluppano ansia e depressione, bassa autostima, difficoltà a scuola, problemi relazionali, dipendenze, narcisismo. Patologie psichiatriche che insorgono anche a distanza di tempo.

Quello che colpisce è la totale mancanza di empatia. Storie tutte uguali, esistenze normali, poi la separazione. Uno dei genitori in modo subdolo, manipolatorio, si appropria della mente dei ragazzi, li colpevolizza, arriva a far loro scordare i ricordi felici di una vita insieme a favore di una narrazione fondata sulla rabbia e sull’odio. «Il papà non ti ha mai voluto bene», «La mamma se n’è andata e ti ha lasciato», sono le frasi ricorrenti.

Appesi a una corda tirata da entrambe le parti, i bambini ondeggiano su un baratro tra sensi di colpa sapientemente instillati e la paura di perdere l’affetto del genitore. Famiglie spezzate, un dolore dilaniante come quello di un lutto.

Tutto questo è raccontato in un libro, Rifiuto genitoriale, nato dalla sinergia, dal confronto e dalla condivisione di esperienze diverse: giudici, avvocati, neuropsichiatri, assistenti sociali, educatori. Un riferimento importante per approcciare, anche in termini pratici, un fenomeno ancora poco conosciuto (il 18 settembre se ne discute in un convegno in Senato).

Se solo dieci anni fa i genitori rifiutati erano perlopiù i papà, ora più di un terzo dei casi riguarda le madri. Racconta Patrizia, 48 anni, di Treviso: «Non vedo mia figlia quindicenne da oltre un anno. Né io, né la mia famiglia. Mi sono separata nel 2016, all’inizio eravamo entrambi presenti e collaborativi. Poi lui ha incontrato un’altra donna e i rapporti sono cambiati. Mi sono ritrovata con una richiesta di divorzio giudiziale. Mentre mia figlia era diventata aggressiva, litigavamo, mi insultava. Non era mai stata così, pensavo fosse l’adolescenza. Un giorno, disperata, le ho aperto il cellulare. C’erano diversi messaggi del padre: denigratori, colpevolizzanti, ero diventata una nemica. Non voleva più venire in vacanza con me, quando era a casa si chiudeva in camera per non mangiare insieme. Poi ha preteso di parlare al giudice, ha detto che voleva stare con il padre. Non c’era alcun motivo serio, solo cose futili. Dopo poco mi ha bloccato sul telefonino. Le ho comprato come sempre i quaderni per la scuola, ma non potrò darglieli. Il dolore mi consuma. E tutto questo per ottenere un mantenimento, per due soldi».

Drammi intimi e spietati, insospettabili fintanto che la coppia entra nel campo minato della separazione, tra reazioni impulsive e tentativi di controllo, come racconta il film L’isola di Andrea del grande Antonio Capuano, appena presentato a Venezia (e al cinema dal 2 ottobre), storia del disfacimento di una famiglia  e della dolorosa battaglia giudiziale per il figlio.

Giovanni Lopez, psicologo e psicoterapeuta, osserva: «In Italia, secondo l’Istat, nell’ultimo anno 82 mila coppie si sono separate, con un’elevata possibilità che all’interno ci siano figli minori. Stimiamo siano circa 90 mila. Non ci sono numeri certi, ma facendo un confronto con i dati americani, secondo cui il 20 per cento dei figli di separati è a rischio di rifiuto genitoriale, da noi si parlerebbe approssimativamente di 15 mila ragazzi. Sono stime a spanne, ma non c’è dubbio che siamo davanti a un problema di salute pubblica».

La conferma viene anche da Giuseppe Gennari, giudice presso la IX sezione civile del Tribunale di Milano e coautore della pubblicazione: «È un fenomeno in crescita spaventosa e ormai è parimenti distribuito tra padri e madri. I fascicoli più complessi sul mio tavolo sono tutti di alienazione parentale. È trasversale, ma non si interseca con la violenza di genere. Nella grande maggioranza delle ipotesi reali di violenza il minore non rifiuta mai il genitore, mentre in questi casi lo rifiuta in maniera totale e senza un motivo. Tuttavia» continua Gennari «resta un tema troppo spesso investito da questioni ideologiche che tendono a oscurarlo. C’è una parte della società che lo legge come il tentativo dei maltrattanti di delegittimare chi subisce violenza. Invece non è niente di tutto ciò, anche perché ormai vengono colpiti entrambi i genitori».

Il primo a coniare il termine “sindrome da alienazione genitoriale” fu lo psichiatra forense statunitense Richard Gardner negli anni Ottanta. Il neuropsichiatra infantile Giovanni Battista Camerini spiega: «Ci sono due termini in ambito internazionale che vengono usati per distinguere il rifiuto: estrangement per quello giustificato e alienation, per l’immotivato. La comunità scientifica studia da anni questa problematica. Purtroppo l’equivoco è che venne definito come una sindrome, e fu un errore.  Bisogna parlare di fenomeno. Così come esiste lo stalking, ma non una sindrome da stalking, così c’è il fenomeno dell’alienazione».

Ci sono importanti campanelli d’allarme e non si tratta di qualche battuta al vetriolo e battaglie in cucina – come nel film I Roses (ora al cinema), remake del celebre La guerra dei Roses – qui siamo davanti a false accuse, espressioni fortemente denigratorie e, cosa più inquietante, la pianificazione di una realtà fittizia. 

«Quante volte ho sentito dire: “Vorrei che mio padre, o madre, morisse”», continua il luminare. «Il fenomeno va riconosciuto tempestivamente e senza ideologia. Bisogna usare metodi di riavvicinamento guidato e i provvedimenti sanzionatori, come fanno in Francia, ossia la multa giornaliera di 200 euro per chi non accompagna i figli dall’altro genitore. La Riforma Cartabia all’art. 473 bis. 6 del codice di procedura civile lo rende possibile, eppure da noi vengono applicati raramente».

Racconta un padre: «Stavamo insieme da 15 anni con due figli adolescenti. Nel 2018 è scoppiata la crisi ed è iniziato un calvario. La mia ex raccontava che il papà non gli voleva più bene, non pensava al loro mantenimento, li aveva abbandonati. Tutto falso. Ho provato a mediare e ho sbagliato. Ho perso tempo e la situazione si è incancrenita. I ragazzi ormai hanno paura di me, sembrano come intossicati dalla rabbia. Sono due anni che non facciamo una cena insieme. Il più piccolo ha iniziato a stare male: ha le vertigini, non riesce a fare sport. Voglio stargli vicino, ma non mi è permesso».

Agire tempestivamente è molto importante, ma il magistrato è pessimista: «Oggi se chiedo ai servizi sociali una prima indagine psicosociale, me la restituiscono dopo quattro, sei mesi».

Tatiana Amato, educatore professionale, pedagogista, psicologa clinica è la coordinatrice della pubblicazione Rifiuto genitoriale: «Ci sono gruppi di incontro dove si raccontano dinamiche sempre uguali: i figli, di solito tra gli 8 e i 13 anni, in cui i maschi condizionati sono più numerosi delle femmine, rifiutano anche i nonni, scrivono messaggi insultanti, adducono motivazioni inesistenti per il loro allontanamento. Ho incontrato genitori distrutti, che non li vedono da 15 anni, le donne soprattutto si vergognano, si sentono giudicate, non capite».

Il tempo è la chiave per battere l’alienazione. Gardner sosteneva che bastava allontanare il figlio dal genitore condizionante per tre settimane per ripristinare il rapporto. Ma forse le variabili sono troppe: l’età del bambino, la gravità dei danni inferti da chi lo manipola…

Che poi, i motivi scatenanti sono spesso comuni: la voglia di rivalsa, la vendetta che pur di colpire l’ex trafigge i figli, spesso c’è dietro una squallida questione di soldi.

Continua il professor Camerini, docente di psichiatria forense in diversi Master: «Davanti all’aumento delle richieste il sistema si blocca e non si riescono a individuare soluzioni efficaci. In America si utilizza il programma “Family Bridges”, i riavvicinamenti guidati al genitore rifiutato, ma da noi non è ripetibile. Ci vuole una preparazione specifica, che non abbiamo. Si mettono in campo interventi spesso inutili, come la psicoterapia o i famigerati incontri protetti, che sono la camera ardente del rapporto genitori e figli». Che vivono un profondo conflitto di lealtà, una sorta di Sindrome di Stoccolma.

Racconta Grazia, 48 anni, pugliese, due figlie di 15 e 20 anni: «Le ho cresciute io, ma dopo che il matrimonio è finito, lui se l’è portate via. Sono passata attraverso i servizi sociali, assolutamente inesistenti, giudici, avvocati. Alla fine sono stata abbandonata da chi poteva aiutarmi e non lo ha fatto. Le ragazze sono rabbiose, maleducate, cattive. Io le vivo a distanza ormai da otto anni. Quest’estate ho cercato in spiaggia di avvicinarmi alla grande, ma davanti a tutti mi ha detto “Vattene”, come fossi un’estranea. Nessuno può capire il dolore che prova una madre cancellata dalla vita dei figli».

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