Il governo del premier Johnson vuole privatizzare lo storico «Channel 4», il più innovativo dei media pubblici britannici che ha anche buoni risultati economici. Obiettivo: fare cassa. Ma non solo.
All’inizio era la Bbc, adesso è Channel 4. Non c’è tregua nella guerra tra il governo britannico di Boris Johnson e le sue emittenti pubbliche. La prima è stata accusata di spendere troppo e viziare i giornalisti impegnati a denigrare le azioni dell’esecutivo; la seconda ora è sulla via della privatizzazione, come confermato nelle scorse settimane dal ministro per la Cultura, il digitale e i media Nadine Dorries, a cui entrambe non sono mai andate a genio.
Peraltro, se la storica indipendenza e autorevolezza della Bbc – la cui sopravvivenza è garantita dal pagamento del canone – può venir imbrigliata congelando l’ammontare dell’aliquota e minacciandone il futuro azzeramento, lo stesso metodo non poteva venir utilizzato con la seconda, che appartiene allo Stato, ma non costa neppure un penny ai suoi contribuenti, dato che si mantiene grazie ai proventi della pubblicità, poi interamente investiti in nuovi programmi.
Nata per volontà di Margaret Thatcher nel 1982 come alternativa alla Bbc, è stata la prima emittente a commissionare e acquistare tutti i suoi programmi da società indipendenti. Nel 2020 ha riportato per la prima volta il suo bilancio in attivo dopo cinque anni di vacche magre, segnando un surplus di 74 milioni. A definirla, nei suoi 40 di storia, è stato proprio il dirompente carattere innovativo della sua programmazione con produzioni che hanno dato spesso voce alla cultura della diversità e della marginalizzazione, o semplicemente a programmi ritenuti fino a quel momento troppo di nicchia per il telespettatore medio.
Sempre controcorrente, ha lanciato serie cult come This is England sulla miseria delle periferie inglesi, e It’s a Sin, sulla vita di un gruppo di gay, che si è appena aggiudicato il Bafta, l’Oscar della tv nazionale. È tuttora la proprietaria di uno dei talent show culinari più seguiti dal pubblico di casa, come The Great British Bake Off: sfida all’ultimo sangue tra pasticceri amatoriali della quale ogni suddito della Regina si è sciroppato, nella sua vita, almeno una puntata. E molti ricordano il programma tutto dedicato al calcio italiano che ha tenuto banco per 10 anni sui palinsesti di questo canale, di cui ora il governo dello stesso partito della Thatcher vorrebbe volentieri fare a meno.
«Allo stato attuale, Channel 4 non può realizzare un catalogo di programmi esportabili o creare e vendere i propri contenuti» ha spiegato il ministro Dorries. «Vive solo con i profitti della pubblicità che si sta spostando verso altri siti come quelli online. Riteniamo di poter trovare un compratore che investa in ogni angolo del Paese in talenti emergenti e in programmi di news imparziali».
Soprattutto, il governo pensa così di poter competere con la crescente popolarità di canali a pagamento come Netflix o Sky, ma questa visione sta dividendo sia il mondo politico che l’opinione pubblica, in maggioranza dalla parte dell’emittente. Non sono solo i laburisti a gridare alla fine della libertà d’informazione. Enders analysis spiega che il valore di acquisto oscilla tra i 600 milioni e il miliardo e mezzo di sterline, a seconda di quanta libertà imprenditoriale si vorrà offrire al nuovo acquirente.
Inoltre, prevede che la privatizzazione potrebbe condurre a un taglio del budget tra 40 e 50% e alla chiusura di 60 piccole compagnie di produzione indipendenti, senza contare la possibile concentrazione della maggior parte dei circa 2.000 dipendenti nel nuovo quartier generale londinese a Victoria, a scapito delle sedi decentrate di Leeds, Glasgow e Bristol.
Uno scenario non incoraggiante per una televisione pubblica coraggiosa, in questo momento molto più significativa e godibile della Bbc, che teme di soccombere sempre più, nel braccio di ferro con un governo impegnato a frenarne la libertà di gestione. Con il canone congelato a 159 sterline annue, la prima emittente pubblica a stento riesce a trattenere qualche giornalista importante, i più hanno già abbandonato la nave quando all’orizzonte si sono profilate riduzioni salariali e vincoli di comportamento dettati dalla cultura imperante del political correctness.
«È naturale che il pubblico inizi a cercare alternative quando sul posto di lavoro si parla soltanto di tagli e di stringere la cinghia» ha dichiarato lo storico giornalista e conduttore Andrew Neil, che ha lasciato la tv dopo 44 di servizio e un fallimentare tentativo su GB News, e adesso è in trattativa proprio con Channel 4 che lui stesso ha definito «il braccio televisivo del Guardian», alludendo alla linea riformista del quotidiano. Chissà che, con lui della partita, quel braccio non resti «armato» ancora per un po’. Di buon giornalismo, s’intende.