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Su Esteri ed Economia, Salvini e Meloni sempre più divergenti

Su Esteri ed Economia, Salvini e Meloni sempre più divergenti

La politica estera rappresenta la vera frattura della coalizione di centrodestra. Paradossalmente, al crescere delle possibilità di vittoria dell’alleanza aumentano ancora le distanze rispetto al supporto militare all’Ucraina. Ma anche sui temi di bilancio Fdi cerca convergenze draghiane.


La politica estera rappresenta la vera frattura della coalizione di centrodestra. Paradossalmente, al crescere delle possibilità di vittoria dell’alleanza aumentano ancora le distanze rispetto al supporto militare all’Ucraina. Negli ultimi giorni Matteo Salvini ha continuato a mettere in discussione le sanzioni alla Russia. Dall’altro lato Giorgia Meloni ha mandato uno dei suoi più fidati luogotenenti, il senatore Adolfo Urso, ad incontrare il ministro degli Esteri ucraino. Un segno della netta linea atlantica intrapresa da Fratelli d’Italia. Un vantaggio per Meloni considerando quanto rapidamente la guerra sembra evolvere a favore del fronte occidentale. Questa differenza con Salvini si riverbera anche sulla crisi energetica. Il leader leghista chiede scostamento di bilancio immediato e intervento pubblico massiccio sulle bollette, quantomeno su quelle aziendali. In questo si accoda al Pd e al Movimento. Meloni, al contrario, segue Draghi sulla linea austera. C’è un interesse tra il Presidente del Consiglio uscente e la leader di Fratelli d’Italia: il primo non vuole varare scostamenti con il governo dimissionario e aspettare che le altre nazioni europee agiscano senza fare dell’Italia l’avanguardia della nuova spesa, la seconda vuole mostrarsi responsabile in campagna elettorale ed eventualmente intestarsi lei le nuove misure una volta alla testa di un governo con un forte mandato politico. Ad ogni modo, il rapporto Lega-Fratelli d’Italia rischia di diventare presto un problema se ci sarà un governo di centrodestra. Ciò, in particolare, se i leghisti non riusciranno a liberarsi di Matteo Salvini dopo un modesto risultato elettorale. Non sarà semplice perché il segretario leghista ha blindato i propri fedelissimi ed emarginato governatori e uomini di Giorgetti. Il leghista può inoltre sfruttare la morbidezza di Silvio Berlusconi verso la Russia di Vladimir Putin per bilanciare l’atlantismo di Meloni. Avere in un esecutivo un Salvini così disallineato sul piano della politica estera sarà un problema, soprattutto ora che l’esterno ha riflessi sempre più potenti sull’interno. Mentre Meloni cerca appigli e di costruirsi una reputazione presso il dipartimento di Stato americano, Salvini è inviso agli apparati: sulla Russia ha sempre avuto una linea contrapposta a Washington, mentre sulla Cina ha promesso e non mantenuto, facendosi manovrare da Conte nel suo primo governo. C’è una soluzione per comporre il quadro? No, ma tanto più grosso sarà il tonfo del leghista tanto minore la sua possibilità di influenzare la composizione del governo. La Meloni ha bisogno di assorbire il voto leghista il più possibile e poi di destinare Matteo Salvini a ruoli focalizzati sull’interno, come la sicurezza o il lavoro. Naturalmente conteranno molto gli scenari: più l’inflazione viene domata e più l’Ucraina si libera dall’invasione rapidamente, maggiore la possibilità di durare per un eventuale governo di destra. Se ciò non fosse, e la Lega restasse quella di sempre, dietro ogni curva c’è un potenziale incidente.

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