L’ascesa della Schlein alla segreteria del Pd è arrivata contro i pronostici di buona parte del partito stesso. E così nomi «pesanti» che si dichiaravano pro-Bonaccini adesso si sperticano in entusiastici commenti verso la nuova leader e rispolverano i valori di sinistra-sinistra riposti nel cassetto. In attesa di una ammodernata mappa del potere piddino.
«Se Elly Schlein diventa segretario del Pd metà partito passa con noi, e forse sono stato prudente» profetizzava il luciferino Matteo Renzi. «Nella politica italiana cambieranno molte cose: si apre una stagione interessante per i riformisti» scalpita la soave Maria Elena Boschi. L’alfiere e la vestale del centrino rischiano l’ennesima delusione. Ingolositi da qualche punticino in più nei sondaggi e una timida ripresa dei tesseramenti nel partito, gli aspiranti rinnovatori dem chiudono il pugno e sfoderano vetustà. «Compagni e compagne» li chiama Elly. «Si torna alle origini» giubila il suo predecessore più libertino: l’americaneggiante Walter Veltroni, detto Uòlter. Anche l’omonimo fedelissimo, Walter Verini, s’è portato avanti: Schlein «può scrivere una pagina nuova». Mentre lui potrebbe riaggiudicarsi il ruolo di responsabile Giustizia.
La grancassa torna a risuonare. Elly è il futuro. Dopo anni passati a dover tifare per i residuati, giornaloni e intellettualoni in visibilio. La segretaria vuole un paese «progressista, ecologista e femminista». Ma pure pacifista, abortista, tassatore, antiliberista, gender. È la «sinistra-sinistra» compendia l’avvilito Beppe Fioroni, che mestamente lascia. E gli altri? Riformisti, cattolici e moderati ritirano fuori dall’armadio le sbiadite magliette del Che.
Hanno sostenuto strenuamente l’antitetico Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, sconfitto a sorpresa. E adesso, con ammirevole spirito di sacrificio e imperituro coraggio, salgono sul carro arcobaleno di Elly. Che già, a onor del vero, aveva convinto a seguirla i soliti lungimiranti, come Dario Franceschini e Goffredo Bettini. «Un’operazione gattopardesca incredibile» la definiva l’ex presidente del Pd, Matteo Orfini. «Si ripropone la strategia che ha appaltato la sinistra ai Cinque stelle». Non è più tempo di anatemi però: «Io ho votato Bonaccini perché mi sembrava più adatto a guidare il Pd, ma penso che si possa lavorare nello stesso senso» spiega, a risultato acquisito, il leader dei Giovani turchi. E lui stoicamente non si sottrarrà: «Quando le primarie finiscono, poi si dà una mano».
Tutti pazzi per Elly. Tutti «compagni e compagne». Perfino il sindaco di Firenze, Dario Nardella: già, turborenziano, megazingarettiano, ultralettiano, poi coordinatore nazionale della campagna per Bonaccini. Incassata la sconfitta, anche lui si immola per la causa, sperando magari nella vicepresidenza del partito. «Elly ha saputo risvegliare un popolo nuovo che mi auguro possa aggregarsi intorno a un progetto che coniughi radicalismo e riformismo». Certo, come no? Spirito e acqua santa. Peppone e Don Camillo. E lei, sindaco, va via dal Pd? Macché: «Bisogna stare insieme». Dinanzi alla mangiapreti italo-svizzera, s’inchina pure un cattolico dossettiano come Graziano Delrio: ex ministro e capogruppo dem, sfegatato sostenitore di Bonaccini. «Elly Schlein accende l’entusiasmo» esulta. «A me non preoccupa certo se il Pd si sposta a sinistra sui migranti e sulla pace». E il resto dell’armamentario ideologico?
Sono i riciclati. Anzi, i ricondizionati. In ossequio al piglio ecologista della lodatissima. Vedi i capigruppo di camera, senato e parlamento europeo. Debora Serracchiani, capintesta a Montecitorio, s’era portata avanti con la visita in carcere all’anarchico Alfredo Cospito. L’ascesa della compagna Elly l’ha convinta ch’era giunto il momento di rinnegare il passato. Dopo giorni di surreale silenzio, la severa Debora senz’h posta un eloquente foto su Twitter. Si vede lei: cammina fiera, con opportuno cappottino arancione ispirato alla venerata leader. Che le cammina accanto, perplessa, durante la manifestazione fiorentina contro «violenza e fascismo».
Simona Malpezzi, demiurga dem a Palazzo Madama, si premura invece di definire indegni «i commenti sessisti e misogini contro @ellyesse», account della segretaria che ricorda una marca d’abbigliamento sportivo, dal logo multicolore ovviamente. nAnche Brando Benifei offre solidarietà contro «il peggio della cultura sessista, maschilista e misogina». Il capogruppo a Bruxelles, però, si porta avanti. Il colpo, a dispetto della giovane età, è da maestro. Coniuga due bandiere schleineiane: antisovranismo e fluidità. Dunque, esorta i follower a firmare una petizione rivolta al governo, «perché prenda una posizione chiara contro la legge ungherese anti LGBTQIA+». E quando la «brava» Elly va a Crotone, dopo la tragedia del mare, il fu bonacciniano coglie l’attimo: «Grazie alla nostra segretaria per essere lì».
La sbertucciavano per l’antiamericanismo peace&love da centro sociale okkupato. Adesso, invece, sbrodolano: perfino sulla guerra in Ucraina, Elly non sbaglia un colpo (a salve, chiaro). Il senatore Enrico Borghi, ex della corrente Base riformista e membro dell Copasir, informa che le prime uscite della leader coniugano alla perfezione belligeranza e pacifismo: «Sgombrano il campo». E cos’ha detto di tanto illuminante? L’ovvio: «È necessario sostenere il popolo ucraino, ma i conflitti non si risolvono solo con le armi. Serve protagonismo diplomatico Ue per pace giusta, l’integrità territoriale Ucraina è stata violata e va ristabilita». E giù con gli applausi. Entusiasmo irrefrenabile. Condiviso, sui social, da un’altra bonacciniana: Anna Ascani, vicepresidente della Camera.
Ah, tra i neo entusiasti spunta pure Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci piddini. Diceva: «Bonaccini è la guida più forte, autorevole e dinamica». Rettifica: «Hanno visto nella Schlein una novità maggiore. Ora serve grande unità. Ognuno di noi la deve garantire. Complimenti e in bocca al lupo a Elly. Evviva!». Un trionfo. Anche Michele Emiliano non ha mancato di tributare i dovuti onori. Sosteneva Bonaccini. Sostiene Schlein: «Ha vinto delle straordinarie primarie che ricostruiscono e rilanciano il Partito democratico come forza guida dell’Italia» esulta il governatore pugliese. «Il Pd è unito e felice di essere in campo con lei alla sua guida».
Dal vangelo secondo Elly. Ovvero la sua mozione congressuale, insomma il programma che verrà: «Un progetto collettivo per cambiare il Pd e l’Italia» e riallacciare «la connessione sentimentale» con il paese. Una politica «che guardi ai prossimi vent’anni». La fine del modello di «sviluppo neoliberista», con la redistribuzione della ricchezza. La tassa sulle donazioni e le successioni. Sbarchi liberi e ius soli. Esproprio delle case private sfitte. Il superamento del patriarcato, vista «una insopportabile rappresentazione delle donne». La pillola abortiva, che «dovrebbe essere accessibile gratuitamente nei consultori». Cambio di sesso ed educazione gender nelle scuole. Legalizzazione della cannabis e legge sull’eutanasia. Insomma: «L’impegno per un mondo più giusto». E, soprattutto, il più lontano possibile da quel riformismo che i dem hanno tentato professare fin dai tempi dell’Ulivo prodiano.
Era una piccola fiammiferaia: parolaia, demagogica, massimalista. Adesso à la Ocasio-Cortez tricolore: acuta, sensazionale, illuminata. L’ultima speranza della sinistra. L’anelito di libertà per gli adoranti media. Il futuro dopo il trapassato. Certo, magari sarà solo l’entusiasmo degli esordi. Gli inizi dei segretari dem sono sempre promettenti: baciatori di pantofole, proclami sensazionali, grandi speranze. Poi, la cupidigia di correnti e cacicchi divora tutto. Otto segretari in 14 anni: in media, uno ogni 577 giorni. E adesso Elly, la prima donna alla guida del partito. Quanto durerà? Chissà. Dietro gli interessati salamelecchi, al Nazareno già scommettono sulle prossime primarie.