La ministra di Italia viva, che con Matteo Renzi incalza Giuseppe Conte sulla gestione delle risorse del Recovery fund, non è altrettanto sollecita sui dossier del suo dicastero. In compenso, ha un’invidiabile squadra di consulenti.
Una battaglia campale per miliardi di euro, quella del Recovery fund. Teresa Bellanova, ministra delle Politiche agricole e capo delegazione di Italia viva nel governo, è allineata al suo nume tutelare politico, Matteo Renzi, tanto da seguirlo anche nei continui ultimatum e penultimatum (tutti puntualmente rimangiati) lanciati all’indirizzo di Conte. Tanto da essere disposta – quantomeno a parole – a rassegnare le dimissioni da ministra.
Su questo non vuole sentir ragioni: bisogna coinvolgere le istituzioni e lasciar perdere le task force per non sprecare la grande opportunità. Nel caso dell’agricoltura italiana si discute di risorse tra uno e sette miliardi. Già, in ballo c’è il futuro del Paese. Giusto, sacrosanto. Ma c’è un problema: la posizione pare rientrare nella categoria del predicare bene e razzolare male. I motivi sono tanti.
Su tutti spicca la gestione dei contributi europei proprio sul fronte dell’agricoltura. La Corte dei conti Ue, nella sua relazione annuale, ha collocato l’Italia al penultimo posto per l’impiego dei fondi strutturali per il settore: la media Ue è al 40 per cento, mentre l’Italia si è fermata al 30 per cento nel 2019. Certo, non tutte le responsabilità sono della ministra in carica: la questione si trascina da anni e ci sono le colpe di vecchi governi e anche delle Regioni.
Ma, stando alle osservazioni provenienti dal Parlamento, le cose non stanno cambiando granché con la Bellanova al comando del Mipaaf. «Un ministro ha il compito di stimolare e anche di bacchettare le Regioni che non fanno il loro dovere. Invece gli agricoltori non sono tutelati in alcun modo, perché i fascicoli sull’erogazione dei fondi sono concentrati nelle mani di pochi», dice a Panorama il senatore Saverio De Bonis, eletto con il Movimento 5 Stelle e oggi nel Gruppo misto, componente della commissione Agricoltura. «Abbiamo di fronte», aggiunge il parlamentare, «un ministro che non ha contezza dei temi agricoli. Affida le scelte a qualche consulente, ma la politica non si può basare solo sulla diffusione di due comunicati stampa».
E i consulenti della Bellanova provengono, non in pochi casi, dalla stessa galassia renziana. Tutto legittimo: ogni ministro si circonda di fedelissimi. Quel che salta all’occhio però è che, mentre i risultati ottenuti nel settore lasciano secondo molti a desiderare, nel campo istituzionale che ruota attorno all’agricoltura le nomine e le consulenze sono più che fertili, per restare in tema.
Una delle ultime è arrivata il 23 novembre scorso con la delibera numero 30. A firmarla è stato il direttore generale dell’Agea, l’Agenzia che regola i finanziamenti (milionari) nell’ambito dell’agricoltura, Gabriele Papa Pagliardini. Oggetto del provvedimenti: la designazione dell’amministratore delegato di Sin spa, l’ente a capo del Sistema informativo agricolo nazionale, che consente all’Agea di gestire i fondi. Un ruolo chiave, dunque, considerando le decine e decine di milioni che toccano l’ambito agroalimentare.
La nomina è arrivata per Edoardo Fanucci, deputato del Pd nella scorsa legislatura, inossidabile renziano, e oggi tesserato di Italia viva. Fanucci condivide con Renzi le origini toscane (è di Pescia, provincia di Pistoia). Sotto l’egida della Bellanova si muove anche l’Agea. Papa Pagliardini, d’altronde, è stato nominato dalla ministra renziana che aveva avuto modo di apprezzare il suo operato all’Autorità di gestione del Programma di sviluppo rurale della Regione Puglia, terra d’elezione della Bellanova.
Fanucci non è certamente l’unico. Altri renziani sono entrati al dicastero in qualità di consulenti o collaboratori. Una delle ultime new entry è stata Antonella Manzione, nominata nuovo consigliere giuridico della ministra. Manzione, che oggi assolve all’importante incarico in forma gratuita, era stata già protagonista nel governo Renzi: suscitò molte polemiche la scelta dell’ex premier nel 2014 di nominarla capo del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio, facendola traslocare da Firenze dove dirigeva, invece, i vigili urbani. Bellanova ha difeso la sua scelta sui social: «Ho imparato a stimarla e a fidarmi della sua capacità, professionalità, competenza». Stesse caratteristiche hanno portato Bellanova ad assumere anche Alessio De Giorgi, oggi consulente per la comunicazione della ministra (per 80 mila euro annui) e fino a prima della sua nomina, secondo quanto risulta dal suo cv, social media manager proprio di Matteo Renzi. Appunto. Prima ancora, De Giorgi si era occupato della comunicazione per un altro importante evento: la campagna referendaria «Basta un sì», il comitato pro-riforma costituzionale, firmata Maria Elena Boschi. Ma l’elenco è ancora lungo. A svolgere l’incarico gratuitamente, oltre alla Manzione, c’è anche Marco Fortis: il consigliere economico della ministra ha avuto lo stesso ruolo in passato con vari personaggi politici, tra cui – manco a dirlo – l’ex presidente del Consiglio Renzi (dal 2014 al 2016).
Nello staff ministeriale siede Laura Schettini (38 mila euro annui), fiorentina e vicina anche lei al mondo renziano.Dal suo cv risulta che ha curato tra l’altro la campagna elettorale di Leonardo Bieber, già consigliere comunale col Pd a Firenze e oggi a capo di Firenze Parcheggi. Nota a margine: Bieber è stato compagno di scuola di Renzi. Ma non è finita. Tra gli incarichi figura un ex onorevole, Salvatore Capone: eletto nella circoscrizione di Lecce nel 2013, è stato deputato del Pd fino a fine mandato nel 2018, per poi essere nominato dalla sua conterranea Bellanova come consulente.
Ma le nomine renziane non risolvono i problemi del mondo agricolo. Che restano, tanti e seri. Sul tavolo c’è l’annosa questione dei ritardi nei «pagamenti diretti», i contributi finanziari che lo Stato, attraverso i fondi comunitari, riserva agli agricoltori. Un problema ereditato, certo. Ma, stando alle stime della Confederazione italiana agricoltori (Cia) pesa almeno il 10 per cento sulla produzione, tra maggiori costi aziendali e mancati introiti. «Questi pagamenti, erroneamente definiti sussidi all’agricoltura, sono garanzia per il cittadino sul mantenimento di prezzi adeguati» spiega Dino Scanavino, presidente Cia. «Il rallentamento» aggiunge, «mette in difficoltà le imprese, perché senza quel contributo si finisce sotto il prezzo di produzione. Quindi bisogna chiedere un prestito alle banche, e così si va in affanno». E in un periodo di crisi come l’attuale non agevola.
La gestione dei contributi europei è solo l’ultima voce di una lista di ritardi che va dal via libera della legge sul biologico alla nuova procedura di infrazione della Commissione europea sulla «direttiva nitrati»: a inizio dicembre Ursula von der Leyen ha inviato una seconda lettera di messa in mora, dopo quella del novembre 2018, per il mancato rispetto della direttiva che combatte l’inquinamento delle acque causato dai nitrati di origine agricola. E che dire della collegialità? Bellanova la invoca, altrimenti salta il governo. Un punto fermo e condivisibile, quello di un maggiore confronto. Ma anche in questo caso l’azione non corrisponde all’intenzione. L’accusa, che muove Bellanova al presidente del Consiglio Conte, è la stessa che i parlamentari le rivolgono sulla gestione dell’agricoltura. «Il Parlamento viene informato a cose fatte, la funzione parlamentare viene svilita» ribadisce De Bonis. Che conclude il ragionamento senza troppi giri di parole: «Se proprio dobbiamo parlare di rimpasto, il primo ministro da cambiare è quello dell’Agricoltura». Male che vada, può consolarsi con il successo social dell’albero di Natale rotante, realizzato dal marito e ripreso in diretta tv. Per la serie: cosa non si fa per la visibilità.
