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La disfida per il «sud» globale

La disfida 
per il «sud» globale

A fine agosto in Sudafrica va in scena l’atteso summit dei Brics. Con India e Cina ancora una volta a guardarsi in tralice (e gli italiani, alle prese con gli inviti per il G7 del 2024, a osservare attentamente).


Quello dei Brics è un club particolare. Forte del suo acronimo di notevole richiamo coniato agli inizi di questo secolo da Jim O’Neill di Goldman Sachs, il gruppo politico-economico formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica ha alimentato copiosa letteratura e fornito argomenti di conversazione a numerosi esperti di economia dello sviluppo, anche in Italia. Meno noto è che, nel 2015, fu Goldman Sachs a chiudere – causa rendimenti troppo bassi – il proprio fondo dedicato al Brics, che non era ancora arrivato a includere il Sudafrica. Ed è lì, a Johannesburg, che a fine agosto si celebrerà il quindicesimo summit del club di Paesi ex-emergenti per il quale l’attesa è notevole. Il gossip sulle presenze va forte, almeno quanto quello sulle assenze. Il leader russo Vladimir Putin, per esempio, non parteciperà, poiché da marzo di quest’anno è inseguito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale.

Protagonista, tuttavia, è soprattutto la figura dell’indiano Narendra Modi. Sa di tenere molti sulle uova, specie il cinese Xi Jinping che del vertice Brics ha bisogno per rilanciare la sua leadership. Tanto più che a questa tornata è previsto un imponente allargamento della compagine associativa, vissuto con fastidio da India e Brasile perché il loro peso sarebbe diluito a beneficio della Cina. La quale, proprio per questo, sull’allargamento insiste da anni, e aveva già chiamato a battesimo un meccanismo – il cosiddetto «Brics plus» – per accomodare aspiranti membri in una sorta di anticamera (o limbo).

È molto probabile, poi, che la stessa Mosca confidi nell’allargamento del Brics per poter disporre di una piattaforma attraverso cui allentare la morsa dell’ostracismo occidentale. Difficile infatti non notare che, tra gli aspiranti membri del club, ci sono Iran, Venezuela e Siria. Tutti Paesi che si caratterizzano per la forte enfasi anti-Usa. Al momento sul taccuino dell’analista si fissa il tacco-punta dell’autorevole ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar al raduno di Cape Town, a inizio giugno. Jaishankar, che prima di fare il ministro è stato un diplomatico di lungo corso, ha stigmatizzato la concentrazione di potere economico in Occidente. E fin qui si è attenuto all’abituale copione Brics. Quando però si è trattato di affrontare il tema delle nuove adesioni, Jaishankar ha versato parecchia acqua sul fuoco: nulla è stato deciso, «work in progress». Xi ha mandato in avanscoperta anche il fido ministro degli Affari esteri Wang Yi, che si è incontrato con il consigliere per la sicurezza nazionale indiano Ajit Doval. Ne è seguito un balletto di note ufficiali, in cui la versione cinese omette le proteste indiane per le provocazioni cinesi lungo il confine indo-cinese, mentre quella indiana non le manda a dire. È la prova che tra i due Paesi non è ipotizzabile un rapprochement, e che esiste una conflittualità che si scarica su tutte le piattaforme multilaterali in cui coabitano Cina e India.

Difficilmente l’India sarà disposta a lasciare alla Cina l’egemonia del Brics, specie dopo l’esperienza della Sco, la Shanghai cooperation organization (organismo intergovernativo di cui i due Paesi fanno parte) che New Delhi – soprattutto dopo averne retto la presidenza di turno 2022-2023 – considera un’organizzazione dominata da Pechino e anti-indiana. Restando nel Brics, l’India mette dunque in campo una strategia «ad ali di farfalla». Mentre ricopre un ruolo di rilievo nel quadrante Indo-Pacifico (ed è uno strumento di containment nei confronti della Cina), non rinuncia a presentarsi come voce democratica del «Global South».

Non tutti i Brics sono altrettanto capaci di giostrarsi. Si consideri il caso del Sudafrica, padrone di casa al vertice di agosto. Ebbene: Pretoria negli ultimi tempi si è avvicinata alla Russia, ed è sospettata di avere anche fornito armi a Mosca. Per questa ragione, per la prima volta dall’inizio del mandato del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa nel 2018, nessun rappresentante di quel Paese è stato invitato come ospite ai lavori del G7. A meno che il conflitto russo-ucraino termini prima, anche al Brasile, che ospiterà il G20 nel 2024 e il Brics nel 2025, potrebbe toccare analoga sorte. Per l’Italia, che l’anno prossimo avrà la presidenza G7, è quindi molto importante seguire con attenzione le posizioni ufficiali dei membri Brics. Insomma: un altro nodo al fazzoletto per le feluche di Giorgia Meloni. n

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