L’operazione Zemmour, sostenuta dal finanziere bretone, può essere un’operazione di cerniera tra due elettorati di destra oramai da tempo separati. Da un lato c’è la Le Pen e dall’altro Valerie Precresse. Dalla riunificazione della destra passano gli interessi di molti e soprattutto il progetto di fare dell’Italia un satellite di Parigi. E una sconfitta di Macron costringerebbe l’Italia a relazionarsi con quel pezzo di classe dirigente francese più marcatamente imperialista.
C’è una trama comune nella destra francese per le imminenti elezioni presidenziali? Quasi tutti i media e gli analisti considerano Eric Zemmour come una variabile impazzita, il folle shakespeariano che può far saltare il banco a destra arrivando al ballottaggio e portando alla ribalta definitiva posizioni politiche e culturali mai espresse da nessuno con tale durezza e furore ideologico. Tuttavia, se si analizza la mappa del potere francese la questione sembra un po’ più complessa. Negli ultimi anni la destra francese ha subito una profonda scissione: da un lato la destra moderata, europeista dei Republicains; dall’altro la destra estrema, nazionalista del Rassemblement National. Oggi questo duopolio, da lungo tempo perdente, si arricchisce di un terzo attore, il nuovo partito di Zemmour. Anche qui non sono pochi i chiaroscuri: tanti considerano l’intellettuale sceso in politica più a destra della Le Pen, ma c’è da dubitare. Zemmour è un ideologo prodotto dalle TV private francesi e da Le Figaro, autore ricco e prolifico, molto amato dai salotti occidentali di Parigi. Certo la sua offerta politica ha una forte presa sulla Francia periferica, ma non dispiace a pezzi di establishment ex gollista. Non è anti-europeista, non vuole uscire dall’euro, non è contrario al funzionamento del libero mercato. Caratteristiche che lo mettono a metà strada tra Le Pen e i Republicains, più che nell’area della destra estrema.
Veniamo ora proprio ai Repubblicani: partito senz’anima negli ultimi anni, diviso, rissoso, tante fazioni come anche le primarie hanno testimoniato. Alla fine ha vinto Valerie Pecresse, candidata né centrista né destrorsa ma di solida esperienza. Tuttavia, è innegabile lo spostamento a destra del baricentro del partito. Il secondo arrivato nella competizione, Eric Ciotti, è su posizioni molto simili a quelle di Zemmour. In altre parole, al secondo turno contro il Presidente uscente Macron un asse tra le tre destre non appare impossibile ed è per questo che a sinistra si scatenano i timori. C’è inoltre una grande personalità che unisce queste destre, o meglio vorrebbe farlo, ed è il tycoon Vincent Bolloré. Il miliardario francese è amico di Zemmour, del quale ha caldeggiato la candidatura, ma è anche legato a Valerie Pecresse, il padre della quale, Dominique Roux (Pecresse é il cognome da sposata), é stato presidente della Bolloré Telecom tra il 2007 e il 2014. Tanto Zemmour quanto Precresse presentano un’agenda più assertiva di quella vista a destra negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda la proiezione della Francia oltre confine. Se sarà uno dei due ad estromettere la Le Pen dal ballottaggio, il progetto di riunificazione della destra può subire un balzo in avanti. Ancor più se la Pecresse arrivasse davanti a Zemmour. In questo caso, infatti, scegliendo con cura la retorica e la formula politica, i Republicains possono sperare di guadagnare i voti persi a destra grazie all’appoggio più o meno esplicito dell’ intellettuale conservatore e puntare alla vittoria contro Macron.
L’operazione Zemmour può essere, in altre parole, un’operazione di cerniera tra due elettorati di destra oramai da tempo separati. Bolloré ha probabilmente ben compreso la portata dell’operazione e ha puntato le sue fiches sia sul colto giornalista che sulla ex ministro di Sarkozy. D’altronde, nessun candidato di destra può sperare di vincere senza che l’elettorato si compatti al ballottaggio. Vista dall’Italia l’operazione è interessante sul piano politico, ma deve anche far suonare qualche campanello d’allarme. Bolloré è presente con le sue società in Mediaset, Mediobanca, Generali e Tim. Da anni cerca di aprirsi un varco ulteriore per controllare asset strategici della finanza italiana, aiutato dalla politica e dalle banche francesi. Fa riflettere una frase che si è lasciato sfuggire Zemmour secondo il quale la Francia e l’Italia del nord “dovrebbero essere la stessa cosa” e che si riconduce idealmente ai programmi di espansione della finanza francese nel bel paese. Sistema francese che oggi può anche contare sulla chiave di accesso fornita dal trattato del Quirinale. Una eventuale vittoria della destra contro Macron deve essere trattata da Roma con una maggiore consapevolezza. Non tanto perché sconfiggerebbe il liberalismo progressista (o presunto tale) dell’attuale presidente né perché favorirebbe l’affermarsi di un ciclo politico di destra, ma prevalentemente perché darebbe corso ad una accresciuta aggressività della Francia nei confronti del nostro Paese sul piano economico e finanziario. Dalla riunificazione della destra francese passano gli interessi di molti e soprattutto il progetto di fare dell’Italia un satellite di Parigi. E una sconfitta di Macron costringerebbe l’Italia a relazionarsi con quel pezzo di classe dirigente francese più marcatamente “imperialista” e bonapartista (dunque con ambizioni di conquista) e pronto a sostenere l’espansione all’estero degli interessi transalpini, attraverso attori privati e pubblici, più di quanto non stia già facendo Macron.
