Edoardo Rixi, viceministro delle Infrastrutture, ha votato al referendum?
«No».
Lei, fiero genovese, può almeno andare al mare. Come suggeriva Craxi.
«Sono andato in montagna. A scalare».
Il centrosinistra s’indigna.
«Questo referendum è soprattutto un sondaggio interno su temi che dividono i partiti di quella coalizione. Invece che pagarlo con i nuovi tesseramenti, utilizzano impropriamente una consultazione popolare».
Sarebbe audace.
«Gli serve per definire le posizioni da tenere nelle prossime campagne elettorali. L’esito contribuirà a scrivere il programma all’opposizione».
Nella sua città, hanno eletto il nuovo sindaco: Silvia Salis, ex olimpionica.
«Quello è stato un coup de théâtre».
Ovvero?
«Hanno scelto una fuori dai loro soliti schemi. Renzi è riuscito a imporre al Pd il suo sindaco senza aggiungere un voto. Chapeau».
Favorisca i dettagli.
«In passato era stata molto vicina sia a Bucci che a Toti. L’ex sindaco l’aveva addirittura nominata ambasciatrice di Genova nel mondo. E quando i suoi criticavano i grandi eventi sportivi, lei faceva inaugurazioni a fianco del governatore di centrodestra».
L’avreste dovuta scegliere voi, malignano.
«Comunque, sono stati bravi. È vicepresidente del Coni. Non ha, nei suoi trascorsi, esperienze di politica attiva. Però è riuscita a unire tutta l’opposizione».
Una campagna elettorale scoppiettante.
«Non hanno badato a spese. Noi andavamo al mercato con i volantini. Loro usavano i droni. C’è stato un dispiego di mezzi che non si vedeva da tempo».
Giovane, spigliata, fascinosa.
«Sembrava un film. Alla regia, d’altronde, c’era il marito: Fausto Brizzi. Aveva pure collaborato con la Regione Liguria, negli anni scorsi, per alcuni spot».
Toti dettaglia: «Lo considero uno dei più bravi registi italiani, oltre che un uomo di assoluta intelligenza».
«Sicuramente, il suo ruolo è stato decisivo. Sul talento cinematografico, non mi pronuncio. Se ho tempo libero, preferisco l’arrampicata».
Perché ha vinto?
«I media locali e nazionali l’hanno appoggiata con raro entusiasmo. E la sua coalizione è riuscita, una volta tanto, a far squadra. Parte del centrodestra, invece, era convinto che Piciocchi non potesse vincere. Ma la rimonta, secondo me, era possibile».
«Era il candidato sbagliato», eccepisce Ignazio La Russa.
«Ne avevano uno migliore? Potevano proporlo, allora. Lamentarsi adesso mi pare irrispettoso per chi c’ha messo la faccia».
«È prematuro parlare di un mio ruolo nazionale», giura Salis.
«La sua partita non è tanto l’amministrazione della città, ma avere un podio da cui farsi sentire».
Sarà l’erede di Schlein, preconizzano.
«Lunga vita alla segretaria del Pd. Un’avversaria così non la troviamo più».
L’opposizione sogna la riscossa.
«Il centrodestra deve ascoltare le persone. Nelle amministrative le dinamiche locali hanno più peso di quelle nazionali. Anche l’alpinista, quando non va da tanto tempo in montagna, non sente più i temporali arrivare».
Nuvoloni, dunque, s’addensano?
«Cedere alle legittime aspirazioni di un alleato può deludere il territorio. Bisogna sempre pensare a chi è più bravo, non alla sua appartenenza».
Si avvicinano le regionali. L’opposizione vagheggia l’en plein: cinque su cinque.
«Abbiamo perso, pur avendo amministrato bene la città: Genova è stata risanata, ma ne beneficeranno i successori. Rischia di capitare lo stesso altrove».
Persino in Veneto?
«Se si fanno le scelte giuste, no».
Però.
«Se pensiamo che bastino i sondaggi nazionali per vincere, continueremo a sbagliare. Non conta tanto il partito, ma la coalizione. Un governo che guarda già alla prossima legislatura deve costruire un percorso inclusivo. Alle politiche del 2027 bisogna arrivare più forti, senza lasciare altri morti e feriti sul campo».
Luca Zaia vuole ricandidarsi.
«Opporsi alla sua lista e non coinvolgerlo nella campagna elettorale sarebbe un errore. Potrebbe far nascere spinte autonomiste incontrollabili».
Giovanni Donzelli, coordinatore di Fdi, apre al terzo mandato.
«È apprezzabile. Speriamo che le sue parole si concretizzino. È difficile, del resto, spiegare ai cittadini che un bravo amministratore non può essere rieletto. Quella chiusura aveva complicato la vita al governo, invece che semplificarla. E anche l’eventuale disimpegno di uno dei presidenti più amati d’Italia non avrebbe aiutato nessuno».
Se non sarà Zaia, chi potrebbe sostituirlo?
«Sono un autonomista convinto. Devono decidere i veneti. Se avessimo adottato le idee di Carlo Cattaneo sulla repubblica federale, la forma politica più adatta per garantire libertà agli individui, oggi staremmo meglio della Germania».
In cambio, cederete la Lombardia?
«Il totoregioni non mi appassiona. A me piace vincere. Serve un governo forte, con grande afflato internazionale. Non ha senso distogliere energie, con discussioni che creano tensioni. In Veneto può restare Zaia? Benissimo. Ci togliamo un problema».
Per voi sarebbe un colpaccio.
«Non ci guadagna la Lega. Ci guadagna il centrodestra. Ed è un criterio che dovrebbe valere sempre. Se in un’altra regione troviamo una valida candidatura di Fdi, diventa un vantaggio per tutti».
Suoi illustri colleghi dicono che pure il Carroccio ha abbandonato i territori.
«Siamo presi tra gli impegni nei ministeri e nelle Regioni. Quando si è all’opposizione c’è molto più tempo da dedicare all’organizzazione del partito. Oggi dobbiamo occuparci di tutto il Paese. Bisogna trovare un punto di equilibrio».
Governare a Roma non è sempre un vantaggio?
«Non aiuta a vincere una Regione. Anzi, può portare a sottovalutare l’impegno».
Rimpiange i vecchi tempi della Lega?
«Tutti rimpiangiamo i tempi in cui eravamo più giovani. Dopodiché, la vita cambia. Arrivano nuove responsabilità».
Lei è stato vicesegretario del partito. In passato, la carica veniva riservata agli ortodossi. Gli ultimi prescelti, invece, sono il generale Roberto Vannacci e l’ex forzista Silvia Sardone.
«Hanno avuto il record di preferenze alle europee. È stato un giusto riconoscimento».
Come serviranno la causa?
«Prima di esprimere giudizi, voglio vederli al lavoro. Spero facciano bene. È nell’interesse della Lega.
Prima c’era l’Alberto da Giussano. Ora il nuovo vessillo della Lega nazionale sembra il Ponte sullo Stretto.
«È un’opera che non è riuscito a fare Berlusconi, con il vecchio centrodestra. Se ci riuscisse il governo Meloni, sarebbe una medaglia per tutti e un segnale inequivocabile.
Quale?
«Ora si riescono a fare cose che prima sembravano irrealizzabili».
Simbolismo a parte?
«Ci darebbe nel Mediterraneo un posizionamento decisivo per i prossimi 70 anni. L’Italia può diventare punto di riferimento anche per Africa e Medio Oriente».
Le difficoltà sovrabbondano.
«Solo un visionario come Salvini poteva buttarsi in quest’impresa. Pure il Golden Gate, a San Francisco, era considerato irrealizzabile. Ma ha cambiato la storia. Sono opere che diventano iconiche. Non solo attirano turisti, ma dimostrano la forza di un Paese. Non vogliamo ripetere al mondo per l’ennesima volta: “È impossibile farlo”».
Salvini ha lanciato il tour anti mafia.
«Chiediamo alle aziende straniere di investire nel Sud, mentre lo Stato ha paura di farlo? Bisogna dimostrare di non essere ostaggio della criminalità».
Non tutti, nella Lega, apprezzano.
«Lo capisco: partire da Pontida e ritrovarsi a Villa San Giovanni può disorientare qualcuno».
Le resistenze, in generale, restano forti.
«Ci sono tantissime lobby che avversano le opere nel Sud. Ma se l’Italia vuole diventare un grande Paese, deve fare in modo che il carretto non lo tirino solo cinque o sei regioni».
La Cgil annuncia ricorso all’Ue: «Non va autorizzato».
«Il Ponte cambierà la vita a milioni di persone. È un’ottima occasione anche per superare la narrazione stantia dello scontro tra lavoratori e padroni».
La Lega vuole un’apposita norma sui cantieri antimafia. Il Quirinale si oppone.
«Il ministro dell’Interno, Piantedosi, la ripresenterà. Credo che sia stata un’incomprensione, ma siamo allineati. Per un’opera del genere non bastano i controlli ordinari».
I cantieri partiranno in estate?
«La data, ormai, è imminente».
«Io alle Infrastrutture? Rixi farebbe meglio di me», aveva detto Salvini.
«È troppo buono, Matteo. Senza gli altri ministeri, comunque, non saremmo riusciti a combinare niente».
«È uomo di mare, è genovese, ha idee chiare», aggiunse dopo la nomina.
«Uomo di mare e di montagna».
Come il suo segretario?
«Una volta, a Pinzolo, ci siamo lanciati insieme con il parapendio».
È stata l’impresa più spericolata?
«Anche fare il bagno a Genova, in Corso Italia, è stato abbastanza temerario».