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Vaccini: indietro tutta

Vaccini: indietro tutta

La «più grande campagna di immunizzazione della storia» non è partita col piede giusto: ritardi nei test e nelle approvazioni, gestione sul territorio approssimativa, dosi inadeguate alle necessità, personale insufficiente a somministrarle. E il dubbio che, alla fine, non si raggiunga la protezione di massa per battere il virus.

  • I limiti della «più grande campagna di immunizzazione della storia»
  • Speranza, il ministro insufficiente


Per arrivare all’immunità di gregge entro il 2021 con almeno il 70% della popolazione vaccinata bisognerebbe somministrare ogni giorno, e tutto l’anno, almeno 151.098 dosi (altre stime parlano di 225.000). Dal V-day del 27 dicembre alla mattina del 7 gennaio sono state iniettati 321.077 vaccini anti-Covid. Se calcoliamo solo la prima settimana 2021, la media giornaliera è poco più di 45.000 dosi. L’annuncio del super commissario Domenico Arcuri di 21,5 milioni di italiani vaccinati entro fine maggio (143.000 al giorno) sembra una chimera. Per non parlare della lotteria dei vaccini non ancora approvati e delle consegne a singhiozzo dei primi due (Pfizer e Moderna). La «più grande campagna vaccinale della storia», come l’ha battezzata il governo, rischia la più totale incertezza.

«Appena partiti siamo già indietro. C’è un grosso punto di domanda su quando arriverà effettivamente il grosso delle dosi. E di fatto manca la road map, un piano preciso della vaccinazione di massa» spiega una fonte militare di Panorama coinvolta nell’operazione Eos per l’immunità di gregge. La spada di Damocle sono i ritardi nelle autorizzazioni e sperimentazioni di alcuni vaccini, che costituiscono l’ossatura delle forniture italiane con 134 milioni di dosi su un totale di 202. La Difesa, anche se non lo ammette ufficialmente, è preoccupata per la gestione della madre di tutte le battaglie contro il virus, e Arcuri ha annunciato: «Se immunizzeremo meno di 65.000 persone al giorno sarà un fallimento».

Il piano italiano di vaccinazione è «un aereo fatto di cartone che non riesce a decollare» denuncia Antonio De Palma, presidente del Sindacato nazionale infermieri Nursing Up. All’esordio le Regioni sono partite al rallentatore e in ordine sparso. Alla scadenza della prima settimana il Veneto era oltre l’86% di somministrazioni rispetto alle dosi consegnate, la Toscana quasi all’80, la Lombardia al palo con il 21,5 e fanalino di coda la Sardegna con il 18,5.

Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, aveva dichiarato: «Griderò allo scandalo se il 6 gennaio le 469.950 dosi della prima settimana non saranno state usate tutte». Alla mattina del 7 gennaio le dosi utilizzate erano appunto 321.077, ben 148.873 in meno. E stava arrivando il secondo lotto settimanale di 470.000 vaccini della Pfizer-BioNtech. In realtà ne sono state consegnate meno della metà. Nonostante le assicurazioni della società, il timore è che Pfizer stia dirottando forniture su Stati extra europei che pagano di più.

La partenza al rallentatore dei primi giorni è migliorata un po’: siamo ora quasi a pari merito con la Germania che è prima in Europa. Ma resta l’incertezza sui ritardi nei test e nelle autorizzazioni dei vaccini ordinati dalla Commissione europea per l’Italia. Secondo il «piano strategico» del governo del 12 dicembre, AstraZeneca dovrebbe consegnare da gennaio, nei primi sei mesi, 40,38 milioni di dosi. Il vaccino, però, è ancora in fase di approvazione da parte dell’Ema. Si spera nel via libera a fine mese.

Piero Di Lorenzo, a.d. della società Irbm di Pomezia, che partecipa al progetto, assicura: «Per ora il ritardo nell’autorizzazione non inficia la produzione di tre miliardi di dosi annunciate da AstraZeneca per il 2021». E aggiunge: «Ho promesso al ministro della Sanità che siamo disponibili a produrre a Pomezia, nonostante il nostro sia un centro di ricerca, 10 milioni di dosi in più».

Il problema è che anche gli altri sono non stanno rispettando i tempi: Johnson & Johnson, che dovrebbe fornire 53,8 milioni di fiale, ha concluso i test clinici di fase tre solo il 2 gennaio e ora seguirà l’iter dell’approvazione. La Sanofi ha già annunciato lo slittamento del vaccino (40,38 milioni per l’Italia) al 2022. E non si hanno notizie certe di quello Curevac (30,28 milioni di dosi), che doveva arrivare nel primo trimestre. Nella lotteria dei vaccini l’approvazione ottenuta da Moderna il 6 gennaio servirà a poco. Per il primo trimestre le forniture previste sono 1.3 milioni di dosi rispetto ai 16,1 milioni di AstraZeneca, che il 7 gennaio non aveva ancora la luce verde.

L’Ue ha prenotato oltre un miliardo di dosi da sei aziende, ma al via del piano vaccinale poteva contare solo su 300 milioni di fiale Pfizer. Ugur Sahin, a capo della consociata BioNTech, ha lanciato l’allarme: «Si è creato un gap perché non sono stati approvati altri prodotti e noi dobbiamo coprire il buco». Bruxelles è corsa ai ripari con nuovi ordini, ma nonostante l’impegno dei 27 Paesi Ue a non acquistare vaccini in maniera autonoma, la Germania ha comprato 30 milioni di dosi dalla Pfizer al di fuori delle quote assegnate dalla Commissione europea.

«La scienza ha prodotto un miracolo che nessuno poteva immaginare: un vaccino sicuro ed efficace in 11 mesi. Non si può neppure immaginare che questo sforzo venga vanificato da errori organizzativi. Aspettiamo ancora a giudicare, ma nessun ritardo può essere tollerato, ogni giorno che passa significa gente che muore» dice il virologo Roberto Burioni.

Nella prima fase partita a gennaio devono essere immunizzati operatori sanitari, personale e ospiti delle Rsa. Arcuri ha spiegato che «a febbraio partiremo con chi ha più di 80 anni, oltre 4 milioni. Poi saranno vaccinati gli anziani dai 60 agli 80 (13.423.005, ndr), forze dell’ordine, insegnanti e personale scolastico». Entro fine marzo 5,9 milioni di italiani dovrebbero essere immunizzati salendo a 13,7 a fine aprile. Quando ci saranno 120 milioni di dosi «sarà avviata la campagna di massa» dice Arcuri «che speriamo di concludere in autunno». Speranza remota se andiamo avanti così.

All’inizio di gennaio Israele aveva già vaccinato 1.244.000 persone e in percentuale alla popolazione siamo stati surclassati pure da Bahrein, Emirati arabi e Islanda. Per ora i punti di somministrazione sono 300 rispetto ai 1.500, uno ogni 40.000 abitanti, che serviranno a pieno regime, e Arcuri già scarica le responsabilità sulle Regioni. Il governatore della Liguria Giovanni Toti non ci sta e denuncia i «pasticci sulle siringhe. Ci hanno mandato quelle sbagliate e stiamo usando le nostre. Non si sa quanto personale hanno arruolato e il sistema informatico per il censimento dei vaccinati lo stanno studiando ora». Altre siringhe sbagliate sono state inviate in Lombardia e nelle Marche.

Per le fasi due e tre della vaccinazione di massa il vicepresidente del Friuli-Venezia Giulia con delega alla Salute, Riccardo Riccardi, sottolinea le incognite: «La domanda è quanti accetteranno di farlo e quante dosi saranno realmente a disposizione. E come verrà convocata la popolazione. Per non parlare del personale addetto alla somministrazione. Per ora usiamo il nostro distraendolo dagli ospedali, il vero fronte contro il virus».

Un concorso per 15.000 medici, infermieri e specializzandi, da impiegare nella campagna vaccinale, è stato bandito due settimane prima del V-day. Hanno risposto in 22 mila e Arcuri garantisce che i primi 1.500 assunti con contratto precario saranno operativi il 20 gennaio.

«Arcuri ha tagliato fuori la Protezione civile, fatta apposta per emergenze come la pandemia» dice un militare impegnato nel piano Eos della Difesa in appoggio alla campagna di vaccinazione. Il super commissario è riuscito a relegare in un angolo Angelo Borrelli, capo della Protezione civile dal 2017, che all’inizio della pandemia dava in tv le cifre quotidiane dei decessi. «Faceva ombra ad Arcuri ed è stato messo da parte, ma la Protezione civile dovrà essere coinvolta nella vaccinazione di massa, a partire dal livello logistico in collaborazione con l’esercito» sottolinea la fonte di Panorama.

La Difesa ha scelto come hub nazionale, per la distribuzione di vaccini, la base aerea di Pratica di mare. «È un grande spot: gli aerei della Dhl con le dosi sono atterrati a Roma-Ciampino e distribuiti via terra dai furgoni della Pfizer che garantiscono la catena del freddo» fa notare la fonte militare. Il grosso delle forniture iniziali arriva via terra dallo stabilimento Pfizer in Belgio. «Oltre al fatto che non ci occupiamo del mantenimento dei vaccini ultrafreddi, facendoli passare tutti per Roma, si allunga la catena logistica».

Non a caso il 27 dicembre, il V-day, è stata organizzata una dispendiosa sceneggiata mediatica. Il giorno prima era arrivato il primo furgone Pfizer dal Brennero, scortato fino a Roma. Lo smistamento di poche scatole con le dosi (sei per volo, 7.200 fiale in totale) è stato organizzato con ben cinque aerei (due C-27J dell’Aeronautica, due Dornier Do. 228 dell’Esercito e un P-180 della Marina). Il C-27J può trasportare 11 tonnellate e mezza di materiale e costa 11.000 euro l’ora. Per gli altri velivoli più piccoli, da parte della marina e dell’esercito, la spesa si aggira sui 5.000 euro all’ora. Se calcoliamo personale e manutenzione, lo spot è costato mezzo milione di euro. Peccato che subito dopo abbiamo dovuto fare i conti con la realtà delle somministrazioni a rilento e delle mancate consegne dei vaccini ancora non autorizzati.

Paradossalmente, il fatto che i vaccini siano più di uno non aiuta. Alla maggior parte delle persone non è ben chiaro le differenze fra l’uno e l’altro (chi usa come vettore l’Rna, chi l’adenovirus), se sono sicuri ed efficaci in ugual misura (più o meno sì), se per tutti bisognerà fare il richiamo oppure no. E quanto dura l’immunità (questo non lo sanno di preciso neppure gli scienziati).

Il dato più incerto è quanti italiani accetteranno di iniettarsi la dose per l’immunità. Glli ultimi sondaggi indicano che fra il 25 e il 35% della popolazione non si fida ancora. Swg rivela come il 34% sia contrario a immunizzarsi, anche se il 21% alla fine lo farebbe se fosse obbligatorio. In Friuli-Venezia Giulia, sulle 56.000 persone previste nella fase iniziale della vaccinazione, 15.000 non hanno aderito nella prima settimana.

La concentrazione dei no-vax è maggiore fra i giovani e fra gli elettori grillini. «Negli spogliatoi scoppiano baruffe fra infermieri su chi si vaccina e chi lo considera insicuro» racconta un medico di un grande ospedale del Nord-Est. Situazione preoccupante, che non sembra tener conto del pericolo di una terza ondata considerata ormai certa da virologi come Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano. Se, o meglio quando arriverà, sarà un ulteriore ostacolo alla vaccinazione di massa.

Speranza, il ministro insufficiente

Vaccini: indietro tutta
Il ministro della Salute Roberto Speranza (GettyImages).

Stimato dai colleghi di governo e apprezzato dagli italiani a tal punto da raggiungere un gradimento secondo solo all’onnipresente Giuseppe Conte. Fino a pochi mesi era uno degli intoccabili: nessuno aveva mai messo in dubbio la posizione di Roberto Speranza a capo del ministero della Salute, forte proprio del pieno appoggio fornito dal presidente del Consiglio, con cui il rapporto si è trasformato in un patto indissolubile. Che ha reso il ministro ancora più saldo sulla sua poltrona…

La seconda ondata del Covid-19 ha però aperto crepe, sempre più larghe. L’azione di Speranza è finita sotto accusa. Basti pensare al principale fallimento, condiviso con la collega Paola Pisano: l’app Immuni, sparita dai radar, con buona pace degli oltre 10 milioni di download. Così, tra la campagna dei vaccini che stenta a decollare, fondi rimasti al palo, professionisti lasciati in bilico e commesse di mascherine criticate, non sono più soltanto le opposizioni a manifestare dissenso. Dubbi e perplessità arrivano dalla maggioranza, in un fragore di fuoco amico.

A invocare le dimissioni di Speranza ci ha pensato un deputato della maggioranza, esattamente del Movimento 5 Stelle, Francesco Sapia, con tanto di atto ufficiale. In un’interrogazione il pentastellato ha chiesto a Conte «se non ritenga opportuno invitare il ministro Speranza a rassegnare le dimissioni dall’incarico».

Un atto di sfiducia capitale: «Speranza» spiega Sapia interpellato da Panorama, «non può accampare scuse. Deve dimettersi per la responsabilità politica, che condivide con il predecessore, Giulia Grillo, rispetto al mancato aggiornamento del piano pandemico, che per inciso non è stato ancora rivisto. Deve dimettersi perché è rimasto zitto». E aggiunge: «Anche il presidente Conte ha scelto la via del silenzio, come nulla fosse».

La spada di Damocle sulla testa di Speranza è quindi il piano pandemico, mai aggiornato dal 2006 a oggi. Come emerso nelle settimane scorse, ci sarebbe stato addirittura un documento critico dell’Oms nei confronti dell’Italia (si parla di una risposta alla pandemia «improvvisata, caotica e creativa») pubblicato il 13 maggio scorso e rimosso neppure 24 ore dopo, per via di presunte pressioni di Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms e membro del Comitato tecnico scientifico italiano, nei confronti dei ricercatori. Almeno questo è quanto racconta uno di loro, Francesco Zambon: «Si è innescato un incendio in varie istituzioni di Roma» ha raccontato a Report.

A essere rimasto «molto infastidito» sarebbe stato anche Speranza, secondo quanto scrive il direttore dell’Oms Europa Hans Kluge in una mail. Uno scenario inedito che ha alimentato vari malumori. Sulla falsariga di Sapia, più di 40 senatori dei Cinque stelle, con un’interrogazione a prima firma di Elio Lannutti, hanno chiesto spiegazioni a Speranza sulla riconferma del segretario generale del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco.

I grillini, alleati del ministro, vogliono sapere se Ruocco ha provveduto all’aggiornamento «di un piano pandemico, come avrebbe dovuto fare stante il suo incarico di direttore generale della prevenzione fino al 2014, e in che modalità abbia svolto e stia svolgendo l’attività di controllo sull’operato dei direttori generali». E hanno poi chiesto al ministro se «abbia intenzione di prendere provvedimenti (e quali) nel caso in cui si rivelassero vere una o tutte le accuse rivoltegli».

Un fuoco amico sempre più ardente. Per rendere meglio l’idea: in estate, la deputata del Pd Debora Serracchiani ha chiesto lumi sulla gestione del personale dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, che opera sotto la direzione del dicastero. In quell’occasione circa 100 lavoratori precari avevano ricevuto «una nota in cui il ministero della Salute invita l’Agenzia a non proseguire con l’utilizzo di tale tipologia di contratti e a non prorogare quelli in essere» denunciava la parlamentare dem.

La situazione è stata in parte sanata con proroghe e qualche assunzione, previo concorso, inserita nella legge di Bilancio. Ma la cicatrice è rimasta. Così come avvenuto con un’altra struttura, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas): a fine dicembre è scaduto il contratto a 70 professionisti che hanno lavorato per anni nell’Agenzia. Un deputato di Leu, Nicola Fratoianni, ha definito «paradossale e ingiusta» la decisione, che è stata tacciata di «inerzia» anche dai sindacati, compresa la Cgil.

Del resto, il caos è il marchio distintivo degli ultimi mesi. Se nella maggioranza c’è chi boccia Speranza, il superconsulente del ministero della Salute, Walter Ricciardi, cannoneggia sul governo un giorno sì e l’altro pure, giudicando quantomeno «insufficienti» le misure anti-Covid. Sì, proprio lo stesso esecutivo di cui Speranza è ministro. Così, a loro volta, i Cinque stelle hanno attaccato Ricciardi, etichettando i suoi comportamenti come «deplorevoli quanto schizofrenici». Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia, è tranchant: «Gli stessi consiglieri del ministro certificano l’insufficienza delle misure. Pochi vaccini, pochi medici, pochi posti letto in più, pochi tamponi, scarso tracciamento».

Sul ministero si addensano tante nubi e sta arrivando una grandine di interrogazioni. Alcune di queste riguardano le mascherine chirurgiche fornite alle scuole e prodotte da Fca, tutte con il logo della presidenza del Consiglio. A leggere gli atti depositati, tra gli altri dai senatori Gianluigi Paragone (eletto con il M5S e oggi leader di ItalExit) e Maria Saponara (Lega), ci si chiede come sia possibile che «milioni di mascherine prodotte da Fca, secondo un accordo economico con lo Stato, di cui non sembrerebbero ancora chiari i profili economici (…) non rispetterebbero gli standard Ce». Unica consolazione per Speranza è che questi rilievi arrivano dall’opposizione e non dagli alleati.

Sul bilancio del ministro, infine, grava il capitolo dei provvedimenti attuativi mai approvati. Nulla si sa più dei 2 milioni stanziati per il personale del 112 «impiegato nelle attività di contrasto all’emergenza epidemiologica da Covid-19» contenuti nel decreto Rilancio; o, ancora, dei 50 milioni stanziati nel Cura Italia per gli importanti «interventi regionali per la creazione di aree sanitarie» all’esterno delle strutture ospedaliere.

Molti pazienti, specie i più fragili, rischiano di restare senza supporto. Come nel caso dei soggetti con patologie cardio-respiratorie. A denunciare la situazione ci ha pensato la Fimarp (Federazione italiana per le malattie respiratorie): la norma che avrebbe consentito accesso più immediato alla ossigenoterapia (non proprio un dettaglio in questo periodo) per i soggetti più vulnerabili si attende da aprile scorso. Erano altri tempi, quando Speranza sembrava intoccabile. E apprezzato dai suoi alleati. Mentre ora, per provare a resistere alla guida della Salute, non gli resta che l’incondizionato sostegno di Conte, con il quale è legato a doppio filo. Proprio come il premier a Palazzo Chigi, anche lui asserragliato al ministero. 

Carmine Gazzanni e Stefano Iannaccone

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