Fin troppa attenzione è stata data negli ultimi giorni al fenomeno dei «No mask», qualche migliaia di estremisti imbevuti di complottismo e paranoie che un paese democratico è costretto a tollerare senza legittimare. Ciò non può significare però uno schiacciamento del dibattito sull’estremismo opposto, quello di chi vorrebbe chiudere di nuovo tutto alla risalita dei contagi. Mentre la prima frangia è fortunatamente relegata al lato oscuro del Web e a qualche piccola manifestazione, la seconda è molto più influente e radicata nelle istituzioni. Tre docenti di Harvard, Oxford e Stanford sostengono che grazie alla conoscenze accumulate sul trattamento del Covid-19, con le misure igieniche e preventive oramai conosciute da tutti e proteggendo le categorie più deboli (anziani e malati di altre patologie) sia perfettamente sostenibile il ritorno ad una vita normale. Ora tocca alla politica governare in nome del buon senso e non della paura.
Fin troppa attenzione è stata data negli ultimi giorni al fenomeno dei «No mask», qualche migliaia di estremisti imbevuti di complottismo e paranoie che un paese democratico è costretto a tollerare senza legittimare. Ciò non può significare però uno schiacciamento del dibattito sull’estremismo opposto, quello di chi vorrebbe chiudere di nuovo tutto alla risalita dei contagi. Mentre la prima frangia è fortunatamente relegata al lato oscuro del Web e a qualche piccola manifestazione, la seconda è molto più influente e radicata nelle istituzioni. Paventare chiusure con una situazione relativamente tranquilla negli ospedali come fatto dal governo o da alcuni governatori (De Luca in Campania) alimenta l’allarmismo, la diffidenza e le difficoltà economiche. Oggi le terapie intensive, per altro quasi raddoppiate nel numero dei posti negli ultimi mesi, contano poco più di trecento persone contro le oltre 4.000 di marzo scorso.
Lo stesso vale per i decessi, poche decine contro quasi mille al giorno. Senza contare che oggi sia le strutture ospedaliere che gran parte della popolazione sono molto più consapevoli di fronte alla pandemia e che ci sono mascherine, gel, distanze e tracciamento. Ciò non significa naturalmente che si sia tornati alla perfetta normalità o che non si debbano osservare le norme sanitarie di base, ma che forse è possibile evitare i toni allarmistici e le minacce paternaliste sentiti nelle ultime settimane da parte delle istituzioni. Un atteggiamento che continua ad incidere la carne viva di quei settori produttivi che maggiormente hanno pagato la pandemia, costretti ad affrontare una vera e propria crisi di panico dei propri clienti indotta dalle dichiarazioni dei governanti. Di fatti, chi è disposto ad entrare in un ristorante o in un negozio in questo clima di terrore? Chi trova la forza di consumare e spendere quando le massime autorità politiche baluginano la possibilità di imminenti lockdown selettivi e chiusure serali? I commercianti, i ristoratori, gli albergatori si trovano a fronteggiare l’ennesima situazione difficile dopo mesi di chiusura. Il rischio è che molti non riescano a superare una situazione di perenne emergenza sanitaria, di incertezza sul se, come e quando poter lavorare. Così si affacciano nuovi problemi, ancora più gravi.
Secondo Confcommercio, ad esempio, sono circa 40.000 le imprese seriamente minacciate dal fenomeno dell’usura che risulta in crescita e che è ancora più grave, in particolare, nel Mezzogiorno e nel comparto turistico.
Da aprile a oggi le imprese del commercio al dettaglio, dell’abbigliamento, della ristorazione e quelle del comparto turistico (strutture ricettive e balneari) hanno dovuto affrontare una serie di problematiche che hanno complicato ulteriormente la gestione della loro attività. Tra queste, le principali sono state la riduzione del volume d’affari (37,5%), la mancanza di liquidità e le difficoltà di accesso al credito (36,9%), la gestione delle procedure per adeguarsi alle norme sanitarie (13,5%) e le problematiche connesse agli adempimenti burocratici (12,1%).
Sul tema del credito, nonostante l’intervento del Fondo di garanzia per le pmi abbia garantito dal 17 marzo al 5 ottobre circa 924.000 operazioni fino a 30.000 euro per un finanziamento complessivo di oltre 18 miliardi di euro, è ancora elevata la quota di imprese (quasi 290.000 nel 2020) che non hanno ottenuto il credito richiesto risultando, pertanto, potenzialmente esposte al rischio usura. Insomma, la situazione del commercio resta grave e può volgere al peggio in assenza di una politica responsabile sia verso la salute che nei confronti dell’economia.
Una ragionevole via di mezzo è possibile tra la noncuranza assoluta ed il terrorismo sanitario. E’ il caso di un appello proposto qualche giorno fa da tre professori di medicina di Harvard, Oxford e Stanford chiamato «The Great Barrington Declaration», apparso sul Wall Street Journal e firmato da oltre 7.000 scienziati e 16.000 medici. I tre docenti sostengono che grazie alla conoscenze accumulate sul trattamento del Covid-19, con le misure igieniche e preventive oramai conosciute da tutti e proteggendo le categorie più deboli (anziani e malati di altre patologie) sia perfettamente sostenibile il ritorno ad una vita normale con le scuole, le università, i ristoranti, le strutture sportive, i teatri, i negozi aperti. E senza tornare al lockdown nel caso di una crescita moderata di contagi, specie nel caso in cui la pressione sia gestibile dal sistema sanitario. Piombare in un dibattito schizofrenico ed irrazionale è quanto di peggio possa accadere alla società italiana. Ma evitare che ciò accada è responsabilità primaria del governo e delle istituzioni. Un approccio prudente e allo stesso tempo razionale rispetto alla pandemia è possibile. Può evitare fallimenti, disoccupazione, crescita dell’illegalità, depressione. Ora è compito della politica dimostrare che si può governare in nome del buon senso e non soltanto della paura. Così da allontanare anche i sospetti di chi, in qualche frangente di quest’anno, ha notato una eccessiva inclinazione alla ricerca del perenne stato d’emergenza da parte del governo.
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