Il ministro Spadafora, lo scorso 10 marzo a inizio lockdown e dopo aver recitato due parti in commedia—nell’arco di poche ore—a proposito del rinvio (poi saltato) di Juventus-Inter e dell’ultimo turno di campionato pre Covid: “Voglio presentare un disegno di legge per correggere la legge Melandri”.
Tradotto, entrare nel cuore del sistema calcio, quello che lo aveva irritato per il rifiuto a mandare in chiaro la super sfida di Torino. Cosa peraltro vietata proprio da quella legge da lui richiamata come necessaria di modifiche. Inutile dire che, trascorsi quattro mesi tondi da quel giorno e da quel proclama, la legge Melandri è rimasta così com’era e non pare destinata ad alcuna modifica. Almeno non nei tempi tecnici utili per cambiare governance ed equilibri della Serie A nell’immediato, ovvero prima che si chiuda la partita dei diritti tv per il triennio 2021-2024 che sta impegnando i club a giocare su più tavoli.
La montagna ministeriale ha partorito il più classico dei topolini, ovvero la possibilità di trasmettere gli highlights dei gol di questa seconda parte della stagione a ridosso della fine delle partite. Pane et circenses, risultato utilizzato come trofeo comunicativo per uscire dal tira e molla sulla ripartenza del campionato in cui il ministro Spadafora ha impersonato il ruolo prima del cattivo e poi dello sconfitto.
Intanto, però, il calcio italiano si sta dividendo per la milionesima volta nella sfida cruciale per il suo futuro immediato. L’obiettivo è garantirsi dal 1° luglio 2021 almeno 1,4 miliardi di euro a stagione, la stessa cifra presa fin qui. Il problema è che il contesto è cambiato e non solo per la pandemia, che sta provocando scossoni anche nell’industria dell’entertaiment. I rapporti con Sky sono ai minimi termini, la tv satellitare non sembra disposta a svenarsi e soprattutto non ha avversari, se si considera lo scenario così come oggi limitandosi ai soli broadcaster.
Ecco perché la Lega ragiona su più progetti. C’è chi vorrebbe tornare al canale autoprodotto con un partner internazionale (Lotito pensa a Wanda del sempre attuale Bogarelli dopo il fallimento degli spagnoli di Mediapro), chi sogna (come De Laurentiis) di fare tutto da solo, prendendo soldi da fondi stranieri e chi quei fondi li vorrebbe soci in una media company da creare ex novo per farci convogliare tutta l’attività redditizia del calcio italiano. Una partita da 1,5-2 miliardi di euro all’anno con sul tavolo una partecipazione non superiore al 20% anche se in tanti nicchiano all’idea di affidarsi finalmente a una governance moderna e manageriale, cioè l’esatto contrario della democrazia dello stallo che da sempre regna la Lega.
Il tempo comincia a mancare. Il calcio italiano va alla battaglia campale con le stesse armi di prima, legge Melandri compresa. Entro fine luglio il presidente Dal Pino spera di ottenere offerte formali da uno dei competitor che si dicono interessati, magari proprio da CVC che è stato il primo fondo ad affacciarsi sulla scena. L’ultima volta che i club hanno tentato di tagliare fuori Sky non è andata benissimo: cause, tribunali e poi l’attuale assetto dei diritti. Oggi l’allarme suona forte anche perché la Germania si è dovuta accontentare di un contratto al ribasso come già accaduto alla ricchissima Premier League. Il problema è che i presidenti della nostra Serie A dipendono dai diritti tv per oltre il 50% del loro fatturato e alle viste non c’è alcun sostanziale cambiamento alla voce stadi e infrastrutture. In gioco c’è la possibilità di restare attaccati alla locomotiva inglese. Anche per questo una sponda del Governo non sarebbe stata inutile.
