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Soros re del mondo

Dopo aver pubblicato le generose donazioni italiane del magnate miliardario, Panorama rivela ora i contributi planetari della sua Open society. Sempre con lo stesso obiettivo: orientare le politiche a favore di aborto, immigrazione, fluidità sessuale…


Cosa accomuna il cupo Giuliano Amato al celestiale George Clooney? A prima vista, pochino. A ben vedere, le convinte simpatie progressiste e la conseguente benevolenza di George Soros, il multimiliardario più munifico e ideologico del pianeta. Il Dottor Sottile, che sedeva a Palazzo Chigi durante il leggendario attacco speculativo alla lira del 1992, adesso fa parte di un paio think tank sostenuti da Open society, l’impero della bontà sorosiano. Ma la più munifica organizzazione filantropica del mondo è prodiga anche con la Clooney Foundation for Justice, creata dalla star hollywoodiana assieme alla moglie, la giurista Amal.

Giuliano e George. La singolare convergenza non deve sorprendere. La rete di fondazioni creata dal magnate-attivista ha investito oltre 32 miliardi di dollari in 120 paesi. Panorama, dopo aver pubblicato le donazioni italiane, rivela gli assai più consistenti contributi planetari, concessi tra il 2016 e il 2021: ben 15.599 sovvenzioni, necessarie per «costruire democrazie vivaci e inclusive». Ovvero: sfrenata immigrazione, fluidità sessuale, aborto, antiprobizionismo. Un mondo di ultrasinistra, dove spadroneggiano le idee radicali.

Fiumi di denaro scorrono pure in Europa, per evitare la sgradita deriva conservatrice. Anche Giorgia Meloni, la premier italiana, è considerata da Soros un pericolo pubblico. Anzi, una «nemica dell’Ue». Per questo, ha sempre finanziato lobby e think tank di opposta foggia politica. Come l’European council on foreign relations, che ha ricevuto 12,7 milioni tra il 2016 e il 2021. I consiglieri italiani sono 25. Tra questi ci sono Enrico Letta, segretario del Pd, e il suo predecessore, Piero Fassino. Ma anche due battagliere deputate: Lia Quartapelle, onorevole dem, e Mara Carfagna, presidente di Azione e rinomata paladina dei diritti. L’immancabile Emma Bonino viene annoverata invece tra i quattro «emeriti», assieme a Joschka Fischer. L’ex ministro degli Esteri tedesco è inoltre tra i fondatori del Gruppo Spinelli assieme a Mario Monti, altro ex premier italiano in ottimi rapporti con il finanziere. Tanto da contattare il «Professore» nel 2011, come da lui stesso poi rivelato: «Soros mi chiamò suggerendomi di chiedere aiuto all’Europa, ma noi volevamo evitare di far entrare la troika e non seguimmo quel consiglio». A ennesima dimostrazione del vivido interesse sempre manifestato per l’Italia. Comunque sia: Fischer e Monti siedono ancora nel direttivo dell’associazione intitolata ad Altiero, considerato uno dei padri dell’Ue, che ha ricevuto 50 mila euro da Open society.

Il rapporto più proficuo è però quello con la storica leader radicale. Stima, amicizia, comunanza. Oltre ad aver finanziato la galassia radicale italiana, Open society ha dato anche sei contributi a No peace without justice, fondata da Bonino: 392 mila dollari tra il 2016 e il 2018. L’associazione è stata adesso coinvolta nel Qatargate, inchiesta su mazzette in cambio di benevolenza verso l’emirato e le sue rivedibili pratiche riguardo ai diritti umani.

Niccolò Figà-Talamanca, storico collaboratore dalla leader radicale e segretario della Ong, è stato arrestato assieme ad Antonio Panzeri, già europarlamentare di Articolo 1 e del Pd. L’ex sindacalista veniva annoverato tra gli amici della fondazione sorosiana eletti a Bruxelles, in un documento intitolato «Alleati affidabili nel parlamento europeo». E in lista, tra gli italiani benvoluti, c’era pure Elly Schlein, candidata alle primarie Dem.

Tra i membri italiani del consiglio Ecfr compare anche Amato, già presidente del Consiglio e della Corte costituzionale. Un’altra vecchia conoscenza. Estate 1992, notte tra il 9 e 10 luglio: il governo decide il leggendario prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti. Qualche mese dopo, arriva l’attacco speculativo di Soros contro la lira. È il colpo di grazia. La Banca d’Italia è costretta a vendere 48 miliardi di dollari di riserve. Lo squalo, oggi novantaduenne, non ha mai mostrato pentimento: «Fu una legittima operazione finanziaria» ha spiegato il magnate statunitense nel 2013.

Acqua passata. Soros è rinato filantropo, lobbista, attivista. Il grande burattinaio. Open society sostiene pure Aspen, uno dei più importanti e prestigiosi think tank del mondo, nato per «incoraggiare leadership illuminate». Ha ricevuto negli ultimi anni 14 donazioni: 10 sono andate all’organizzazione internazionale, il resto alla «filiale» tedesca. Totale: quasi 2,3 milioni di dollari tra il 2016 e il 2021. Della rete internazionale dell’istituto fa parte anche Aspen Italia, di cui Amato è presidente onorario, assieme al sociologo Giuseppe De Rita e all’ex presidente del Senato, Carlo Scognamiglio.

È la politica l’epicentro dell’impero della bontà sorosiano. A partire dagli Stati Uniti. Ben 37 milioni, solo tra il 2020 e il 2021, concessi ad America votes per sollecitare le pratiche elettorali soprattutto in Wisconsin, Georgia e North Carolina, non a caso considerati gli «swing States», quelli senza una chiara maggioranza. Ancor più consistente la sovvenzione a Democracy pac nel 2020, l’anno delle elezioni statunitensi: oltre 75 milioni di dollari destinati ai democratici di Joe Biden, poi eletto presidente. Sempre tra il 2020 e il 2021, ha raccolto invece 43 milioni Sixteen thirty fund. Come emerge dalla banca dati delle fondazione, tra gli scopi delle donazioni ci sono il «cambiamento strutturale durante il primo anno dell’amministrazione Biden» e la conseguente «difesa relativa ai media». Il giornalismo è un’altra missione. Tra il 2016 e 2021 Open society avrebbe finanziato 253 gruppi editoriali, calcola una ricerca indipendente. Il Committee to protect journalists, dedito alla libertà di stampa, ha ricevuto quasi 2,8 milioni di dollari. Tra i membri senior del consiglio di amministrazione c’è pure Christiane Amanpour, la leggendaria inviata della Cnn, inserita da Forbes tra le 100 donne maggiormente influenti del pianeta. Ma nel board ci sono giornalisti dei più celebrati media del pianeta.

A Marshall project, fondato dall’ex direttore del New York Times, Bill Keller, sono andati quasi 1,5 milioni di dollari. Il multimiliardario di estrema sinistra ha donato oltre 1,6 milioni pure a ProPublica, primo giornale online ad aver vinto il premio Pulitzer. Quest’organizzazione no profit collabora spesso con International consortium of investigative journalists, autore dell’inchiesta sui «Panama papers» e tra i candidati al Nobel per la Pace nel 2021. Anch’esso ha beneficiato della bontà del finanziere: 3,1 milioni di dollari, ricevuti tra il 2017 e il 2021. In Italia «partner esclusivo» di questo trust investigativo, ormai da molti anni, è L’Espresso. E negli ultimi mesi, il settimanale ha pubblicato diverse inchieste realizzate dal consorzio. Open society si dedica anche a forgiare giovani menti. Ha sostenuto alcuni tra i più prestigiosi atenei del mondo, tra cui la Columbia university di New York, destinataria di 39 contributi in 5 anni, molti dei quali finiti alla rinomata scuola di giornalismo. Altre 31 donazioni sono andate ad Harvard.

La più foraggiata è però la Central european university di Budapest, fondata da Soros in Ungheria. Il suo paese d’origine è guidato dal sovranista Viktor Orbán, che per il magnate incarna il male assoluto. L’ateneo magiaro ha ottenuto una cinquantina di milioni di dollari tra il 2016 e il 2021. L’altra causa legata alle origini di Soros è quella dei rom, che in Ungheria sono la minoranza più numerosa. Nell’archivio digitale di Open society, le donazioni a favore della comunità sono centinaia: arte, cultura, diritti, stampa, imprenditoria. Oltre, ovviamente, i campi nomadi. Anche la lista delle ong, comprese quelle che si battono per gli sbarchi incontrollati, è sterminata. A Oxfam, travolta nel 2018 da un enorme scandalo sugli abusi sessuali, sono finiti una decina di milioni. Cifra simile per un altro colosso della bontà britannico come Amnesty international, accusato negli anni passati di bullismo, discriminazioni e abusi di potere subiti dai dipendenti. Non mancano le elargizioni ad agenzie delle Nazioni unite: come l’Unicef, a cui sono finiti due milioni di dollari solo per prevenire la «violenza di genere nello spazio digitale», o l’Unesco, destinatario di una trentina di donazioni. Una generosità che, denuncia un report dell’European center for law and justice, finisce per condizionare le politiche umanitarie dell’Onu.

Celerebbero invece un piano per indebolire il cristianesimo le elargizioni alla causa abortista. In questo caso, gli oboli sorosiani si concentrano soprattutto negli Usa. Dal National network of abortion funds, per l’interruzione di gravidanza dei poveri, a Catholics for Choice, a difesa dell’aborto cattolico dissenziente. Anche se il più foraggiato è il Fondo d’azione per la genitorialità pianificata: 16 milioni dollari, di cui dieci espressamente dedicati a «espandere il raggio d’azione dei giovani». Le donazioni spettano anche a una selva di associazioni impegnate a diffondere la fluidità di genere nel mondo: Trans*Alliance, English collective of prostitutes, Transgender law center, Transgender europee. Il grande burattinaio non dimentica nessuno. Nemmeno la star di Hollywood da sempre impegnata nel sociale: 230 mila dollari alla Clooney Foundation for Justice, per «supportare la documentazione e la responsabilità per le violazioni dei diritti umani». Come nella celebre pubblicità interpretata dall’omonimo George: «What else?».

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