Dopo ore di discussione e una «tagliola» che ha fatto decadere centinaia di emendamenti, nella notte tra lunedì e martedì il Consiglio comunale di Milano ha approvato la delibera che cambia la storia di San Siro. Con 24 voti favorevoli e 20 contrari, il compendio immobiliare Ambito Gfu San Siro – 280.000 metri quadrati comprensivi dello stadio Meazza e delle aree circostanti – passa a Inter e Milan per 197 milioni di euro. La cifra, già di per sé inferiore alle aspettative, diventa, se analizzata voce per voce, un vero regalo alle società, un’operazione in perdita per i milanesi non solo dal punto di vista simbolico, ma soprattutto economico.
Per capire lo squilibrio basta osservare com’è stato calcolato il prezzo. La delibera stabilisce che la superficie lorda edificabile attribuita all’area è di 98.321 metri quadrati. Su questa quota, il valore unitario fissato è di 1.261,18 euro al mq, validato da Bocconi e Politecnico. Significa che la parte «nuova» – i terreni edificabili – vale circa 124 milioni di euro. Ma in zona, aree con caratteristiche analoghe hanno quotazioni superiori, intorno ai 2.000 euro al metro quadrato. Se la valutazione fosse stata quella di mercato, il Comune avrebbe incassato circa 200 milioni solo per la parte edificabile, a cui si sarebbe dovuto sommare il valore dell’impianto esistente.
Il valore attribuito al solo manufatto del Meazza è di 73 milioni, mentre l’area di sedime su cui insiste lo stadio (70.100 mq) è stimata altri 30 milioni: complessivamente circa 103 milioni. L’intero compendio di 280.000 mq è stato valutato 124 milioni, cioè 441 euro al metro quadro. Un valore che coincide con la valutazione della sola superficie edificabile (98.321 metri quadrati per 1.261 euro al mq), a conferma che il resto dell’area è stato di fatto sottostimato. Una cifra irrisoria, che non tiene conto né della posizione semicentrale, né del valore simbolico di un impianto famoso in tutto il mondo. Facendo i conti complessivi, il Comune incassa 197 milioni per qualcosa che il mercato valuterebbe fra 280 e 336 milioni: uno sconto che oscilla fra 83 e 139 milioni di euro. Ma la forbice si allarga se si considera un’altra clausola della delibera: le deduzioni fino a 36 milioni. In pratica, se le squadre realizzeranno lavori che erano in capo all’amministrazione, come le bonifiche ambientali, la demolizione selettiva del Meazza e soprattutto il tunnel di via Patroclo, potranno scalare quei costi dal prezzo. Non si tratta di opere secondarie, ma di interventi fondamentali per rendere funzionante la nuova cittadella sportiva. Grazie a questo meccanismo, l’esborso effettivo dei club potrà scendere fino a 161 milioni di euro, calcolando 36 milioni di deduzioni.
Il tunnel Patroclo è un’opera cruciale per collegare l’area dello stadio con la Tangenziale Ovest e alleggerire il traffico. Anziché rientrare tra le spese a carico dei club, viene trasformato in una deduzione: Milan e Inter lo realizzano, ma non lo pagano davvero perché il costo viene tolto dal prezzo dovuto al Comune.
E poi c’è la questione del canone di concessione. Oggi Milan e Inter versano circa 11,1 milioni di euro all’anno (in parte cash, in parte come lavori di manutenzione straordinaria che non fanno da anni, con un debito di oltre 20 milioni nei confronti di Palazzo Marino). Mancano ancora cinque anni alla scadenza naturale della concessione, fissata a giugno 2030. Sono 55 milioni di euro che il Comune avrebbe incassato e che invece non arriveranno mai. Se si sommano questi mancati introiti allo sconto sul prezzo di vendita, il conto finale per i cittadini milanesi supera i 220 milioni di euro.
Non bastasse, il contratto è stato blindato con una serie di clausole che proteggono i club. La più discussa è lo scudo penale: se nei primi nove mesi dall’atto dovessero aprirsi procedimenti giudiziari che mettano a rischio l’avvio dei lavori, Inter e Milan potranno recedere dal contratto e riavere indietro i soldi versati. Se invece l’impossibilità di procedere non sarà colpa loro, il Comune dovrà persino rimborsare fino a 20 milioni di spese documentate e rinunciare a due anni di canone. In altre parole: il rischio è tutto a carico pubblico, la protezione tutta a favore dei privati.
Anche le modalità di pagamento sono un regalo. Tra pochi giorni, alla firma davanti al notaio, i club verseranno 73 milioni. Le altre rate sono dilazionate e legate all’avanzamento dei lavori. Ma soprattutto, sulle somme differite maturano interessi al 2% annuo, cioè al tasso legale, molto più basso del costo reale del denaro. In pratica, Milan e Inter ottengono una sorta di finanziamento agevolato dal Comune: pagano più tardi e con interessi ridicoli.
La notte in aula ha confermato il quadro: oltre 200 emendamenti, approvati solo quattro (Pd: antimafia, trasparenza, tetti alle bonifiche, inclusione), con l’astensione di Forza Italia decisiva. L’opposizione parla di «resa totale», nel centrosinistra c’è chi denuncia una ferita democratica; si attendono le dimissioni dell’assessore verde Elena Grandi, che potrebbero aprire a rimpasto e verifica di maggioranza di Beppe Sala.
Dopo l’approvazione della delibera, adesso si apre la fase operativa. Dopo la stipula e l’acconto, i club presenteranno il progetto esecutivo del nuovo stadio, firmato Foster + Partners e Manica. Il Meazza resterà in piedi fino alle Olimpiadi invernali del 2026, quando ospiterà la cerimonia di apertura dei Giochi. Solo allora si comincerà a pianificare la demolizione selettiva, ma non è chiaro quando partiranno i cantieri veri e propri, anche perché inchieste della magistratura e vincoli della sovrintendenza potrebbero rallentare l’iter fino a farlo naufragare.
Alla città resta la perdita di un simbolo e la consapevolezza di aver incassato meno della metà del valore effettivo del bene: sarebbe bastato un concorso internazionale per avere un’entrata maggiore. Inter e Milan, invece, hanno fatto un affare: comprano a prezzi scontati, risparmiano sul canone, scaricano i rischi sul Comune e si assicurano un impianto nuovo di zecca.
