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Mal d’Euro

Mal d’Euro

La moneta che doveva sopravanzare tutte le altre è sempre più sotto pressione (in sostanziale parità con il dollaro). E sul futuro economico del Vecchio continente pesano gli effetti del conflitto, l’inflazione, gli aumenti dei tassi. Sintetizzando: recessione.


Per capire soccorre una fiaba di Hans Christian Andersen: I vestiti nuovi dell’imperatore. Sarà politicamente scorretto dirlo, ma Vladimir Putin con la strage di Bucha, con i missili su Mariupol, ha gridato «il re è nudo». Il re è l’euro che si scopre moneta fragilissima e riflette la debolezza dell’Europa. Stiamo scivolando verso la parità col dollaro, siamo al minimo contro il rublo, abbiamo lo yuan che si afferma come unità di pagamento internazionale. Sul dollaro la moneta unica ha perso oltre il 17 per cento in tre mesi ed è al minimo dal 2017 (1,05 dollari per un euro), la moneta della Russia (cambio 1 euro per 69 rubli) è ai massimi da tre anni, lo yuan (vale 14 centesimi) ha dietro di sé partite correnti per 224 miliardi di euro e partite in conto capitale per 83 miliardi.

Il gioco si fa durissimo perché – come anticipato da Panorama il 25 febbraio – è arrivato «l’anno del tasso»: sono in campo lo spread, il rendimento dei titoli e i saggi d’interesse. Ciò che accade nell’aggressione dell’Ucraina è amplificato dalla guerra delle monete che a sua volta annuncia la nuova geografia economico-politica del mondo. Come sapeva il mercante di Prato Francesco di Marco Datini, che nel Quattrocento diffuse nel mondo la lettera di cambio, la moneta esprime non solo un valore economico, ma tutti i valori.

Se il fiorino fu dominante è perché con quel conio si vendeva anche il Rinascimento. Si potrebbe fare il profilo delle nazioni: il dollaro (un’idea di superpotenza), lo yuan (un’idea di egemonia), il rublo (un’idea d’imperialismo) e l’euro (un’idea contabile). La moneta che soffre di più è quella che politicamente e idealmente è meno identitaria.

Questa guerra tra monete è questione di donne. Sono Christine Lagarde, presidente della Bce, e la sua «sorvegliante» Isabel Schnabel, che in nome e per conto della Germania siede nel board della banca centrale, dove si occupa appunto di tassi. C’è poi la più scaltra di tutte e forse la più preparata, Elvira Nabiullina, governatrice della Banca di Russia. Hanno detto che era l’oppositrice di Vladimir Putin: per ora l’ha salvato. Agganciando il rublo all’oro (un grammo per 5 mila rubli), accorpando il sistema bancario, imponendo la conversione obbligatoria di dollari ed euro in moneta russa, non solo ha evitato l’annunciato default della Russia, ma ha riportato la valuta nazionale ai massimi. Infine, c’è la bulgara Kristalina Georgieva, direttrice operativa del Fondo monetario internazionale, che comincia a parlare apertamente di recessione lasciando assai poco tranquille le altre colleghe occidentali.

Altro protagonista, che in perfetto stile yankee pensa solo ai fatti suoi: Jerome Powell, presidente della Federal Reserve americana, che difende il superdollaro. Usa l’arma «letale» dei tassi. Viene quasi da credere che il presidente statunitense Joe Biden abbia tutto l’interesse a proseguire il conflitto ucraino proprio per ragioni di moneta.

Se il re Europa è nudo, l’Italia è in braghe di tela. Lo ha fatto trapelare Mario Draghi al parlamento di Strasburgo la settimana scorsa. Il presidente del Consiglio, dopo aver perorato la difesa comune europea con razionalizzazione della spesa, s’è avventurato sul terreno economico. È tornato a invocare un tetto comune al prezzo del gas mentre l’Europa, nonostante i proclami della presidente della Commissione Ursula von der Layen (ogni volta che parla il prezzo dell’energia schizza in alto), si divide addirittura sullo stop al petrolio di Mosca, poi ha chiesto altro debito comune per un sostegno a cittadini e imprese colpite dallo shock energetico e della guerra. Perciò ha invocato il ricorso al Sure. Nato come cassa integrazione europea per fare fronte al Covid, è un fondo di debito continentale dal quale gli Stati attingono a tassi agevolati. Il premier italiano chiede altri prestiti da finanziare, quindi con debito comune a un tasso conveniente.

È seriamente preoccupato e sa che se l’Italia, perso l’ombrello della Banca centrale europea sui titoli, va sul mercato da sola e pagherà un prezzo altissimo. Lo spread segna già 200 punti, il Btp sconta un rendimento prossimo al 3 per cento e del resto il Bund tedesco rende già oltre l’uno. I mercati sanno che prima o poi la Bce dovrà alzare i tassi e scontano già il rialzo, per l’Italia si fanno pagare l’aumentato rischio-Paese a causa del conflitto. Non è però affatto detto che gli altri europei siano disposti a prestarci nuovi soldi per la spesa corrente, soprattutto a chi ha bruciato miliardi in misure come il 110 per cento. Poteva Draghi chiedere altro debito senza abiurare al superbonus? Eccoli, dunque, gli effetti della guerra.

Gli Stati Uniti, peraltro, sono in bilico tra un’economia surriscaldata dall’inflazione e una minaccia di recessione. Biden vede come un incubo le elezioni di «mid term» a novembre. Così Powell tira dritto nell’alzare i tassi; almeno il 2 per cento entro fine anno anche perché gli Usa, che hanno accusato a marzo il record di deficit commerciale (109,8 miliardi di dollari, +22,3 per cento rispetto a febbraio), si sono scoperti troppo dipendenti dall’import e dunque vulnerabili alla Cina e allo yuan che il governatore della Banca di Cina Yi Gang ha lasciato in pace non toccando i tassi (sono al 4 per cento).

L’economia «a stelle e strisce» e quella del Dragone hanno traiettorie divergenti; gli americani sono in ripresa, ma temono un brusco stop recessivo, i cinesi per la forsennata strategia del Covid zero sono in affanno con un Pil che cresce «appena» del 4,4 per cento, e il porto di Shanghai (il più grande del mondo) bloccato dalle restrizioni anti-virus. I cinesi stanno immettendo liquidità e interrompono le catene globali fermando le forniture, ma stanno lavorando sia sul cripto-yuan (ormai ha la leadership tra le cripto valute perché il rialzo dei tassi Usa sta distruggendo il bitcoin) sia sulla sostituzione del dollaro come moneta di riferimento dell’energia e di tutto il mondo non allineato con l’Occidente.

Un segnale lo si è avuto col rialzo dei tassi operato dalla Banca dell’India (40 punti base, al 4,4 per cento) che segnala come il premier Narendra Modi voglia difendere la sua rupia nel cambio con yuan e rublo (compra in Russia il petrolio e in Cina i semilavorati). Una cosa è certa: Pechino sta approfittando del conflitto ucraino per la «de-dollarizzazione» già avviata grazie agli accordi con l’Arabia Saudita pronta a emettere futures sul proprio greggio in petrol-yuan. Gli Usa hanno il problema opposto: devono frenare l’inflazione (ora all’8,5 per cento) e sgonfiare una possibile bolla azionaria. Powell alimenta il superdollaro, ma rischia di strozzare le imprese americane e favorire le importazioni. L’euro si trova in una doppia morsa. Deve fronteggiare un’inflazione galoppante che deriva per metà dai costi energetici aumentati dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni alla Russia, ha inoltre un problema di tassi: se li alza rischia di far saltare le economie più indebitate come la nostra. L’Italia, infatti, è tornata il malato d’Europa.

Il superdollaro e l’immobilità della Banca centrale sui tassi però stanno affossando la moneta dell’Unione. I «graficisti» che ne valutano con la statistica gli andamenti sono convinti che l’euro si avvii a una rottura della soglia 1,05 sul dollaro, con una soglia di resistenza posta a 1,04. Se si scenderà ancora, si precipita sotto la parità. Sarebbe una disfatta per l’economia continentale, un disastro per il nostro Paese che oltre all’energia importa molto grano (i prezzi continuano a lievitare al ritmo del 23 per cento al mese), e tante materie prime; il rischio è che vada fuori mercato l’industria di trasformazione. L’euro debole avrebbe solo un teorico vantaggio: far crescere le esportazioni. Ma il rallentamento della Cina, che è il principale cliente del Vecchio continente, ridimensiona questa aspettativa. In ogni caso questo teorico vantaggio è eroso dall’inflazione che la nostra moneta comune non può frenare. È il «nemico numero uno» per i tedeschi e il ministro della Finanze, il liberale Christian Lindner, ritiene intollerabili i livelli attuali anche a fronte del rallentamento economico (previsione di crescita del Pil rivista al ribasso al 2,2 per cento).

La Germania preme perché la Bce si muova sui tassi. Isabel Schnabel ha dichiarato che un «rialzo dei tassi a luglio» in Europa è possibile. Pur depurata dagli effetti energetici, l’inflazione di fondo in aprile è del 4,6 per cento (quella complessiva del 7,5) più che doppia del target statutario della Bce. Così, se è certo che ci sarà a luglio l’esaurimento degli acquisti di titoli del programma pandemico (da qui lo spread che rialza pericolosamente la testa), resta una sorta di timor panico sui tassi. Il vicepresidente dell’Eurotower Luis de Guindos continua a sperare che l’inflazione sia al suo massimo e cominci a scendere per evitare di dover agire sul rincaro del denaro troppo e troppo velocemente. Ma aggiunge che c’è il rischio di una frammentazione dell’area euro se gli spread divergeranno. E fa sapere: «Per evitarla ci sono anche le politiche di bilancio dei singoli governi e quelli ad alto debito devono essere molto prudenti».

È lo stesso pensiero del governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco: «La guerra si sta mangiando il Pil, gli interventi di sostegno devono essere selettivi per non deviare il bilancio pubblico». E Visco sa che con l’euro ai minimi il costo della bolletta energetica diventa troppo oneroso. Per questo Draghi invoca il citato Sure, ma non è detto che ci venga concesso altro debito. Anche perché stavolta, per salvare l’euro, serve togliere liquidità e non immetterne. Ne sono convinti molti analisti. Marco Valli di Unicredit ha dichiarato: «L’euro può ulteriormente indebolirsi rispetto al dollaro soprattutto a causa dello shock geopolitico legato al conflitto in Ucraina».

Dal think tank economico LaVoce.info, Francesco Leni ipotizza: «Tra import ed export prevarrà l’import: la domanda di energia è incomprimibile e l’euro debole è uno svantaggio». Si è quindi scoperto che la mitica moneta unica è fragile e riflette la debolezza dell’economia europea. Più Ursula von der Leyen invoca sanzioni e minaccia di lasciare a secco di gas e petrolio l’Europa – sempre che non lo faccia prima Putin che insiste a farsi pagare in rubli – più la moneta comune sotto i colpi del prezzo energetico s’indebolisce e più le economie continentali stentano. E più ciò accade, più l’euro si avvia al tramonto. «La guerra in Ucraina avrà gravi conseguenze economiche per l’Europa» profetizza dall’Fmi Kristalina Georgieva, una delle signore del poker, «avendo colpito quando la ripresa dalla pandemia era ancora incompleta. Germania, Italia e Francia subiranno effetti pesanti». Il Fondo monetario mette in conto una recessione per il Vecchio continente. Siamo andati alla guerra delle monete con un’arma spuntata, l’euro, e senza gas di scorta. Appare perciò chiaro che i destini del dollaro e quelli della nostra divisa siano divergenti, così come i prezzi che Usa ed Europa pagano per la guerra di Ucraina. Il risultato è paradossale.

Tra le quattro dame di denari per ora quella che ride è Elvira Nabiullina. È opera sua il super rublo. n

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